Locazione: Natura, requisiti, durata, rinnovazione e estinzione
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Nel presente contributo è stato analizzato in primis il contratto di locazione in senso generale secondo la previsione codicistica, in seconda battuta tale fattispecie è stata sviscerata, soprattutto per quanto riguarda gli immobili urbani, nell’esposizione e applicazione delle leggi speciali integrative; ovvero la legge 27 luglio 1978, n. 392 e la legge 9 dicembre 1998, n. 431, oltre ad un rapido excursus in tema di proroga delle locazioni.
Infine è stata posta anche la giusta attenzione sulle azioni processuali a tutela, in particolare il rito locatizio ed i procedimenti sommari collegati.
La locazione è una delle poche fattispecie contrattuali previste dal codice civile ancora di grande attualità, foriera di innumerevoli contese tra proprietari e conduttori in virtù delle grosse e rilevanti problematiche che attraversano il mercato immobiliare, per il mondo sommerso di rapporti senza alcuna disciplina ed altri rispecchianti in contratti modello fac-simile ben lontani da forme di garanzie elementari sia per il locatore che per il conduttore.
Di grande interesse è risultato l’approfondimento dei rapporti e dei rispettivi obblighi che si vanno ad instaurare tra i due soggetti del contratto, dalla fase della consegna, passando per la manutenzione e l’uso sino a quella della restituzione, che più delle volte non sono trattati nella giusta considerazione nell’attualità per la mancanza di conoscenza, o meglio per la superficialità che contraddistingue i soggetti che interpellano gli operatori del diritto soltanto in una fase patologica del rapporto.
Difficile, infine, è stato, rispetto ad altri lavori, presentare schematicamente quest’ultima opera; tuttavia al fine di una migliore comprensione del presente saggio si è cercato attraverso collegamenti testuali (ai quali si chiede di porre la giusta attenzione) di rendere organica la trattazione.
1) Natura
art. 1571 c.c. nozione: la locazione è il contratto col quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra parte (locatario o conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Per dottrina autorevole[1] è un contratto consensuale, ad effetti obbligatori.
È anche contratto a prestazioni corrispettive perché a carico del conduttore è posto, tra l’altro, l’obbligo di pagare un prezzo, detto canone o pigione.
1 – consensuale
Il contratto di locazione è un contratto consensuale[2], in quanto si perfeziona con il semplice accordo tra il locatore ed il locatario senza alcun elemento ulteriore.
Per la S.C.[3] la locazione è contratto consensuale che si perfeziona con l’accordo delle parti, sì che la consegna della cosa non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilità ulteriori nonché il consolidarsi della posizione del conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento.
2 – a prestazioni corrispettive
Questo carattere risulta in modo evidente dall’art. 1571 c.c. che delinea reciproche prestazioni:
1) il locatore si obbliga a far godere la cosa mobile o immobile per un dato tempo,
2) il locatario a versare un determinato corrispettivo[4].
Per la validità della locazione non è necessario che il corrispettivo dovuto dal conduttore sia determinato, ma è sufficiente che sia determinabile[5], in applicazione di criteri o sulla base di elementi precostituiti, vale a dire fissati nell’atto stesso della stipulazione del contratto.
Il corrispettivo della locazione può consistere in cose diverse dal denaro[6] ed essere rappresentato da utilità di varia natura, ma è pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno, della determinabilità) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non può essere costituito da prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunità, di liberalità, di cortesia) non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.
Inoltre il corrispettivo può essere costituito anche, in parte, da un’attività lavorativa[7] resa in favore del locatore[8], non dissimilmente dall’ipotesi in cui il godimento di un locale può costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato.
La distinzione tra le due ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell’economia del contratto.
Per altra pronuncia[9] in materia di contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo la vigente normativa, contenuta nella legge 27 luglio 1978 n. 392, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”, che è privo di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto é nullo ai sensi dell’art. 79 della citata legge (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che, ai sensi degli artt. 1421 e 2033 cod. civ., potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l’accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata all’attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo.
Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non é sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Peraltro, il solo presupposto della diversità dei soggetti parti del contratto di locazione e dell’accordo collegato non é idoneo ad escludere l’applicabilità dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978 nei confronti del locatore, parte anche del contratto collegato con il terzo, nè comporta l’inapplicabilità del rito locatizio di cui all’art. 447 bis cod. proc. civ., trattandosi, comunque, di controversia in materia di locazione, avente ad oggetto l’accertamento di un vantaggio indebito del locatore in relazione ad uno specifico contratto di locazione.
3 – di durata
Il riferimento vale soltanto per
1) la prestazione del locatore, perché costui non si limita a consegnare il bene, ma si obbliga a svolgere ogni attività necessaria per consentire al locatario il godimento pacifico;
2) non vale, invece, per la prestazione del locatario, la quale non deve essere necessariamente frazionata (anche se normalmente lo è ), ma può essere adempiuta anche in unica soluzione, vale a dire in modo istantaneo.
4 – normalmente di ordinaria amministrazione
Il contratto di locazione è considerato, in genere, atto di ordinaria amministrazione, salva la figura della locazione ultranovennale, espressamente considerata di straordinaria amministrazione, per la quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità e la trascrizione.
5 – ad effetti obbligatori
Problema tuttora aperto è quello sulla natura giuridica del diritto del locatario.
1 – A teoria[10] – del diritto reale
afferma che il diritto del conduttore è sostanzialmente identico a quello attribuito al titolare del diritto reale di godimento: anche il conduttore, infatti, è in rapporto diretto ed immediato con il bene e ne gode indipendentemente da qualsiasi prestazione del locatore.
2 – A teoria[11] – del diritto di credito –– contesta in primis che questo diritto abbia il carattere della realità (relazione immediata con la cosa ricevuta in locazione) : il conduttore gode del ben locatogli proprio in virtù della prestazione del locatore che gliene consenti l’utilizzazione, come suole dirsi, quotide et singulis momentis.
Si sottolinea ancora che manca un’autentica assolutezza, perché esso non può essere opposto erga omnes, ma soltanto nei confronti di determinati soggetti:
A) terzo acquirente ex art. 1599
B) nudo proprietario ex art 999
C) venditore con patto di riscatto ex art. 1505
3 – A teoria[12] – del diritto personale di godimento nell’ambito della categoria dei diritti di godimento, vengono, infatti, distinti diritti reali di godimento e diritti personali di godimento. Quest’ultimi, da un lato, hanno carattere di diritto reale, perché, sia pure entro certi limiti, permettono una utilizzazione diretta del bene da parte del titolare; dall’altro lato, rivelano il carattere del diritto di credito, perché sono esercitabili non erga omnes, ma soltanto nei confronti di determinati soggetti.
6) Tipico
In materia di locazione, ricorre un’ipotesi di locazione c.d. limitata, pur sempre rientrante nel contratto tipico ex art. 1571 cod. civ, nel caso di convenzione che importi l’impegno di fare appoggiare, al muro di un edificio, un’insegna pubblicitaria; ciò in quanto, pur se è vero che nel diritto personale di godimento assicurato con la locazione si ha una cessione dell’esercizio delle facoltà d’uso la quale normalmente ha natura assorbente e non lascia margini di godimento residuo al locatore, per la configurabilità della suddetta fattispecie tipica non è tuttavia necessaria la trasmissione, al conduttore, di tutte le utilità che la cosa può produrre.
Ne consegue che ben può la concessione ad altri del godimento essere convenzionalmente limitata ad una sua particolare utilità senza il trasferimento, al conduttore, della detenzione in via esclusiva del bene, rimanendo in tal caso il diritto del conduttore ed il corrispondente obbligo del locatore circoscritti, conseguentemente, all’uso limitato contrattualmente previsto[13].
Mentre[14] il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; obbligo di restituzione del terreno alla scadenza contrattuale previa chiusura della discarica mediante copertura dello scavo e sistemazione finale dell’area per l’utilizzazione a piazzale) integra gli estremi del contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, a ciò conseguendo la sussistenza di un obbligo di restituzione del bene, da parte dell’utilizzatore, tutte le volte in cui il rilascio costituisca (come nella specie) effetto previsto dal contratto ed espressamente collegato al raggiungimento della complessa causa della convenzione atipica, ovvero qualora la destinazione del bene all’uso convenuto non risulti più possibile per sopravvenuto «factum principis».
A) Il locatore
Per assumere la qualità di locatore non è necessario avere un diritto reale sulla cosa, in quanto il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall’esistenza e dalla titolarità da parte del locatore di un diritto reale sul bene, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità, la quale, tuttavia, dev’essere giuridica e non di mero fatto, cioè deve avere la sua genesi in un rapporto o titolo giuridico atto a giustificare il potere del locatore di trasferire al conduttore la detenzione ed il godimento del bene.
Principio ripreso anche da recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 dicembre 2016, n. 27021
In altre parole la legittimazione – a locare spetta, innanzitutto a chi è titolare di un diritto reale (proprietario – superficiario – enfiteuta – usufruttuario comunista – al creditore antitetico – al sequestratario e allo stesso conduttore, non all’usuario ed all’habitator per l’espresso divieto dell’art. 1024) sulla cosa locata.
Ne consegue che non può assumere la qualità di locatore colui che abbia soltanto la disponibilità di fatto del bene[15].
Principio mitigato da successiva giurisprudenza[16] secondo la quale il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, deve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell’efficacia di tale titolo.
Per altra Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 settembre 2013, n. 20371
è stato nuovamente affermato che chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in locazione, comodato, o costituirvi altro rapporto obbligatorio, ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorché il rapporto venga a cessare. Pertanto, il comodante che agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario non deve provare il diritto di proprietà, avendo soltanto l’onere di dimostrarne la consegna e il rifiuto di restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento. In altri termini, è principio generale che, una volta provata la disponibilità di un bene e la sua concessione ad altro soggetto, spetta a quest’ultimo dimostrare di avere valido titolo da opporre per poterne continuare la detenzione.
Infine, in merito alla figura del locatore, secondo la Cassazione penale[17] perché possa configurarsi il reato di cui all’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998 a carico di colui che abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di cittadini immigrati clandestini, mettendo a loro disposizione locali abitativi in locazione, è necessario che ricorra il dolo specifico, costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dello straniero, imponendo condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dall’equilibrio del rapporto sinallagmatico.
Se da un punto di vista obiettivo la concessione in locazione a cittadini extracomunitari e clandestini di locali a uso abitazione è idonea a integrare la condotta tipica del reato, essa non lo è necessariamente dal punto di vista soggettivo, dovendosi accertare in concreto se dalla stipula del contratto si sia inteso trarre indebito vantaggio dalla condizione di illegalità dello straniero, nella posizione di contraente debole, imponendogli condizioni onerose ed esorbitanti: in quest’ottica, la Cassazione ha censurato la sentenza della Corte d’appello per aver omesso qualsiasi indagine in ordine alle condizioni e alle clausole del contratto di locazione.
Così come, nell’ambito del favoreggiamento alla prostituzione, ancora per la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 giugno 2013 n. 28133
non può essere condiviso l’opposto orientamento giurisprudenziale (Cassazione, sezione III, 19 maggio 1999, n. 8600), secondo cui la semplice concessione in locazione dl un immobile a un soggetto del quale si sa che vi eserciterà la prostituzione integra il reato di cui all’art. 3, n. 8), della legge n. 75 del 1958, perché costituisce un contributo agevolatore di detta attività, consentendo condizioni più favorevoli sicure per il suo esercizio, Tale orientamento ha infatti la conseguenza dl allargare eccessivamente l’ambito di applicazione della tutela penale, rendendo punibile qualsiasi aiuto prestato alia prostituta e, in particolare, l’aiuto relativo alle sue esigenze abitative, che solo indirettamente agevolano l’attività di prostituzione; cosicché non sussiste un nesso causale penalmente rilevante della condotta dell’agente e l’evento dei favoreggiamento della prostituzione.
Il reato di favoreggiamento della prostituzione è configurabile solo laddove vi siano prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione dl un immobile ad una singola donna a prezzo di mercato (sezione 3, 23 maggIo 2007, n. 35373, Rv. 237400).
Principio confermato da altra successiva pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 luglio 2013, n. 28754
Ovvero in sentenza si legge che non puo’ tuttavia ignorarsi quell’orientamento giurisprudenziale assai datato, ma recentemente riaffermato, secondo il quale non e’ configurabile il delitto in parola laddove l’agente si limiti a concedere in locazione un immobile ad una prostituta quando sia soltanto la locataria a prostituirsi in quel luogo (Cass. Sez. 3 5.3.1984 n. 4996. Siclari, Rv. 164513; nello stesso senso, Cass. Sez. 3 3.5.1991 n. 6400, Tebaldi ed altri, Rv. 188540; Cass. Sez. 3 , 16.4.2004, n. 23657, Rincari, Rv. 228971; Cass. Sez. 3 23.2.2012 n. 7076 non massimata).
Nel fare richiamo all’indirizzo giurisprudenziale dinanzi menzionato, non e’ ravvisabile la condotta di favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (altrimenti potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi esercitera’ la prostituzione in via del tutto autonoma e per proprio conto: si tratta di orientamento che trova conferma nella stessa sentenza Donati, posto che anche in tale decisione si afferma che, per aversi la condotta di favoreggiamento, si deve essere in presenza di prestazioni e/o attivita’ ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato. La decisione ora menzionata, infatti, rileva “come la giurisprudenza che esclude il favoreggiamento in caso di mera locazione sia stata ispirata proprio dalla finalita’ di evitare aberrazioni non solo sul piano dell’etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis cui porterebbe la configurazione come favoreggiamento di qualsiasi aiuto prestato solo alla prostituta in quanto persona e non direttamente all’esercizio del meretricio in quanto tale” (v. per i riferimenti e richiami testuali, Cass. Sez. 3 7076/12 cit.).
La Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2014, n. 7338
nuovamente è tornata sul punto affermando un ulteriore principio secondo cui il reato di favoreggiamento dell’altrui prostituzione non è ravvisabile nella condotta di colui che concede in sublocazione ad una prostituta, con la quale ha instaurato un rapporto di convivenza, dietro corresponsione della metà del canone e delle spese, un immobile nella sua disponibilità ove la donna esercita il meretricio, poiché la mera stipulazione del contratto non concreta, di per sé, un oggettivo aiuto all’esercizio della prostituzione in quanto tale.
E’ stato, inoltre, affermato che se lo scopo specifico della locazione non è quello di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione, ipotesi sanzionata dall’art. 3 n. 2 legge 75/1958, la condotta del locatore non si concreta in un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, risolvendosi nella mera conclusione di un contratto attraverso la quale la donna realizza il proprio diritto all’abitazione. Si rileva, inoltre, che il negozio giuridico riguarda la persona e le sue esigenze abitative e non anche la attività di prostituta esercitata e, sebbene ciò agevoli indirettamente anche la prostituzione, tale rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente e l’evento di favoreggiamento della prostituzione, perché l’evento del reato non è la prostituzione stessa, ma l’aiuto alla prostituzione, che implica una condotta, da parte dell’agente, di effettivo ausilio per il meretricio, che non sussiste nel caso in cui la prostituzione sarebbe stata comunque esercitata in condizioni sostanzialmente equivalenti.
Ancora sul tema la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 novembre 2014, n. 47387
ha avuto modo di precisare che concedere in locazione un appartamento a prezzo di mercato a una prostituta, pur nella consapevolezza che questa lo utilizzerà per il meretricio, non giunge ad integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione, in difetto di un quid pluris che agevoli specificamente la prostituzione stessa. La corte territoriale, peraltro, non si è discostata dall’insegnamento nomofilattico, evidenziando chiaramente, invece, la necessità di identificare l’esistenza del quid pluris necessario per integrare il reato.
Si tratta, naturalmente, di una valutazione fattuale degli esiti del compendio probatorio, la quale può essere in questa sede vagliata esclusivamente sotto il profilo del vizio motivazionale, che il ricorrente ha indicato nella rubrica del motivo limitandosi peraltro a individuarlo in “nessun riferimento ad altre concrete attività poste in essere dal Pacifici, oltre quella di concedere in locazione l’immobile e, secondo la Corte di Appello, di essere a conoscenza” del meretricio svolto negli appartamenti.
B) Il conduttore
Il conduttore è la parte che gode della cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Ad esempio nella società di persone, la titolarità unitaria ed inscindibile in capo ai soci, considerati nel loro complesso unitario, delle situazioni giuridiche integranti il patrimonio sociale, implica che nel caso di società (nella specie di due soci) che abbia preso in locazione un immobile per esercitarvi l’attività sociale, titolari del rapporto locatizio siano i soci, sicché, ove a seguito di recesso degli altri, il socio rimasto continui nell’immobile la stessa attività, non si verifica alcuna modificazione soggettiva del rapporto di locazione con conseguente abusiva detenzione dello immobile locato, ma la titolarità della relativa posizione soggettiva, come dell’esercizio dell’attività imprenditoriale, si concentra nell’unico socio (con potenzialità di estensione ad altri futuri soci nel termine di sei mesi ex art. 2272, n. 4, cod. civ.), anche ai fini liquidatori per il periodo successivo, permanendo nel caso di liquidazione, con l’attribuzione a lui dei beni costituenti il patrimonio sociale previo soddisfacimento dei creditori sociali, in tale soggetto non più socio[18].
In merito poi alla successione nel diritto del conduttore l’erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto — analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione — quegli è un detentore precario della «res locata al de cuius», sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale[19].
Inoltre, l’art. 180, comma 2, cod. civ., non comporta l’ingresso automatico del coniuge pretermesso nel contratto di locazione stipulato dall’altro coniuge, ma solo il diritto di ottenere l’annullamento della locazione o di convalidarla (art. 184 cod. civ.) acquistando, in questo secondo caso, la qualità di parte nel rapporto contrattuale e quella di litisconsorte necessario nelle azioni relative al contratto proposte contro il coniuge che lo ha stipulato.
Conseguentemente, ad esempio, in mancanza di tale convalida, legittimato passivo nella controversia proposta dal locatore per l’esercizio del recesso ex art. 59 della legge n. 392 del 1978 è solamente il coniuge che ha stipulato il contratto, ancorché ciò sia avvenuto successivamente all’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975 ed in regime di comunione familiare[20].
Infine, è opportuno sottolineare, come da ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1 settembre 2014, n. 18486
che il conduttore che si trovi nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione di efficacia del contratto di locazione mantiene la veste e la qualità di conduttore, peraltro inadempiente all’obbligo di restituzione dell’immobile. Il conduttore, dunque, rimane detentore qualificato dell’immobile di cui continua a mantenere la disponibilità, pur dopo la scadenza del contratto, come tale è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria, ex art. 1168, secondo comma, cod. civ.
Non sembra dubitabile – si continua a leggere nella sentenza in commento – che la situazione del conduttore di immobile, nella fase successiva alla scadenza del contratto di locazione, sia differente da quella del detentore per ragioni di servizio o di ospitalità.
Neppure si può ritenere che il conduttore, a seguito e per effetto della scadenza del contratto di locazione, divenga un occupante senza titolo dell’immobile. Alla scadenza del contratto, ovvero del diverso termine fissato per il rilascio nel provvedimento di convalida, senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile, si determina una situazione di inadempimento contrattuale, espressamente prevista dall’art. 1591 cod. civ. che in proposito stabilisce che “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.
La giurisprudenza della Corte ha affermato, sin da epoca risalente, che nella fase successiva alla scadenza del contratto, e fintanto che il locatore non proceda all’esecuzione del provvedimento di rilascio, il conduttore che continui ad occupare l’immobile è soggetto ad una serie di obblighi, collegati al contratto, dovendo tra l’altro corrispondere al locatore il canone, fino alla riconsegna (art. 1591 cod. civ.), salvo il maggior danno, anch’esso di natura contrattuale (ex plurimis, Cass., Sez. II, sentenza n. 2672 del 1981; Sez. III, sentenza n. 1133 del 1999; Sez. III, sentenza n. 19139 del 2005; Sez. III, sentenza n. 2525 del 2006).
Non sussiste peraltro contrasto, tra il principio indicato e le affermazioni contenute in alcune pronunce di questa Corte, nelle quali si legge che “il conduttore rimasto nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione del contratto (nella specie, accertata giudizialmente) è tenuto al pagamento, da tale momento, dell’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., e non già del canone secondo le scadenze pattuite, perché, cessato il rapporto di locazione, la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata, anche quando è consentita dalla legge di sospensione degli sfratti” (Cass., Sez. III, sentenza n. 4484 del 2009; sentenza n. 11373 del 2010). Le pronunce da ultimo indicate fanno riferimento a casi in cui il legislatore è intervenuto a bloccare le procedure di rilascio, e in questo differente contesto qualificano come indennità il quantum dovuto dal conduttore ai sensi dell’art. 1591 cod. civ..
Il conduttore, dunque, rimane detentore qualificato dell’immobile di cui continua a mantenere la disponibilità, pur dopo la scadenza del contratto, come tale è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria, ex art. 1168, secondo comma, cod. civ.
C) Locazione e Comunione/Condominio
Secondo una prima ricostruzione della S.C.[25] nelle vicende del rapporto locatizio, l’eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, nel cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione[26].
Conseguentemente, ciascuno dei condomini-locatori può svolgere le azioni che derivano dal contratto, presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell’azione giudiziaria e salva la possibilità per costoro, ove rappresentino nell’ambito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all’azione medesima.
Recentemente sul tema è di nuovo intervenuta la S.C.[27] stabilendo alcuni principi:
1) la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all’articolo 2032 del codice civile, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’articolo 1705, secondo comma, codice civile, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato articolo 2032 codice civile, esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondenti alla quota di proprietà indivisa.
2) La ratifica da parte dell’altro comproprietario determina, dal suo manifestarsi, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato e tra gli effetti del mandato vi è proprio quello di cui all’articolo 1705, secondo comma, cc, che abilita il comproprietario non locatore a richiedere, per il tempo successivo alla ratifica, il pagamento pro quota del canone al conduttore.
3) La ratifica può essere espressa dalla domanda, che come nel caso affrontato, il comproprietario non locatore rivolga al conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, di vedersi attribuito il 50% dei canoni per il periodo successivo alla ratifica.
4) Mentre non potrà svolgere altre azioni derivanti dal contratto, essendo la facoltà del mandatario di sostituirsi al mandante limitata dall’articolo 1705, secondo comma, cc, ai crediti derivante dal contratto stipulato dal mandatario.
Con ultimo adagio la Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 giugno 2015, n. 12232
ha avuto modo di precisare che qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, così come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all’art. 1292 c.c., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori.
Principio ripreso da altra recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 26 ottobre 2015, n. 21709
secondo il quale nelle vicende del rapporto locatizio l’eventuale pluralita’ di locatori integra una parte unica, nel cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione. Conseguentemente, si e’ affermato che qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da piu’ locatori, ciascuno di essi e’ tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, cosi’ come, dal lato attivo, ognuno degli stessi puo’ agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarieta’ di cui all’articolo 1292 cod. civ., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non da luogo, percio’, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori (Cass., 22 giugno 2009, n. 14530; Cass., 18 luglio 2008, n. 19929).
Ancora sul punto la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1986
ha riaffermato il principio secondo il quale qualora in un contratto di locazione di immobile la parte locatrice sia costituita da più locatori, in capo a ciascuno dei comproprietari concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo, peraltro, a regole di comune esperienza che uno o alcuni dei comproprietari gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti; l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti.
Principio ancora una volta indicato da altra recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 dicembre 2016, n. 27021
secondo la quale allorquando viene stipulato un contratto locativo e la posizione di locatore sia in contitolarita’ fra una pluralita’ di soggetti, i diritti nascenti dal contratto verso il conduttore e, quindi, quello di pretendere il pagamento del canone e di attivarsi all’uopo anche giudizialmente, in difetto di previsione del contratto di un esercizio congiunto, sono da ritenere esercitabili tanto congiuntamente dai colocatori, quanto dal singolo o da alcuni dei colocatori, in quanto i relativi rapporti obbligatori ex latere della parte locatrice rilevano secondo le regole generali della comunione dei diritti, in quanto si ricollegano ed originano dalla comune manifestazione di volonta’ contrattuale concretatasi nella con titolarita’ della posizione di parte locatrice e, pertanto, non implicando disposizione della posizione comune, ma solo la sua attivita’ di gestione ordinaria, sono espressione del diritto di ciascuno all’amministrazione della posizione di contitolarita’.
In tema di condominio per la S.C.[28] il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di concorrere all’amministrazione di tale bene (art. 1105 cod. civ.), incontra il suo limite nell’obbligo di rispettare la volontà della maggioranza.
Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una molteplicità di condomini e dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa l’amministrazione ed il godimento della cosa comune e, quindi, della possibilità e volontà di disdire e far cessare, alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
La Cassazione[29] ha ulteriormente affermato che ai sensi dell’art. 1130, n. 4, cod. civ., da interpretarsi estensivamente, l’amministratore del condominio non solo è legittimato a compiere gli atti conservativi necessari a evitare pregiudizi alle parti comuni, ma può compiere atti anche per la salvaguardia dei diritti concernenti le stesse parti comuni delle quali ha la gestione.
Di conseguenza, come egli può locare un bene condominiale, così può pretendere il pagamento dei canoni e agire per il recupero degli stessi ove dovuti, l’importo dei quali verrà attribuito ai condomini secondo i millesimi di proprietà di ciascuno. Ciò non esclude che ciascun condomino possa provvedere direttamente, ma si tratta di un potere concorrente e non necessario.
Per altra pronuncia[30] il conduttore, cui é concesso il godimento della cosa comune nei limiti della quota della sua proprietà, ha la detenzione di questa insieme agli altri condomini, perché il suo uso parziale e concorrente con quello degli altri lascia il rapporto nell’ambito del contratto di locazione, il quale non presuppone che il godimento della cosa sia esclusivo. Ne consegue che nei confronti del conduttore di un immobile, che ne abbia acquistato la proprietà per una quota parte, non può essere conseguita dal locatore la risoluzione della locazione, non potendo l’acquirente essere privato del compossesso del bene conseguito con l’acquisto.
Mentre, qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la proprietà di una quota pro indiviso del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virtù del pregresso titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all’assunta nuova qualità di proprietario, mentre il rapporto di locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualità di conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d’uso del bene secondo le pregresse pattuizioni. Ne deriva altresì che il comproprietario locatore può validamente esperire l’azione di risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell’art. 1103 cod. civ.[31]
Può succedere anche che la sentenza che accerti la scadenza del termine di locazione, o che pronunzi la risoluzione del contratto, condanna il conduttore al rilascio in favore del comproprietario — locatore della quota locata del bene comune (se in questi termini vi è stata domanda), senza che a ciò sia di impedimento la circostanza che il conduttore detenga per altro titolo la restante parte del bene comune, poiché in questo caso si realizza un’ipotesi di codetenzione del bene tra i due soggetti.
In tal caso, ove si tratti di beni immobili, in difetto di spontanea esecuzione, la sentenza va eseguita coattivamente nelle forme dell’esecuzione forzata per rilascio, osservandosi il disposto dell’art. 608 cod. proc. civ., per cui l’ufficiale giudiziario deve ingiungere ai codetentori (qualificati) di riconoscere il compossessore, fermo il contratto ed il conseguente costituito rapporto tra i predetti ed il compossessore concedente nei loro confronti[32].
Particolare risulta un’altra pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 18596 del 29 ottobre 2012
secondo la quale per il concreto utilizzo in favore del portiere del locale destinato a tale utilizzo, il condominio deve stipulare un contratto di locazione e che la sua l’occupazione in assenza di questo, costituisce occupazione senza titolo.
In tema di sfratto intimato al conduttore[33] da uno dei comproprietari dell’immobile locato, il consenso dell’altro comproprietario all’intimazione deve presumersi in mancanza di prova contraria[34].
Il comproprietario può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione, sicché non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti[35].
Infine, se nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di esso, per pretendere il pagamento del canone, hanno l’onere di dimostrare la loro legittimazione, perché la modifica soggettiva del contratto, innovando sulle modalità di adempimento (art. 1362, secondo comma, cod. civ.), determina uno stato di incertezza per il conduttore che il creditore ha l’onere di rimuovere, onde rendere possibile la prestazione, in attuazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto; in mancanza dell’assolvimento di tale onere di collaborazione è giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed è invece idonea a costituire la mora accipiendi l’offerta del canone all’originario contitolare del relativo diritto[36].
D) Locazione ed Usufrutto
Orbene, secondo una non recente pronuncia della S.C.[38], supposta l’originaria coincidenza tra la posizione di titolare della piena proprietà e di quella di locatore, ove successivamente la piena proprietà, per eventi di carattere traslativo o costitutivo, venga a scindersi, nel senso dell’attribuzione della nuda proprietà e dell’usufrutto rispettivamente a soggetti diversi, non vi è dubbio che la qualità di locatore, per tutti i riflessi attivi e passivi, sostanziali o processuali venga a concentrarsi nel titolare dell’usufrutto e ciò tanto nella costituzione dell’usufrutto mediante atto tra vivi, in quanto nella costituzione dell’usufrutto stesso mortis causa.
In quest’ultimo caso il principio secondo cui la titolarità dei rapporti obbligatori attivi e passivi sorti originariamente in testa al de cuius debbono intendersi trasmessi all’erede, successore nell’universum ius del defunto e non all’eventuale usufruttuario tale costituito per testamento o per legge ex re certa od anche di tutto il patrimonio, trova una limitazione allorché si tratti di contratti e di rapporti obbligatori di durata, quali quelli di locazione, strettamente inerenti al godimento della cosa, rapporti i quali, nel caso di usufrutto attribuito a persona diversa dall’erede, non possono non concentrarsi nella persona dell’usufruttuario, atteso il nesso di stretta corrispettività e interdipendenza tra il diritto alla percezione in via immediata e diretta dei frutti civili (pigioni)maturati dal giorno dell’apertura della successione e la pretesa contrapposta del conduttore e il godimento della cosa locata.
Inoltre,[39] la continuazione del rapporto di locazione concluso dall’usufruttuario nel caso di cessazione dell’usufrutto — prevista, per la durata contrattualmente stabilita, dall’art. 999 cod. civ. — comporta necessariamente (non diversamente da quanto stabilito, con riferimento alla compravendita del bene locato, dall’art. 1599 cod. civ.[40]), che titolare del rapporto divenga il nuovo avente diritto al godimento, verificandosi un fenomeno di cessione ex lege del contratto, per l’operatività della quale non occorre il consenso e l’adesione del conduttore.
Conseguentemente, il soggetto subentrato in tutti i diritti del precedente locatore acquisisce anche quello alla risoluzione del contratto nei confronti del conduttore per inadempienze verificatesi successivamente all’evento modificativo della titolarità del rapporto, mentre la comunicazione di tale evento al conduttore ha il solo scopo di porlo in grado di adempiere ai propri doveri nei confronti del soggetto subentrato ex lege nella posizione di locatore.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 20 luglio 2016, n. 14834
ha affermato che
l’estinzione del diritto di usufrutto, pur comportando l’opponibilita’ al proprietario (nei limiti di cui all’articolo 999 c.c.) dei contratti di locazione conclusi dall’usufruttuario, non determina – di per se’ – l’effettivo subentro nel rapporto di locazione del pieno proprietario ove questi rimanga del tutto silente ed estraneo al rapporto;
per esercitare i diritti derivanti dal rapporto (compreso quello di farne dichiarare la risoluzione), il locatore non e’ dunque tenuto a dimostrare la persistente titolarita’ di un diritto reale sul bene, ne’ il conduttore puo’ pretendere la dimostrazione di tale diritto per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio e per contestare la legittimazione dell’attore, a meno che non risulti che il (pieno) proprietario abbia manifestato la volonta’ di fare proprio il rapporto, subentrando al locatore e privandolo della disponibilita’ del bene;
fino a quando cio’ non si verifichi, ossia fintantoche’ il (pieno) proprietario non manifesti la volonta’ di subentrare effettivamente nella posizione dell’originario locatore, il rapporto di locazione prescinde dalle vicende attinenti la titolarita’ dei diritti reali sul bene e la vicenda rimane “centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore” , in coerenza con la sua natura “personale”;
– ne consegue che, silente il proprietario, la morte dell’originario usufruttuario/locatore determina la trasmissione della titolarita’ del rapporto di locazione agli eredi, con possibilita’ – per essi – di esercitare i diritti e le azioni che derivano dalla locazione e senza che il conduttore possa contestarne la legittimazione per il solo fatto che sia venuto meno il diritto di usufrutto.
2) Trasmissibilità dei diritti del locatore ed il conflitto tra più conduttori
La vendita dell’immobile locato comporta la successione a titolo particolare nel rapporto di locazione del compratore, il quale diviene parte nei confronti del conduttore per tutti gli ulteriori diritti ed obblighi inerenti alla prosecuzione del contratto dopo la data di acquisto con conseguente sua legittimazione a richiedere il rilascio dell’immobile alla scadenza ed il risarcimento del danno per ritardata restituzione, ex art. 1591 cod. civ.
Tuttavia, avendo detto principio carattere dispositivo, il venditore ed il compratore possono convenire che il rapporto di locazione, per tutta la durata convenzionale, continui a svolgersi nei confronti dell’alienante, che così mantiene la posizione di locatore e la legittimazione per tutte le azioni derivanti dal rapporto stesso, comprese quella diretta al rilascio del bene alla scadenza e quella per il risarcimento dei danni per ritardata consegna[41].
Inoltre[42], non è nullo il contratto di locazione stipulato da chi, essendo già proprietario dell’immobile locato, pochi giorni dopo detta stipula venda il bene ad altro soggetto e convenga con quest’ultimo di mantenerne il godimento nonostante l’alienazione, atteso che la locazione deve considerarsi conclusa sulla base della presupposizione che ad essa sarebbe seguita la stipula del contratto di vendita e, pertanto, sull’esplicito richiamo ad una circostanza ad essa “esterna” che, pur se non specificamente dedotta come condizione, costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia del regolamento pattizio, assumendo per entrambe le parti valore determinante ai fini della sua conclusione e del “mantenimento” del vincolo contrattuale.
Mentre, poiché le obbligazioni che nascono dal contratto di locazione sono sempre di natura personale, deve escludersi che un impegno assunto dal locatore (nella specie, per il rimborso al conduttore di alcune migliorie) possa essere costitutivo di una obbligazione propter rem, trasferibile con la proprietà dell’immobile locato[43].
In caso di conflitto tra più conduttori il legislatore ha dovuto predisporre un criterio di preferenza e, qualora non si tratti di locazione ultranovennale (per la quale vale la priorità della trascrizione ex artt. 2643, n. 8 e 2644), lo ha fatto con il sistema contenuto nell’art. 1380.
art. 1380 c.c. conflitto tra più diritti personali di godimento: se, con successivi contratti, una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento (locazione, affitto, comodato, anticresi, ecc.) relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito.
Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa (2704) anteriore [(questa soluzione ha dato luogo a perplessità soprattutto al fine di individuare il momento in cui il contraente anteriore abbia preferenza e non debba più preoccuparsi che l’altro contraente consegua, prima di lui, il godimento, ottenendo in tal modo i vantaggi previsti dal primo comma – la soluzione preferibile è quella di chi ritiene (Messineo) che il contraente anteriore, anche senza conseguire il godimento, sia definitivamente preferito dal momento in cui abbia richiesto giudizialmente l’adempimento del contratto)].
Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione (2644 e seguenti).
Il problema che ha dato luogo a maggiori contrasti riguarda l’ipotesi in cui il godimento della cosa locata conseguito in un primo tempo da un conduttore sia stato, successivamente, attribuito ad un altro conduttore.
A) una tesi sostenuta da autorevole dottrina[44] richiede, ai fini della preferenza, non solo la priorità, ma anche l’attualità del possesso ed adduce ancora una volta ad argomento il fatto che, essendo il diritto del conduttore di natura personale, non può essere opposto al terzo, qual è il conduttore, attuale possessore;
B) ma prevale in giurisprudenza l’opinione, seguita da altra dottrina[45], secondo la quale il 1 co dell’art. 1380 accorda la tutela preferenziale a chi ha conseguito per primo il possesso, a nulla rilevando che successivamente l’abbia perduto.
Mancanza di godimento da parte del primo locatario
Un problema di non facile soluzione riguarda il raccordo tra il 1 e il 2 co dell’art. 1380: si domanda, cioè, se prevalga e (se la risposta è affermativa) fino a quale momento, il titolare di un contratto anteriore di data certa su colui che ha un contratto posteriore ma ha ottenuto per primo il godimento.
Ad es.[46] Tizio ha stipulato nel maggio del 2012 un contratto di locazione, regolarmente registrato (data certa), con il locatore Caio, e costui non solo rifiuta di dargli il possesso del bene locato, ma nel luglio del 2012 stipula un altro contratto di locazione, avente lo stesso oggetto con Sempronio, che, invece, ottiene subito il godimento.
Si chiede se la posizione di Tizio, concessagli dal 2 co dell’art. 1380, sia stata completamente vanificata dal comportamento di Caio e di Sempronio.
La soluzione[47] è quella secondo la quale il primo locatario non perde il diritto di essere preferito, se prima che il secondo locatario consegua il godimento, proponga nei confronti del locatore domanda di adempimento.
Nell’esempio fatto Tizio dovrà subito chiedere giudizialmente a Caio il possesso del bene locatogli ed evitare che costui stipuli un secondo contratto con altra persona, alla quale dia il godimento.
3) I requisiti del contratto
A) Accordo delle parti
La locazione produce i suoi effetti dal momento in cui si forma l’accordo attraverso la proposta e l’accettazione.
La consegna al conduttore della cosa locata non è elemento costitutivo del contratto, ma atto di adempimento di una delle due obbligazioni assunte dal locatore.
Ammissibilità di un preliminare[48] di locazione anche se la sua utilità, indubbia quando trattasi di preliminare unilaterale, è meno evidente quando si tratta di preliminare bilaterale.
In tema di preliminare di locazione, per ultima Cassazione[49], è correttamente qualificato nullo per indeterminabilità dell’oggetto – e non vi è quindi inadempimento delle obbligazioni che vi si vorrebbero ricollegare, tale da fondare un diritto al risarcimento – il contratto con cui una parte si impegni genericamente a stipulare un futuro contratto di concessione del godimento di locali genericamente come necessari per lo svolgimento di un’attività, quando sia prospettato, in primo luogo, alternativamente che tanto possa avvenire con o senza corrispettivo e, soprattutto, quando manchi la descrizione dei beni, l’indicazione della durata e, per il caso di contratto oneroso, il corrispettivo del godimento.
Né – potendo giovare la considerazione di manifestazioni di volontà di una od entrambe le parti anteriori al contratto, se non trasfuse nel suo tenore letterale con apprezzabile grado di concretezza, ovvero del quadro normativo di riferimento, ove da esso non si ricavino con analoga concretezza i detti elementi essenziali
La Locazione di cosa altrui[50]
Se il conduttore è titolare di un diritto personale di godimento il locatore, al momento della conclusione del contratto, dovrà essere proprietario o titolare di un diritto di godimento, dal contenuto proporzionato, sulla cosa formante oggetto di concessione (ad es. usufrutto, enfiteusi o locazione), con possibilità anche di cedere il contratto insieme al diritto.
In difetto di tale titolarità, il conduttore potrà agire per la risoluzione del contratto.
In dottrina[51] negano che la nascita di tale diritto personale di godimento, ritenendo invece che il conduttore non possa agire in risoluzione fino a quando riesce a godere pacificamente della cosa.
Dalla lata dizione dell’art. 1571 questa teoria desume dunque che il contratto di locazione di cosa altrui è valido e efficace se e fino a quando il locatore ha la disponibilità pur se solo di fatto della cosa locata ed è in grado di consegnarla prima e di garantirne il pacifico godimento al conduttore.
B) La causa
Essa consiste nello scambio tra il godimento di una cosa che una parte concede all’altre, ed il corrispettivo che questa si obbliga a dare alla prima.
C) La forma
Il contratto di locazione come regola generale non è soggetto ad onere di forma, ad eccezione delle locazioni ultranovennali per le quali è prevista la forma scritta ad substantiam e le locazioni ad uso abitativo, per le quali, come avremo modo di vedere successivamente, a norma dell’art 1, co. 4 L 9.12.’98, n. 431[52], è prescritta la forma scritta anche per un periodo non superiore a nove anni.
E’ peraltro utile ricordare che in materia di contratti stipulati dalla P.A. deve ritenersi comunque necessario l’atto scritto ad substantiam[53].
Anzi[54], per la valida stipulazione di un contratto in cui uno dei contraenti sia un Ente Locale non sono sufficienti due separate dichiarazioni scritte, ma occorre che proposta e accettazione siano versate in un unico contesto scritto.
Si segnala, al riguardo, anche un pronuncia del Consiglio di Stato[55], secondo cui tutti i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente a tal fine la deliberazione dell’organo dell’ente pubblico ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la disciplina del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi.
Ai sensi dell’art. 192 T.U. Enti Locali (D. L.gs. 18/8/2000, n.267) la stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita determinazione del responsabile del procedimento di spesa, indicante, tra l’altro, il fine che con il contratto si intende perseguire, l’oggetto del contratto, la sua forma, le clausole ritenute essenziali, le modalità di scelta del contraente e le ragioni che ne sono alla base (determinazione a contrattare).
Inoltre la locazione ultranovennale deve essere trascritta (art. 2643 n. 8), e tale trascrizione inciderà
1) nei confronti dei terzi che, a qualunque titolo abbiano acquistato diritti sugli immobili (art. 2644),
2) nei confronti del creditore pignorante (art. 2915) ed
3) ai fini della risoluzione del conflitto fra più soggetti cui sia stato concesso in locazione il medesimo bene.
È discusso se la locazione ultranovennale, nulla per difetto di forma, possa essere convertita in una locazione infranovennale:
A) tesi negatrice[56] – si basa sulla considerazione che la normativa sulla conversione (1424 c.c.) richiede la diversità fra il contratto nullo e il contratto convertito, laddove la locazione infranovennale appartiene allo stesso tipo di quella ultranovennale.
B) la tesi positiva[57], seguita dalla dottrina prevalente, per la quale la < diversità > può anche riguardare non la causa, ma il contenuto del contratto; quindi anche la sua durata.
Deve, naturalmente, ritenersi che le parti, tenuto conto dello scopo perseguito, avrebbero voluto anche il contratto di locazione infranovennale se avessero conosciuto la nullità.
In osservanza del principio di simmetria, tutti gli atti prodomici (preliminare, procura a concludere un contratto di locazione ultranovennalee ratifica del contratto di locazione concluso dal falsus procurator) alla locazione ultrranovennale o ad uso abitativo devono rivestire la stessa forma prevista per quest’ultimi contratti.
D) La registrazione (per i contratti ad uso abitativo e commerciale) e la nullità (inesistenza) dei contratti orali ad uso abitativo
In linea generale i contratti di locazione di immobili nel territorio nazionale sono soggetti (oltre che all’imposta di bollo) all’obbligo di registrazione con aliquota proporzionale pari al 2% del corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto; in ogni caso l’ammontare dell’imposta di registro non può essere inferiore a Euro 67,00 (così l’art.5, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 26/4/1986, n. 131, e succ. mod.).
Sono soggette a registrazione solo in caso d’uso anche le locazioni (ed affitti) di immobili, non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno (art.2-bis Parte II, Tariffa).
Obbligati a richiedere la registrazione sono:
- le parti contraenti per le scritture private non autenticate e per i contratti verbali (per la locazione, come modificato con la legge di stabilità 2016 di cui apprreso – forse perchè tale articolo non è stato modificato – solo il locatore);
- i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati (art.10 D.P.R. cit.).
Ai sensi dell’art. 8 L.392/1978, gli oneri di registrazione sono per metà a carico del locatore e per metà a carico del conduttore.
La parte che ha provveduto al pagamento dell’imposta di registro può rivalersi nei confronti dell’altra parte di quanto a carico della medesima.
E’ possibile anche la registrazione telematica ex art. 5 del D.P.R. 404/2001 che rimane, appunto, una facoltà e non un obbligo per tutti gli altri soggetti tenuti alla registrazione della locazione.
La legge 44/2012 estende poi l’obbligo di registrazione telematica a una seconda categoria di soggetti, che nella versione originaria dell’art. 5 del D.P.R. 404/2001 non erano invece stati menzionati come soggetti obbligati ad adottare la procedura di registrazione telematica: si tratta come detto degli agenti di affari in mediazione iscritti nella sezione degli agenti immobiliari.
Infine, il deposito cauzionale[58], art. 11 L.392/1978, applicabile alle locazioni di che trattasi per espresso richiamo operato dall’art.41 della stessa legge), non sussistendo vincolo di interdipendenza col contratto di locazione, è soggetto all’imposta di registro per una aliquota pari allo 0,50%.
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La mancata registrazione – il percorso normativo e giurisprudenziale sugli effetti
In generale per gli atti soggetti alla registrazione (art.17 D.P.R. 131/1986, da ultimo modificato dall’art. 68 della legge 21/11/2000, n. 342) chi omette la richiesta di registrazione è soggetto alla sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta (art. 69 D.P.R. 131/1986).
Inoltre, se viene occultato anche in parte il corrispettivo convenuto, si applica la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato (art.72 D.P.R. 131/1986).
Preliminarmente, poi, come chiarito dalla Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 gennaio 2017, n. 2037
l’obbligo di registrazione, con imposta fissa, dei contratti di locazione si riferisce solo ai contratti definitivi. In tal senso depongono sia la lettera che la ratio della norma; quanto a quest’ultima risulta di tutta evidenza che la finalità antielusiva, volta a contrastare il fenomeno dei canoni sommersi, ha ragione di esplicarsi unicamente in relazione a contratti definitivi, giacché l’ipotesi dell’elusione non è configurabile in riferimento al mero preliminare di locazione, da cui non sorge alcun obbligo di pagamento del canone.
Sulle sanzioni in materia di imposta di registro vedasi anche la Circolare del Ministero delle Finanze 19/11/1998, n°267/F.
In realtà per i contratti di locazione, come si avrà modo di leggere da qui a poco, originariamente con il D.Lgs. n. 23/2011 venne introdotto [e successivamente abrogato] il principio della sanabilità del contratto di locazione non registrato, non prevedendo più una sanzione ma un correttivo del contratto al fine di far emeregere la grande maggioranza dei contratti “a nero” esistenti.
Precedentemente, invece, la legge Finanziaria del 2005 così prevedeva in merito alla mancata registrazione: “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati” (art. 1, comma 346).
Ed il quesito se l’art. 1 comma 346 l. n. 311 del 2004 si applicasse ai soli contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge o anche ai contratti in corso, doveva essere risolto nel senso di ritenere che la norma si applicasse soltanto alle locazioni stipulate dopo la entrata in vigore della “nuova norma sanzionatoria”, perchè in precedenza era prevista, soltanto, una sanzione di natura tributaria.
Ebbene il D.Lgs. n. 23/2011 ha introdotto il principio della sanabilità del contratto di locazione non registrato: nel caso di mancata registrazione dei contratti di affitto entro 30 giorni dalla stipula del contratto o dalla sua esecuzione, infatti, la durata della locazione è di quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, oltre quattro anni di rinnovo e a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e operai.
Chiarendo che la mancata registrazione non comportasse una nullità assoluta, il D.Lgs. n. 23/2011 ha risolto, fino all’intervento della Corte Costituzionale che si avrà modo di specificare a breve, la problematica interpretativa che considerava il contratto non registrato nullo senza possibilità di essere sanato e quindi come mai esistito, non permettendo, pertanto, di chiedere la registrazione e somme a titolo di versamento di imposte e sanzioni.
Ma tale intervento normativo è stato dichiarato incostituzionale per eccesso di delega.
In forza del decreto legislativo menzionato, il conduttore aveva la possibilità di impedire che venissero conclusi contratti non registrati, avendo a disposizione i mezzi necessari per regolarizzare il rapporto contrattuale: non aveva l’obbligo di fornire il contratto ed era unicamente sottoposto alla solidarietà nel pagamento dell’imposta di registro dovuta e non versata.
L’articolo 3, comma 8, del D.Lgs. n. 23/2011 stabiliva che: ai contratti di locazione degli immobili a uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:
a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;
c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale , oltre l’ adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati e operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.
Questo per quanto riguarda un primo sunto degli interventi normativi, mentre sul punto sono sorti nel corso degli anni diversi contrasti giurisprudenziali successivamente, poi, risolti dalle sezioni unite del 2015, che a breve si avrà modo di leggere.
La pronuncia più importante sul punto è quella del 27 ottobre 2003, n. 16089, secondo la quale la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità, in quanto, nonostante l’indubbio risalto dato dalla legge n. 431/1998 al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto, atteso che l’art. 1, comma 4° della legge richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione, sicché un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio.
In estrema sintesi, gli assunti a base questo orientamento erano i seguenti:
- la mancata registrazione del contratto di locazione non determinava alcuna nullità negoziale (non essendo stata la registrazione elevata a requisito di validità del contratto);
- la correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l’omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non era desumibile dal tenore dell’art. 13, commi 1 e 2, della legge 431/1998;
- il contratto scritto ma non registrato doveva ritenersi valido, stante la “palese irragionevolezza” della tesi secondo cui si sarebbe sanzionata con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (ossia quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non era viceversa prevista in caso di totale omissione dell’adempimento;
- si configurava piuttosto una legittima ipotesi di simulazione relativa, con la conseguenza che il canone dovuto non poteva che essere quello effettivamente voluto dai contraenti e risultante dalla controdichiarazione inter partes.
Ma, con ultimo intervento con argomentazioni tutt’altro che illogiche
Corte di Cassazione, sezione III, ordinanza 3 gennaio 2014, n. 37.
la medesima sezione ha rimesso alle Sezioni unite la questione relativa alla validità dei contratti di locazione non registrati – essendo da ritenersi superata la precedente posizione, (sentenza n. 16089/2003).
Si legge nelle argomentazioni poste nella sentenza che, non appaiono più condivisibili in particolare gli assunti (posti nella sentenza 16089/2003 e dalla dottrina) secondo cui:
a) la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità (non essendo stata la registrazione del contratto di locazione elevata a requisito di validita’ del contratto);
b) la correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l’omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non è desumibile dal tenore della Legge n. 431 del 1998, articolo 13, commi 1 e 2;
c) il contratto scritto ma non registrato e’ valido, stante la “palese irragionevolezza” della tesi secondo cui si sia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione alla imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non e’ viceversa prevista in caso di totale omissione dell’adempimento.
Orbene, ravvisando la necessità di rimeditare all’orientamento interpretativo delineato dalla Cass. n. 16089 del 2003 alla stregua dell’evoluzione interpretativa della Corte successivamente maturata in tema di causa concreta del contratto e di abuso del diritto; “contraddittoriamente con quanto affermato comporterebbe la necessita’ di farsi luogo ad un revirement di un orientamento interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, al fine di evitarsi – in una materia connotata da una diffusissima contrattazione e caratterizzata da un’accentuata litigiosita’ – un contrasto potenzialmente foriero di disorientanti oscillazioni interpretative che potrebbero conseguirne, e comunque quale questione di massima di particolare importanza”, il Collegio ha ritenuto opportuno rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale relativa assegnazione alla Sezioni Unite.
Successivo alle sezioni semplici della S.C. è l’intervento della Corte Costituzionale
Corte Costituzionale, sentenza n. 50 del 14 marzo 2014
la quale, come già scritto in precedenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale)
Il Tribunale di Salerno (r.o. n. 206 del 2012), il Tribunale di Palermo (r.o. n. 49 del 2013), il Tribunale di Firenze (r.o. n. 78 del 2013), il Tribunale di Genova (r.o. n. 169 del 2013), nonché il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia (r.o. n. 225 del 2013), sollevavano – in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53, 55, 70, 76 e 97 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella parte in cui prevedevano un meccanismo di sostituzione sanzionatoria della durata del contratto di locazione per uso abitativo e di commisurazione del relativo canone in caso di mancata registrazione del contratto entro il termine di legge, nonché l’estensione di tale disciplina – e di quella relativa alla nullità dei contratti di locazione non registrati – anche alle ipotesi di contratti di locazione registrati nei quali sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo, o di contratti di comodato fittizio registrati.
Le disposizioni denunciate, inoltre, risultavano non proporzionate all’inadempimento fiscale dell’omessa registrazione nei termini e non perseguivano un obiettivo di interesse pubblico, limitandosi ad introdurre solo il predetto meccanismo premiale per il conduttore – con correlativo turbamento del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica – senza generare alcun incremento di entrate per il fisco. Riducendosi il canone, si sarebbe ridotto, infatti, anche l’ammontare dell’imposta di registro oltre che il gettito delle imposte dirette.
La disciplina in esame creava, ancora, una irragionevole disparità di trattamento tra locazioni ad uso abitativo ed altri tipi di locazione e si poneva in contrasto con i princípi di autonomia negoziale e con il disposto dell’art. 1419 del codice civile, in base al quale il contratto parzialmente nullo è fatto salvo solo ove risulti che le parti lo avrebbero ugualmente concluso.
La questione proposta dagli altri giudici rimettenti è stata ritenuta, invece, fondata, in particolare riferimento al parametro di cui all’art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega.
Ebbene è emerso con evidenza che la disciplina oggetto di censura – sotto numerosi profili “rivoluzionaria” sul piano del sistema civilistico vigente – si presentasse del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione: in riferimento
1) sia al relativo àmbito oggettivo;
2) sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega.
Con la legge n. 42 del 2009, infatti – come emblematicamente enunciato dalla disposizione programmatica di cui all’art. 1, comma 1 –, il Parlamento ha inteso introdurre «disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese».
Accanto a ciò, l’obiettivo dichiarato era quello di disciplinare «i princípi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni», dettando «norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale».
Del tutto coerenti appaiono, quindi, «oggetto e finalità» della delega definiti dall’art. 2 della legge, ove si precisava, appunto, che l’esercizio della funzione legislativa era conferito «al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica».
Si trattava, dunque, di un àmbito normativo rispetto al quale il tema di cui alla disciplina denunciata risultava del tutto estraneo, essendo questa destinata ad introdurre una determinazione legale di elementi essenziali del contratto di locazione ad uso abitativo (canone e durata), in ipotesi di ritardata registrazione dei contratti o di simulazione oggettiva dei contratti medesimi, pur previste ed espressamente sanzionate nella disciplina tributaria di settore.
La tesi dell’Avvocatura generale, secondo cui un principio della delega sarebbe stato ricavabile dall’art. 26 della legge, in tema di contrasto all’evasione fiscale, che – specificando quanto previsto all’art. 2, comma 2, lettera d) – evocava, al comma 1, lettera b) «forme premiali per gli enti territoriali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggiore gettito» non è stata ritenuta condivisibile.
Per la Corte il tema della lotta all’evasione fiscale, che costituiva un chiaro obiettivo dell’intervento normativo in discorso, non poteva essere configurato anche come criterio per l’esercizio della delega: il quale, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti. Né il riferimento alle «forme premiali» poteva ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo “sanzionatorio” oggetto di censura.
Del resto – e come puntualmente messo in evidenza dai giudici di primo grado – nella citata legge di delegazione si formulava un preciso enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio e criterio direttivo generale, secondo il quale – nel richiamare (art. 2, comma 2, lettera c), «razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso» (compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatorio ed i “rimedi” tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione) – espressamente prescriveva di procedere all’esercizio della delega nel «rispetto dei princípi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212».
Statuto che, a sua volta prevede, all’art. 10, comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto»: con l’ovvia conseguenza che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata.
Mentre, con due pronunce del 17 settembre 2015 le Sezioni Unite
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18213
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18214
compulasate, come già scritto, sia dall’ordinanza n. 37 del 2014 che da quella n. 20480 del 2014, hanno definitivamente [si spera] statuito sulla invalidità dei contratti non aventi la forma scritta e la mancata registrazione del contratto [anche tardiva] e della scrittura privata collegata avente un canone superiore [utilizzata nella prassi ].
A seguito della richiesta di revirement dalla III^ sezione con l’ordinanza n. 37, come già menzionata in precedenza, avendo evidenzianto la necessita’ di rimeditare l’orientamento espresso da Cass. 16089 del 2003, secondo cui, in tema di locazioni abitative, la Legge 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, nel prevedere la nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al comma 2, l’azione di ripetizione), non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (ne’ a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacche’, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell’adempimento fiscale), non puo’ sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullita’ la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata. La nullita’ prevista dal citato articolo 13, comma 1, e’ volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone piu’ elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (descritto, come impone, a pena di nullita’, l’articolo 1, comma 4, della medesima legge, e registrato, in conformita’ della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti di locazione indipendentemente dall’ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilita’, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto (salva la previsione di forme di aggiornamento, come quelle ancorate ai dati Istat), con la prima pronuncia le Sezioni Unite, dopo ampio ragionamento, al quale si rimanda alla lettura integrale della sentenza, non dando ulteriore seguito all’interpretazione della norma adottata dalla Corte con la piu’ volte ricordata sentenza n. 16089 del 2003 hanno affermato il seguente principio:
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998, in ipotesi di locazione ad uso abitativo registrata per un canone inferiore al reale, il contratto resta valido per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio relativo al maggior canone è affetto da nullità, insanabile dall’eventuale registrazione tardiva.
Alla seconda adunanza plenaria, con l’ordinanza n. 20480, veniva chiesto, inoltre, se, in materia di locazioni abitative, l’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede che “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”, prescriva il requisito della forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se l’eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di protezione alla luce della disposizione di cui all’art. 13, comma 5 della stessa legge, a mente del quale “Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
A tale quesito si è risposto con il seguente principio che si ricava sul punto: in tema di contratti di locazione ad uso abitativo è necessaria la forma scritta ad essentiam, limitando la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’art. 13, comma 5 della L. n. 431 del 1998, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. Il conduttore potrebbe, cioè far valere egli solo la nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all’interno di un rapporto giocoforza asimmetrico. Il giudice dovrà pertanto accertare, da un canto, l’esistenza del contratto di locazione stipulato verbalmente in violazione dell’art. 1, comma 4, della L. n.431 del 1998, e, dall’altro, la circostanza che tale forma sia stata imposta da parte del locatore e subita da parte del conduttore contro la sua volontà, così determinando ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli accordi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori ai sensi del comma 3 dell’articolo 2, con il conseguente diritto del conduttore alla restituzione della eccedenza pagata. La nullità di protezione, e le relative conseguenze, sarà pertanto predicabile solo in presenza dell’abuso, da parte del locatore, della sua posizione “dominante”, imponendosi il tal caso, e solo in esso, a causa della eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. In concreto, sarà pertanto necessario che il locatore ponga in essere una inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale, mentre, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal conduttore), torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone “concordato” – poiché la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante.
Successivamente, tornando al quadro normativo abbandontao in precedenza, anche a seguito delle pronunce delle sezioni unite, con un nuovo intervento, Legge di Stabilità 2016 – art. 1, comma 59, L. 28.12.2015, n. 208 con decorrenza dal 01.01.2016, il Legislatore ha modificato l’art. 13, legge n. 431/1998 “Patti contrari alla legge” andando ad inserire importanti novità.
1. È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. È fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), del codice civile.
2. Nei casi di nullità di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato.
3. È nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge.
4. Per i contratti di cui al comma 3 dell’articolo 2 è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie. Per i contratti stipulati in base al comma 1 dell’articolo 2, è nulla, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito.
5. Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato.
6. Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi all’autorità giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è, altresì, consentita nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. Nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati. L’autorità giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.
7. Le disposizioni di cui al comma 6 devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge.
8. I riferimenti alla registrazione del contratto di cui alla presente legge non producono effetti se non vi è obbligo di registrazione del contratto stesso.
Ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 aprile 2016, n. 7634
riprende appieno i principi già stabiliti dalle sezioni unite secondo cui in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validita’ civilistica.
Ancora, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 31 gennaio 2017, n. 2368
ha riaffermato che la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona il patto occulto di maggiorazione del canone, che, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità dell’atto. Consegue che resta valido il solo contratto registrato ed quindi dovuto solamente il canone apparente.
In particolare, è stata disattesa, dalle sezioni unite, l’interpretazione secondo cui soltanto all’esito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, la norma tributaria sarebbe stata elevata al rango di norma imperativa, con conseguente nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. in caso di relativa violazione. Nella specie, va dunque dichiarata la nullità del patto contenente la previsione di un canone di locazione maggiore di quello risultante dal contratto registrato.
E) La denunzia all’autorità locale di pubblica sicurezza
Ai sensi del D.L. 21/3/1978, n. 59, conv. in L. 18/5/1978, n. 191, chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile, la sua esatta ubicazione, nonché le generalità dell’acquirente, del conduttore o della persona che assume la disponibilità del bene e gli estremi del documento di identità o di riconoscimento, che deve essere richiesto all’interessato.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 25/7/1998, n. 286, chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, o lo assume per qualsiasi causa alle proprie dipendenze ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di pubblica sicurezza.
In realtà tale mancato onere comunque non determina una responsabilità penale in merito al favoreggiamento di soggetti clandestini nello Stato Italiano, difatti per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 giugno 2013 n. 26457
L’integrazione del reato necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico, e cioè dalla sussistenza in capo all’agente del fine di trarre un profitto ingiusto.
In questo senso la Cassazione, come già scritto in precdenza in merito alla figura del locatore, aveva già affermato che ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, nell’ipotesi di rapporto contrattuale instaurato con essi, occorre accertare la sussistenza, in capo all’agente, del dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino
La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160,00 a 1.100,00 Euro.
La comunicazione può essere effettuata anche a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (ai fini dell’osservanza dei termini vale la data della ricevuta postale) e chi contravviene è soggetto alla sanzione amministrativa – applicata dal Sindaco – da Euro 103,00 a Euro 1549,00, facendosi in tal caso applicazione delle norme relative all’introduzione dell’Euro che in materia di conversione in Euro degli importi delle sanzioni amministrative in Lire prevedono la doppia regola dell’arrotondamento e del troncamento (art.51 D. Lgs. 24/6/1998, n. 213, nonché circolare del Ministero dell’Interno 29/11/2001, n. 82).
La disposizione dell’art. 12 della legge 18 maggio 1978, n. 191 (di conversione del D.L. 21 marzo 1978, n. 59) che impone l’obbligo di comunicazione per tutte le cessioni dell’uso esclusivo di un fabbricato per la durata superiore ad un mese, qualunque siano le caratteristiche dei soggetti beneficiari di detto uso, ancorché introdotta come misura di lotta contro il terrorismo, non richiede il pericolo per la sicurezza pubblica quale elemento della fattispecie illecita configurata dalla disposizione medesima, onde resta priva di rilievo la circostanza che tale pericolo non possa determinarsi nella situazione concreta[59].
Su giusta segnalazione di un attento lettore (Franco Dall’Aglio), in tema, si riporta un’integrazione attuata con la legge 131/2012 di conversione del decreto legge 79/2012
Art. 2: Comunicazione della cessione di fabbricati
1. La registrazione dei contratti di locazione e dei contratti di comodato di fabbricato o di porzioni di esso, soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso, ai sensi del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, assorbe l’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191. 2. L’Agenzia delle entrate, sulla base di apposite intese con il Ministero dell’interno, individua, nel quadro delle informazioni acquisite per la registrazione nel sistema informativo dei contratti di cui al comma 1, nonche’ dei contratti di trasferimento aventi ad oggetto immobili o comunque diritti immobiliari di cui all’articolo 5, commi 1, lettera d), e 4 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, quelle rilevanti ai fini di cui all’articolo 12 del decreto-legge n. 59 del 1978, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 1978, e le trasmette in via telematica, al Ministero dell’interno. 3. Nel caso in cui venga concesso il godimento del fabbricato o di porzione di esso sulla base di un contratto, anche verbale, non soggetto a registrazione in termine fisso, l’obbligo di comunicazione all’autorita’ locale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191, puo’ essere assolto anche attraverso l’invio di un modello informatico approvato con decreto del Ministero dell’interno, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che ne stabilisce altresi’ le modalita’ di trasmissione. 4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano per la comunicazione all’autorita’ di pubblica sicurezza, di cui all’articolo 7 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per la quale resta fermo quanto ivi previsto. Con il decreto di cui al comma 3 sono definite le modalita’ di trasmissione della predetta comunicazione anche attraverso l’utilizzo di un modello informatico approvato con il medesimo decreto. 5. L’articolo 3, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e’ soppresso. Al medesimo articolo 3, comma 6, primo periodo, le parole: «ai commi da 1 a 5» sono sostituite dalle seguenti: «ai commi 1, 2, 4 e 5». 6. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
F) Certificato APE
Con il DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 63, modificativo del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2013, n. 90 è stato previsto all’art. 6 (modificazioni al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, in materia di attestato di prestazione energetica, rilascio e affissione), per i contratti successivi all’entrata in vigore, l’allegazione del certificato APE ai fini della validità del contratto.
– 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici e’ rilasciato, per gli edifici o le unita’ immobiliari costruiti, venduti o locati ad un nuovo locatario e per gli edifici indicati al comma 6. Gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, sono dotati di un attestato di prestazione energetica (prima del rilascio del certificato di agibilita’).
Nel caso di nuovo edificio, l’attestato e’ prodotto a cura del costruttore, sia esso committente della costruzione o societa’ di costruzione che opera direttamente.
Nel caso di attestazione della prestazione degli edifici esistenti, ove previsto dal presente decreto, l’attestato e’ prodotto a cura del proprietario dell’immobile.
2. Nel caso di vendita (di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o di nuova locazione di edifici o unita’ immobiliari, ove l’edificio o l’unita’ non ne sia gia’ dotato, il proprietario e’ tenuto a produrre l’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1. In tutti i casi, il proprietario deve rendere disponibile l’attestato di prestazione energetica al potenziale acquirente o al nuovo locatario all’avvio delle rispettive trattative e consegnarlo alla fine delle medesime; in caso di vendita o locazione di un edificio prima della sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio e produce l’attestato di prestazione energetica (entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità).
3. Nei contratti di vendita (negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unita’ immobiliari e’ inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici. (3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullita’ degli stessi contratti).
4. L’attestazione della prestazione energetica puo’ riferirsi a una o piu’ unita’ immobiliari facenti parte di un medesimo edificio. L’attestazione di prestazione energetica riferita a piu’ unita’ immobiliari puo’ essere prodotta solo qualora esse abbiano la medesima destinazione d’uso, (la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e) siano servite, qualora presente, dal medesimo impianto termico destinato alla climatizzazione invernale e, qualora presente, dal medesimo sistema di climatizzazione estiva.
5. L’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1 ha una validita’ temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio ed e’ aggiornato a ogni intervento di ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell’edificio o dell’unita’ immobiliare. La validita’ temporale massima e’ subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica (dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici), comprese le eventuali necessita’ di adeguamento, previste (dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75). Nel caso di mancato rispetto di dette disposizioni, l’attestato di prestazione energetica decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui e’ prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica. A tali fini, i libretti di impianto previsti dai decreti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), sono allegati, in originale o in copia, all’attestato di prestazione energetica.
6. Nel caso di edifici utilizzati da pubbliche amministrazioni e aperti al pubblico con superficie utile totale superiore a 500 m², ove l’edificio non ne sia gia’ dotato, e’ fatto obbligo al proprietario o al soggetto responsabile della gestione, di produrre l’attestato di prestazione energetica entro (centottanta giorni) dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e di affiggere l’attestato di prestazione energetica con evidenza all’ingresso dell’edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al pubblico. A partire dal 9 luglio 2015, la soglia di 500 m² di cui sopra, e’ abbassata a 250 m². Per gli edifici scolastici tali obblighi ricadono sugli enti proprietari di cui all’articolo 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23.
Le modifiche apportate dalla L. 3 agosto 2013, n. 90
All’articolo 6, comma 1, capoverso Art. 6:
al comma 1, le parole da: «L’attestato» fino a: «e’ rilasciato» sono sostituite dalle seguenti: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici e’ rilasciato» e le parole: «al termine dei lavori» sono sostituite dalle seguenti: «prima del rilascio del certificato di agibilita’»;
al comma 2, nel primo periodo, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «di trasferimento di immobili a titolo gratuito» e, nell’ultimo periodo, le parole: «congiuntamente alla dichiarazione di fine lavori» sono sostituite dalle seguenti: «entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilita’»;
al comma 3, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito»; dopo il comma 3 e’ inserito il seguente: «3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullita’ degli stessi contratti»;
al comma 4, dopo le parole: «destinazione d’uso,» sono inserite le seguenti: «la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e»;
al comma 5, secondo periodo, le parole: «degli impianti termici» sono sostituite dalle seguenti: «dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici» e le parole da: «dal decreto» fino alla fine del periodo sono sostituite dalle seguenti: «dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75»;
al comma 6, le parole: «centoventi giorni» sono sostituite dalle seguenti: «centottanta giorni»; dopo il comma 6 e’ inserito il seguente: «6-bis. Il fondo di garanzia di cui all’articolo 22, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e’ utilizzato entro i limiti delle risorse del fondo stesso anche per la copertura delle spese relative alla certificazione energetica e agli adeguamenti di cui al comma 6 del presente articolo»; al comma 8, le parole: «l’indice di prestazione energetica dell’involucro edilizio e globale» sono sostituite dalle seguenti: «gli indici di prestazione energetica dell’involucro e globale»; al comma 11, le parole: «rilascio della prestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «rilascio dell’attestato di prestazione energetica» e le parole: «sistema di attestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «sistema di certificazione energetica»; al comma 12, alinea, le parole: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153» sono sostituite dalle seguenti: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 158».
G) L’oggetto
Anche per la locazione può distinguersi un oggetto immediato ed un oggetto mediato.
Per quanto riguarda l’oggetto mediato, può costituire oggetto della locazione ogni cosa mobile o immobile, purché abbia i requisiti tipici previsti dall’art. 1346: possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità.
A seconda dell’oggetto del contratto, si suole distinguere quattro tipologie di locazione:
a) locazione di mobili;
b) locazione di immobili urbani;
c) locazione di immobili non urbani;
d) locazione di beni produttivi, più propriamente definita “affitto”.
È, invece, discusso se possono costituire oggetto i beni immateriali: prevale la tesi negatrice[60], la quale si basa sul rilievo che non può parlarsi di vera e propria locazione, perché il modo di essere di questi beni li rende in suscettibili ad essere goduti attraverso un rapporto diretto ed immediato, potendo essere goduti soltanto attraverso la loro diffusione. Ma il problema non sorge, in concreto, perché queste utilizzazioni sono espressamente regolate sia dal codice (artt. 2575 – 2594 e 2563 – 2574) che da leggi speciali, le quali hanno dato vita a specifiche forme contrattuali.
Non è possibile, inoltre, che il contratto di locazione abbia ad oggetto, invece di un bene, un diritto.
Possono, invece, essere oggetto di locazione:
A) locazione di beni futuri (ti do in locazione il magazzino che costruirò sul fondo Tuscolano), in tal caso l’efficacia del contratto è posticipata e condizionata dal venire ad esistenza della cosa locata;
B) locazione di bene altrui, , se poi le parti, nella conclusione del contratto, hanno fatto espresso riferimento al bene altrui, si avrà un’ipotesi di promessa di un’obbligazione del terzo, prevista e disciplinata dall’art. 1381.
Inoltre, come da ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 marzo 2016, n. 4902
facendo proprio l’orientamento precedente e meaggioritario, è stato affermato che i beni demaniali ben possono formare oggetto di diritti obbligatori tra privati e, quindi, anche di locazione ed il carattere eventualmente abusivo dell’occupazione da parte del locatore del terreno demaniale non comporta l’invalidità del contratto di locazione del bene che vincola reciprocamente le parti contraenti all’adempimento delle obbligazioni assunte.
Il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili — ovvero alla abitabilità dei medesimi — non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio[61], sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene, mentre, nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d’uso convenuta sia stato negato (con conseguente inidoneità dell’immobile ad assolvere allo scopo convenuto), al conduttore è riconosciuta la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto.
Per una pronuncia della S.C.[62], però, qualora le parti perseguano il risultato vietato dall’ordinamento non attraverso la combinazione di atti di per sé leciti ma mediante la stipulazione di un contratto la cui causa concreta si ponga direttamente in contrasto con le disposizioni urbanistiche e, in particolare, con i vincoli di destinazione posti dal locale piano regolatore, il contratto stipulato è nullo ai sensi dell’art. 1343 cod. civ. (per violazione, appunto, di disposizioni imperative) e non ai sensi dell’art. 1344 cod. civ.
I giudici di legittimità hanno osservato che i vincoli di destinazione dei terreni preordinati a determinati scopi costituiscono «un limite alla proprietà terriera privata conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale sfruttamento del suolo» e alla promozione di «equi rapporti sociali». Da tale ragionamento consegue che i vincoli posti dalle norme urbanistiche – leggi speciali, regolamenti edilizi comunali e piani regolatori – rilevano anche nei rapporti tra privati.
A sostegno di tale ragionamento i giudici citano anche una risalente pronuncia delle Sezioni Unite[63], nella quale è affermato che «la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa e inderogabile» anche nei rapporti privatistici. Peraltro, va rilevato che nella pronuncia del 1984 la Corte faceva riferimento all’art. 18 della legge 765/1967 in tema di destinazione dei parcheggi nelle nuove costruzioni: una norma settoriale, dalla quale si fa ora discendere un principio generale.
4) La durata, la rinnovazione e l’estinzione del rapporto
art. 1573 c.c. durata della locazione: salvo diverse norme di legge, la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i 30 anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo è ridotta al termine stabilito.
In tema di durata della locazione la S.C.[64] ha stabilito che il limite massimo previsto dall’art. 1573 cod. civ. deve intendersi applicabile non solo quando sia stata pattuita sin dall’inizio una durata eccedente i trenta anni ma anche quando, pur pattuita una durata inferiore, sia stata in contratto altresì prevista la rinnovazione del rapporto per un numero indeterminato di volte, in quanto la pattuizione della rinnovazione è valida ed efficace soltanto nei limiti temporali del trentennio, altrimenti realizzandosi attraverso la pattuizione di successive rinnovazioni proprio ciò che la norma ha inteso escludere in occasione della prima stipulazione del rapporto, con conseguente elusione del divieto dalla stessa norma stabilito.
Pertanto, qualora le parti (come nel caso analizzato dalla Corte) abbiano inserito nel contratto la clausola secondo cui il locatore sia vincolato a non fare cessare il contratto alla scadenza se non per determinate proprie necessità, il decorso di un trentennio dal suo inizio comporta che, ove il rapporto alla scadenza si sia rinnovato per il periodo successivo, di esso ben può legittimamente darsi disdetta indipendentemente dal verificarsi delle indicate necessità.
art. 1572 c.c. locazioni e anticipazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione: il contratto di locazione per una durata superiore ai 9 anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione.
Sono altresì eccedenti l’ordinaria amministrazione le anticipazioni del corrispettivo della locazione per una durata superiore a un anno.
art. 1574 c.c. locazione senza determinazione di tempo: quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa s’intende convenuta:
1) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l’esercizio di una professione, di un’industria o di un commercio, per la durata di un anno, salvi gli usi locali;
2) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, per la durata corrispondente all’unità di tempo a cui è commisurata la pigione;
3) se si tratta di cose mobili, per la durata corrispondente all’unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo;
4) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l’arredamento di un fondo urbano, per la durata della locazione del fondo stesso.
Nella disciplina del codice civile non esistono vere e proprie locazioni a tempo indeterminato[65], poiché tutte le locazioni hanno una durata: o quella fissata dai contraenti, o, in difetto, quella stabilita dall’art. 1574 cod. civ.
Pertanto, quando il locatore convenga in giudizio il conduttore per far valere pretese connesse ad una locazione di durata indeterminata (cioè, legale), e il conduttore eccepisca invece una locazione di durata convenzionale, il locatore-attore non è tenuto a fornire alcuna prova in ordine alla scadenza del contratto, in quanto il rapporto locatizio rispetto al quale non risulti obiettivamente dimostrata la fissazione di una data di scadenza è da ritenersi, ope legis, sottoposto alla durata legale, e il conduttore-convenuto non può validamente resistere alla pretesa se non provando l’esistenza di un termine di scadenza negoziale diverso da quello stabilito dalla legge.
In merito agli usi locali per la Corte di Cassazione[66] la disciplina di cui all’art. 1574, n. 1, c.c., a norma del quale, quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa, se si tratta di casa senza arredamento di mobili o di locali per l’esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, si intende convenuta per la durata di un anno, salvi gli usi locali, si riferisce tanto agli usi che prevedono una diversa durata del rapporto quanto a quelli che prevedono una diversa scadenza, con la conseguenza che, nel caso di tacita riconduzione di una casa senza arredamento, la nuova scadenza della locazione, che, ove non sia applicabile la legge sull’equo canone, ha la durata prevista dall’art. 1574 cod. civ., espressamente richiamato dall’art. 1597 dello stesso codice, deve essere determinata in coincidenza con la data della locale scadenza consuetudinaria, ove di essa sia accertata l’esistenza.
A) Scadenza del termine
Il codice prevede, per la durata del contratto di locazione un termine convenzionale ed un termine legale.
art. 1596 c.c. fine della locazione per lo spirare del termine: la locazione per un tempo determinato dalle parti (termine convenzionale) cessa con lo spirare del termine, senza che sia necessaria la disdetta.
(termine legale) La locazione senza determinazione di tempo non cessa, se prima della scadenza stabilita a norma dell’art. 1574 una delle parti non comunica all’altra disdetta nel termine o, in mancanza, di quello determinato dalle parti o dagli usi.
La locazione a tempo determinato si estingue, senza bisogno di preventiva disdetta, con lo spirare del termine, salvo che intervenga una tacita rinnovazione del contratto costituita da un nuovo negozio giuridico bilaterale posto in essere attraverso la permanenza del conduttore nella detenzione della cosa dopo la scadenza del termine ed il silenzio del locatore[67].
B) Disdetta
E’ un negozio unilaterale recettizio a forma libera e perciò sufficiente anche una comunicazione verbale, purché inequivocabilmente idonea a manifestare alla controparte la volontà di non rinnovare il contratto alla scadenza.
Per una pronuncia della S.C.[69] la disdetta, che il locatore comunica al conduttore per la cessazione del rapporto di locazione, costituisce atto unilaterale recettizio, il quale, ai sensi dell’art. 1335 cod. civ, deve presumersi conosciuto nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, se questi non provi di essere stato, senza colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Al fine di applicare la presunzione di conoscenza dell’atto recettizio, per indirizzo del destinatario si intende qualunque suo recapito che, in ragione di un collegamento ordinario o di una normale frequenza o di una preventiva indicazione o pattuizione, rientri nella sua sfera di dominio e di controllo[70] .
Le modalità della disdetta del contratto di locazione, che siano indicate nel contratto medesimo (nella specie, lettera raccomandata con ricevuta di ritorno), non possono integrare una forma convenzionale ad substantiam, e, pertanto, non ostano a che l’atto possa giungere all’indirizzo del destinatario con mezzi equipollenti (nella specie, raccomandata semplice), ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1335 cod. civ.[71]
Nella pratica, però, essa viene effettuata con lettera raccomandata.
Per la S.C.[72] la disdetta relativa al contratto di locazione costituisce atto negoziale unilaterale e recettizio, espressione di diritto potestativo attribuito ex lege, concretantesi in una manifestazione di volontà diretta ad impedire la prosecuzione o la rinnovazione tacita del rapporto locativo.
In particolare, la disdetta ha l’unica funzione di comunicare la volontà del concedente di impedire la prosecuzione della locazione; pertanto, è irrilevante l’eventuale erroneità dell’indicazione della data di cessazione del rapporto e la stessa conserva l’efficacia di produrre il medesimo effetto per altra scadenza successiva, poiché tale risultato è conforme alla volontà della parte[73] .
Pur prevedendo l’art. 3 della legge n. 392 del 1978 (abrogato successivamente dall’art. 14 della legge n. 431 del 1998) che la disdetta debba essere comunicata con lettera raccomandata, tuttavia tale forma non è prescritta a pena di nullità (nemmeno desumibile in via interpretativa), ragion per cui può essere comunicata in qualsiasi modo, purché idoneo a portare a conoscenza del conduttore l’inequivoca volontà del locatore di non rinnovare il rapporto alla scadenza.
Sulla scorta di tali principi è possibile, quindi, che la disdetta sia contenuta in un atto processuale come l’intimazione di sfratto per finita locazione, nel quale, però, a tal fine, deve essere espressa chiaramente e senza possibilità di equivoci la suddetta volontà del locatore ovvero risultare che la stessa sia presupposta logicamente e giuridicamente.
La disdetta del contratto di locazione, vigendo – al di fuori del caso di forma scritta convenzionale di cui all’art. 1352 cod. civ. – il principio della libertà di forma, può essere contenuta anche in un atto processuale che presupponga la volontà del locatore di non rinnovare il contratto alla scadenza o che, comunque, esprima anche tale volontà, quale l’intimazione di licenza o sfratto per finita locazione o la citazione in giudizio; né rileva che non sia stata seguita sin dall’inizio la procedura di diniego di rinnovo di cui all’art. 30 della legge n. 392 del 1978, prevista dall’art. 3 della legge n. 431 del 1998, e che l’atto processuale si riferisca ad una scadenza già verificatasi, applicandosi, altresì, il principio secondo cui la disdetta e l’intimazione, in esso contenute, inidonee, per inosservanza del termine, a produrre la cessazione della locazione per la scadenza indicata, hanno l’efficacia di produrla per la scadenza successiva[74].
Inoltre per la medesima Corte[75] la disdetta del contratto di locazione, la quale può esser validamente effettuata anche da un mandatario in base ad incarico conferito verbalmente, ancorché intimata ad uno solo degli eredi del conduttore defunto è idonea a costituire in mora tutti gli altri eredi nella riconsegna dell’immobile alla scadenza del contratto.
In caso di più conduttori[76] la disdetta del locatore è efficace nei confronti di tutti i conduttori, ancorché intimata ad uno solo di essi[77].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 maggio 2014, n.10542
in tema di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, qualora sia stata inviata disdetta immotivata alla scadenza del secondo sessennio di durata del contratto, la richiesta da parte del locatore di adeguamento del canone sebbene in prossimità della scadenza è – indipendentemente dalla circostanza che l’effetto della provocazione della cessazione del rapporto non può risolversi unilateralmente dal locatore, essendo esso risolvibile solo per effetto di accordo negoziale espresso o tacito di entrambe le parti – un atto di per sé pienamente compatibile con il perdurare dell’effetto di cessazione del rapporto, in quanto risulta diretto soltanto ad assicurare che, qualora il conduttore non rilasci alla scadenza, nella misura del canone dovuto ai sensi dell’art. 1591 c.c. sia compreso l’adeguamento.
Si legge nella sentenza in commento che si deve partire dalla considerazione che il negozio di disdetta, quale atto unilaterale con cui il locatore può provocare alla scadenza del secondo sessennio di durata di una locazione ad uso diverso la cessazione della locazione senza motivazione, quale negozio unilaterale recettizio, una volta giunto a conoscenza (legale) del conduttore è idoneo a determinare l’effetto della cessazione della locazione con riferimento al momento in cui sopraggiunge la scadenza.
Il venir meno di tale efficacia determinativa della cessazione della locazione, comportando che, per effetto dell’esclusione del verificarsi di tale cessazione, il rapporto si intenda rinnovato come se la disdetta non fosse stata inviata, è un risultato che può essere determinato solo dal concorso della volontà sia dello stesso locatore sia dello stesso conduttore: la ragione è che, non essendovi alcuna norma che riconosca al locatore un potere unilaterale di revoca della disdetta una volta che essa abbia prodotto i suoi effetti (potere che, semmai, si può immaginare possibile fino a quando essa, pervenendo al conduttore, non sia divenuta efficace e non abbia coinvolto la sua sfera di interessi, cioè la sua posizione contrattuale) ed essendo dunque escluso una unilaterale incidenza sul rapporto, facendolo rivivere se già la cessazione è sopravvenuta, oppure, se essa non lo sia, impedendo che essa si verifichi per effetto della pregressa disdetta, cioè, nell’uno nell’altro caso, come se il negozio di disdetta non fosse stato compiuto, perché il rapporto si possa intendere, rispettivamente, ripristinato o proseguito in iure occorre una manifestazione di volontà negoziale bilaterale.
Tale volontà può manifestarsi:
a) attraverso un negozio formale nel quale le parti si danno atto che la disdetta deve intendersi priva di effetti, se la cessazione si sia verificata, ovvero inidonea a determinare la cessazione, se la relativa scadenza (per cui è stata inviata) non si sia ancora verificata, e che, dunque, il rapporto si deve o si dovrà considerare tacitamente rinnovato come lo sarebbe stato se la disdetta non fosse (mai) stata inviata e fosse scattata la tacita rinnovazione ai sensi della previsione di legge regolatrice, nella specie quella dell’art. 28, primo comma, della l. n. 392 del 1978;
b) oppure attraverso comportamenti significativi di natura negoziale tacita implicanti la concorde volontà delle parti di determinare quello stesso effetto.
- L’efficacia
La disdetta ha la funzione di impedire la prosecuzione del contratto di locazione, non di determinare la cessazione del rapporto prima della scadenza, sicché essa, quando sia stata intimata per un termine di scadenza anteriore, vale per il termine successivo, non ostando alla sua efficacia la relativa incidenza del maggiore intervallo temporale[78].
C) Rinnovazione tacita
art. 1597 c.c. rinnovazione tacita del contratto: la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell’art. precedente. La nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata è quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Se è stata data licenza, il conduttore non può opporre la tacita rinnovazione, salvo che consti la volontà del locatore di rinnovare il contratto.
L’interpretazione di questa norma ha dato luogo a due contrastanti opinioni:
A) teoria soggettiva[79] –– esige per la rinnovazione una manifestazione di volontà, anche tacita, da parte del locatore o quantomeno un suo contegno univoco dal quale possa desumersi l’esistenza di un nuovo accordo negoziale volto a far sopravvivere il contratto ormai estinto per scadenza del termine (nella locazione a tempo determinato) o per mancata disdetta (locazione a tempo indeterminato);
B) teoria oggettiva[80] – secondo la quale, la fattispecie dell’art. 1597 configura un’ipotesi di dichiarazione tipica, figura che ricorre quando la legge attribuisce, invariabilmente per ogni caso concreto, al comportamento inattivo o attivo di un determinato soggetto un significato dichiarativo predeterminato. Basta, infatti, la semplice inerzia del locatore che sarebbe priva ex se (ossia senza l’intervento del legislatore) di ogni valore giuridico.
Per la giurisprudenza[81] maggioritaria la rinnovazione tacita del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1597 cod. civ., postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto.
Mentre[82], secondo un’unica voce fuori dal coro, la volontà espressa dal locatore di non rinnovare il contratto di locazione alla scadenza comporta l’esaurimento dell’efficacia del contratto alla predetta data, che può essere superato soltanto mediante la manifestazione di una concorde volontà contraria rivolta alla costituzione di un nuovo rapporto, con l’ulteriore conseguenza che in caso di mancata dichiarazione di volontà da parte del locatore può trovare applicazione la rinnovazione tacita prevista dall’art. 1597 cod. civ., per il caso in cui dopo la scadenza il conduttore sia rimasto nel godimento dell’immobile per un apprezzabile periodo di tempo.
Per ultima Cassazione[83], ai fini della rinnovazione tacita del contratto di locazione occorre che dall’univoco comportamento tenuto da entrambe le parti, dopo la scadenza del contratto medesimo, possa desumersi la loro implicita ma inequivoca volontà di mantenere in vita il rapporto locativo.
Ne consegue che detta rinnovazione non può dedursi dal totale silenzio serbato dal conduttore dopo la disdetta o dalla permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine contrattuale o, ancora, dall’accettazione dei canoni da parte del locatore.
In forza del principio enunciato dalla giurisprudenza maggioritaria – ovvero, si ripete ancora una volta, che la rinnovazione tacita del contratto di locazione non è desumibile dal solo fatto della permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine, ma occorre che dall’univoco comportamento tenuto dalle parti dopo la scadenza del contratto possa desumersi la tacita volontà di entrambe di mantenere in vita il rapporto locativo – la S.C.[84], ha cassato una sentenza che aveva ritenuto tacitamente rinnovato il contratto per il solo fatto che il locatore aveva accettato i canoni versati dal conduttore successivamente alla scadenza del contratto, rilevando che era stato, invece, accertato che tale accettazione era avvenuta «come corrispettivo della ritardata restituzione dell’immobile» e, dunque, come adempimento dell’obbligazione posta a carico del conduttore ex art. 1591 cod. civ.).
Principio ripreso da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 ottobre 2014, n. 22234
- Rapporto con la novazione
Mentre la rinnovazione tacita del contratto di locazione dà luogo ad un altro rapporto di contenuto identico a quello già in vigore, la novazione dà vita ad un rapporto diverso da quello cessato, le cui clausole non possono intendersi riportate nel nuovo rapporto se non espressamente richiamate.
L’accertamento circa la volontà delle parti — diretta alla rinnovazione ovvero alla novazione — è demandato al giudice del merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto sulla seconda parte[85].
Ad esempio[86] le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per sé indice della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione o di modalità non rilevanti. Inoltre, la novazione deve essere connotata non solo dall’aliquid novi, ma anche dagli elementi dell’animus novandi inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo, e della causa novandi intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo.
La novazione oggettiva del contratto di locazione va ravvisata nella sola ipotesi in cui le parti sostituiscono all’originaria obbligazione una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, purché risulti in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova, mentre non può presumersi la novazione del contratto in caso di mera adesione del conduttore ad una proposta del locatore di aumento del canone, laddove restino inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e manchi l’espressa manifestazione di una volontà novativa[87].
- La legislazione speciale
Sul tema si rinvia al par.fo 12, lettera B (Rinnovo), pag. 143
D) Estinzione
Uno dei casi disciplinati dalla S.C.[88] discende dalla fattispecie prevista dall’art. 1588 c.c.[89] secondo il quale la totale distruzione dell’immobile locato a seguito di incendio comporta, secondo i principi generali, l’estinzione del rapporto di locazione per la impossibilità del conduttore di continuare a godere del bene locato, ed inoltre l’obbligo del conduttore di risarcire il danno conseguente al perimento del bene, a meno che non riesca a provare che l’immobile sia perito per causa a lui non imputabile; il danno risarcibile è comprensivo sia del danno emergente derivante dalla perdita o dal deterioramento della cosa locata, sia del lucro cessante; in relazione all’ammontare del risarcimento dovrà aversi riguardo alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alla scadenza contrattuale, nel senso che tale limite potrà essere superato solo se la restituzione (ancora possibile) dell’immobile sia stata successiva alla scadenza, ovvero il risarcimento potrà essere inferiore se la restituzione sia avvenuta in epoca precedente alla scadenza stessa, tenuto conto del fatto che la restituzione non necessariamente coincide con il limite temporale cui deve aversi riguardo ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante, dovendo il giudice tener conto anche del tempo necessario al ripristino della cosa in modo che sia di nuovo idonea a fornire al locatore le utilità che poteva offrire prima che fosse danneggiata per fatto imputabile al conduttore.
NOTE
Corte di Cassazione, sezione unite, sentenza 4 luglio 2012 n. 11135
Il contratto preliminare
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 ottobre 2012 n. 17324
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