Il conseguimento del certificato di abitabilità

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 31 agosto 2020, n. 5319.

La massima estrapolata:

Il conseguimento del certificato di abitabilità non preclude(va) agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio.

Sentenza 31 agosto 2020, n. 5319

Data udienza 7 luglio 2020

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Conseguimento del certificato di abitabilità – Contestazione delle difformità – E’ possibile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7074 del 2010, proposto dal Condominio sito in (omissis) al viale delle (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Nu. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mi. Ma. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), non costituito in giudizio,
nei confronti
Costruzioni Be. S.r.l., non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 2422/2010, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica telematica del giorno 7 luglio 2020 tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Oreste Mario Caputo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza n. 2422/2010, di reiezione del ricorso proposto dal Condominio di viale (omissis) (d’ora in poi Condominio), sito nel Comune di (omissis), avverso l’ordinanza di demolizione di parte di soletta – non conforme alla licenza edilizia n. 113/68 – posta lungo la parete confinante con la proprietà della controinteressata Costruzioni Be. S.r.l..
1.1. Nei motivi d’impugnazione il condominio ricorrente deduceva la violazione di legge per falsa e/o erronea applicazione degli artt. 6 e 12 l. n. 47/85, trasfusi rispettivamente negli artt. 29 e 34 T.U. dell’Edilizia d.P.R. 380/01 e succ. int. e mod.; difetto dei presupposti legali; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione del principio del giusto procedimento ex artt. 7 e ss. l. n. 241/90 e succ. int. e mod.; violazione di legge per carenza di motivazione ex art. 3 l. n. 241/90.
2. Preso atto che a seguito della mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire, il Comune aveva proceduto alla demolizione d’ufficio eseguita dalla ditta risultata aggiudicataria dei lavori, il Tar ha dichiarato il ricorso improcedibile relativamente all’impugnazione dell’ordinanza, ed infondato quanto all’accollo delle spese di demolizione poste a carico del Condominio.
3. Appella il Condominio.
4. Alla pubblica udienza del 7 luglio 2020 la causa, su richiesta della pare, è stata trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo d’appello, il Condominio lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nella declaratoria d’improcedibilità del ricorso, fondata sul rilievo che, l’avvenuta demolizione della soletta ad opera del Comune, ha determinato la sopravvenuta carenza d’interesse a coltivare il gravame avverso l’ordinanza di demolizione.
La natura meramente conformativa degli atti sopravvenuti, meramente esecutivi, osterebbe – secondo il Condominio – alla dichiarazione di sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione sulla verifica di legittimità dell’ordinanza di demolizione, costituente l’oggetto del gravame.
6. La censura è fondata.
L’esecuzione in corso di causa dell’ordine di demolizione non fa venire meno l’interesse all’accertamento, in via incidentale, della legittimità dell’atto impugnato quantomeno ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di condanna al risarcimento dei danni (cfr., art. 34, comma 3, c.p.a.) sofferti, in ipotesi contra jus, per effetto dell’esecuzione dell’atto (ritenuto giudizialmente) illegittimo.
7. Nondimeno il ricorso e, conseguentemente, l’appello sono infondati.
Con un primo ordine di motivi, il Condominio deduce che il Comune, rilasciando in data 10.12.1974 il certificato di abitabilità relativamente al 1°, 2° e 3° piano dell’edificio, avrebbe acclarato definitivamente la conformità di quanto effettivamente realizzato alla concessione edilizia, e con esso dello sporto, oggetto dell’ordinanza impugnata.
8. Il motivo è infondato.
Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti; il titolo edilizio è invece finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Vero è che l’art. 25 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, condiziona il rilascio del certificato di agibilità – per altro auto-dichiarato – non solo all’aspetto igienico-sanitario ma anche alla conformità edilizia dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato.
Nondimeno, con riferimento al regime giuridico vigente al momento del suo rilascio, avvenuto nel 1974, il conseguimento del certificato di abitabilità non preclude(va) agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8180).
9. Con il secondo ordine di motivi, l’appellante lamenta il difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione adottata longe ed ultra rispetto alla realizzazione dell’opera abusiva.
10. Il motivo è infondato.
È oramai jus receptum il principio espresso dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. sentenza n. 9 del 2017) a mente del quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe: né nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso; né se il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Diversamente da quanto reputa il Condominio, il decorso del tempo non radica alcun affidamento.
L’inerzia nell’adozione degli atti di repressione dell’abuso non è foriera d’affidamento alcuno sulla legittimità dell’opus in capo al proprietario dell’abuso, poiché – diversamente da quanto accade nell’ipotesi di autotutela decisoria su titoli edilizi illegittimamente rilasciati – questi non è destinatario di un atto amministrativo favorevole, idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Sicché gli oneri motivazionali, prescritti nel diverso ambito dell’autotutela decisoria, non sono estensibili all’ordine di demolizione, adeguatamente motivato mercé il solo (comprovato) carattere abusivo dell’intervento.
Pertanto, l’ordine di demolizione, dovendo essere adottato a seguito della verifica dell’abusività dell’intervento, non richiede alcuna specifica motivazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, né sulla comparazione (operata a monte ex lege: cfr. art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001) fra l’interesse pubblico e l’interesse privato al mantenimento in loco dell’immobile (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2017, n. 1267).
11. Da ultimo, il Condominio lamenta l’errato scrutinio delle planimetrie e dei grafici a corredo della richiesta di rilascio del titolo edilizio dal quale, se correttamente eseguito, emergerebbe la conformità della soletta alla concessione edilizia.
12. Il motivo è infondato.
La censura, per come formulata, è finanche sintatticamente generica, basandosi oltretutto su argomenti, non confortati da elementi di prova circostanziali, non affatto dirimenti per stabilire la conformità della soletta al titolo edilizio, la cui difformità è stata invece esaurientemente riscontrata – e, va sottolineato, supportata da dati di fatto – dal Comune.
13. Conclusivamente il ricorso di primo grado e l’appello sono infondati e, per l’effetto, devono essere respinti.
14. In assenza di costituzione del Comune resistente, nulla sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge
Nulla sulle spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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