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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 11 dicembre 2015, n. 49066. Integra il reato di diffamazione pluriaggravata di cui agli artt. 227, commi 1 e 2, e 47 n. 2 cod. pen mil. pace la condotta del militare, sulla propria pagina personale di facebook, posta un commento denigratorio nei confronti di altro militare facilmente identificabile in ragione di riferimenti soggettivi, temporali, motivazionali e personali

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 11 dicembre 2015, n. 49066 Ritenuto in fatto Con sentenza del 21 febbraio 2012 il Tribunale militare di Roma ha dichiarato S.F. responsabile del reato di diffamazione pluriaggravata di cui agli artt. 227, commi 1 e 2, e 47 n. 2 cod. pen. mil. pace, perché, nella qualità...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 11 novembre 2015, n. 45173. Per la punibilità è sufficiente che le offese provengano da una parte o dal suo patrocinatore e che concernano l’oggetto della causa o del ricorso pendente innanzi alla autorità giudiziaria, a nulla rilevando che esse siano dirette a persone diverse dalle controparti o dai loro patrocinatori

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 11 novembre 2015, n. 45173 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano – Presidente Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere Dott. LIGNOLA...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 21 luglio 2015, n. 31677. Nella diffamazione via internet, quando non sia possibile determinare il luogo di consumazione del reato, la competenza non va individuata con riferimento all’ubicazione dei server che ospitano i contenuti diffamatori bensì guardando al luogo dove i dati sono stati immessi nelle rete

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 21 luglio 2015, n. 31677 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente Dott. FUMO Maurizio – Consigliere Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere Dott. DEMARCHI ALBENGO...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 19 agosto 2015, n. 16899. La divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono: a) la verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà; b) l’interesse pubblico all’informazione, cioè la cosiddetta pertinenza; c) la forma “civile” dell’esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza. A differenza del diritto di cronaca, il diritto di satira, quale modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, è sottratto al parametro della verità, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, ma, appunto per questo, ne ricorre l’esercizio solo se il fatto è espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, sicché possa apprezzarsene subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico. Altrimenti, la satira non sfugge al limite della correttezza e continenza delle espressioni e delle immagini utilizzate, rappresentando comunque una forma di critica caratterizzata da particolari mezzi espressivi, e neppure può fondarsi su dati storicamente falsi.

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 19 agosto 2015, n. 16899 Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 29.12.2005, D.P.A. convenne in giudizio F.G. e la società “(…)”, lamentando il carattere lesivo e diffamatorio sia della lettera, a firma di tale G.A. di (…), pubblicata nella rubrica delle Lettere al direttore sul...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 agosto 2015, n. 17198. In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca soggiace al limite della continenza, che comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l’altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi. La percezione visiva concorre quindi in maniera determinante all’attribuzione, da parte del pubblico dei lettori, di un significato diffamatorio alla pubblicazione a mezzo stampa. Questo carattere determinante dell’aspetto visivo è viepiù accentuato quando l’articolo è pubblicato su un quotidiano ad ampia diffusione rispetto al quale i lettori appartengono ad un pubblico notevolmente indifferenziato, e comunque non specialistico; trattasi di pubblico più incline ad una lettura poco approfondita, ed anche frettolosa, che può risolversi nella sola attenzione rivolta, sfogliando il giornale, ai titoli ed alle fotografie. Ne consegue la rilevanza dell’impaginazione; e, nel contesto dell’impaginazione, la rilevanza delle fotografie e dell’accostamento al contenuto scritto di immagini, titoli e sottotitoli

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 27 agosto 2015, n. 17198 Svolgimento del processo 1.- Il Dott. P.G. citò in giudizio risarcitorio la società editrice del quotidiano “Corriere della Sera” (R.C.S. Quotidiani S.p.A.) e il direttore responsabile (F.S. ), nonché i giornalisti Fu.Ma. e I.M. , per sentirli dichiarare responsabili di diffamazione in relazione...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 5 agosto 2015, n. 34178. Il bene giuridico tutelato dalla norma ex art. 595 c.p., è l’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino e l’evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino, le espressioni oggetto di contestazione sono obiettivamente pregiudizievoli della reputazione della persona offesa, concretizzando un pregiudizio anche la divulgazione di qualità negative, idonee ad intaccarne l’opinione tra il pubblico dei consociati. L’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto, è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone, ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento, o, comunque, che la notizia sia destinata, nelle stesse intenzioni del soggetto attivo, ad essere riferita ad almeno un’altra persona che ne abbia successivamente conoscenza. Quando l’offesa sia arrecata a mezzo di uno scritto e sia indirizzata anche all’interessato si configura nella ricezione dello scritto alla p.o. il reato di ingiuria

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 5 agosto 2015, n. 34178 Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza in data 24.1.2014, confermava la sentenza del locale Giudice di Pace, con la quale C.M. era stato condannato alla pena di Euro 700 di multa, per i reati di cui all’art. 595 c.p.,...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 6 agosto 2015, n. 34406. L’accertamento della responsabilità per il reato di diffamazione commesso a mezzo web può desumersi dall’individuazione, tramite l’indirizzo IP, del dispositivo utilizzato dal soggetto agente per postare l’annuncio denigratorio in rete

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 6 agosto 2015, n. 34406 Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Chieti, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di L’Aquila, all’esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto N.G. colpevole dei reati di diffamazione (artt. 81, 110, 595 cod. pen. e 13 della legge sulla stampa) e trattamento illecito...