La locazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 marzo 2016, n. 4902

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20678-2012 proposto da:

(OMISSIS) SAS, in persona del suo legale rappresentante pro tempore socio accomandatario Sig.ra (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 541/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 07/06/2012, R.G.N. 1114/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2015 dal Consigliere Dott. SPIRITO Angelo;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I (OMISSIS) intimarono sfratto per morosita’ alla sas (OMISSIS) con riferimento ai canoni di locazione dovuti dalla societa’ convenuta per una costruzione precaria destinata a bar, sita su una porzione di arenile di proprieta’ demaniale, posseduta dai locatori stessi in forza di concessione demaniale. La convenuta eccepi’ che il contratto di locazione era nullo, siccome avente ad oggetto un bene divenuto di proprieta’ demaniale in forza del principio d’accessione e che il contratto invocato dagli attori aveva ad oggetto non la porzione di arenile, bensi’ la cessione a terzi del godimento della concessione e, come tale, era nullo perche’ contrario alle disposizioni che vietano il trasferimento delle concessioni demaniali.

Il tribunale di Massa, trasformato il rito, dichiaro’ risolto il contratto di locazione per inadempimento della conduttrice, condanno’ quest’ultima al rilascio del bene e la condanno’ al pagamento dei canoni arretrati.

L’appello della societa’ e’ stato respinto dalla corte d’appello di Genova, la cui sentenza la societa’ stessa ora impugna per cassazione attraverso tre motivi. Rispondono con controricorso i (OMISSIS). Questi hanno depositato memoria per l’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere premesso che il controricorso dei (OMISSIS) e’ inammissibile, siccome intempestivo ex articolo 370 codice procedura civile (il ricorso e’ stato notificato il 12.9.2012 ed il controricorso il 5.5.2014). In ragione della stessa disposizione processuale e’ anche inammissibile la memoria depositata dagli stessi (OMISSIS). Rimane, dunque, ammessa la sola partecipazione alla discussione orale del loro difensore.

I motivi primo e secondo censurano la sentenza per vizio della motivazione e per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in ordine alla qualificazione del contratto come mera locazione e per non avere esaminato la documentazione dalla quale emergeva che oggetto del contratto fosse la gestione dell’attivita’ di bar/ristorazione e non il mero godimento di un immobile. Sostiene, dunque, la ricorrente societa’ che se il giudice avesse qualificato il contratto come sub concessione ex articolo 45 cod. nav. (anziche’ come contratto di locazione) sarebbe risultato irrituale il giudizio instaurato dagli attori (intimazione di sfratto per morosita’), erronea la sentenza di primo grado che aveva qualificato il contratto come di locazione e nullo il contratto in contestazione in relazione ad una serie di disposizioni (Legge n. 494 del 1993, articolo 1, articoli 37, 45 bis e 49 cod. nav., articoli 30, 24, 36 regolamento marittimo, articoli 1325, 1346 e 1418 codice civile) che prevedono che la concessione demaniale deve essere esercitata personalmente dal concessionario e che il concessionario puo’ sostituire a se’ un terzo purche’ autorizzato dall’autorita’ concedente e purche’ il terzo possieda tutti i requisiti idonei alla gestione. Spiega, a conforto, che la controparte, pur rivestendo formalmente la qualita’ di soggetto concessionario al momento della stipula del contratto in questione, non gestiva l’attivita’ oggetto della concessione ed era priva dei requisiti tecnico patrimoniali funzionali alla gestione stessa.

Il terzo motivo censura, sotto il profilo del vizio della motivazione, il punto in cui la sentenza afferma che “e’ normale e accede normalmente per le attivita’ balneari che un’azienda venga esercitata su area demaniale. Ne’ questo impedisce al titolare dell’azienda d’affittarla, in quanto… il contratto di locazione prescinde dal rapporto di concessione sottostante”. Sostiene in proposito che il contratto d’affitto d’azienda e’ diverso da quello di locazione e che se quello intercorso tra le parti fosse qualificato come affitto d’azienda difetterebbe del tutto dei requisiti giuridici presupposti, cosi’ da risultare nullo per mancanza dell’oggetto. Per altro verso, le parti della sentenza che qualificano il contratto prima come di locazione e poi come affitto d’azienda sarebbero in contrasto tra loro e s’eliderebbero a vicenda.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

In estrema sintesi, la tesi della ricorrente fonda sull’inqualificabilita’ del contratto in questione sia come locazione, sia come fitto d’azienda e la sua qualificabilita’ come sub concessione, la quale ultima sarebbe nulla per le suddette ragioni.

Innanzitutto, occorre riflettere su alcuni profili d’inammissibilita’ del ricorso in trattazione, il quale, in primo luogo, pone problemi interpretativi del contratto senza neppure trascrivere il contratto, cosi’ da rispettare l’onere di autosufficienza e consentire alla Corte di delibare le censure mosse alla sentenza impugnata. In secondo luogo, al fondo della censura sono poste questioni interpretative dell’atto stesso, sicche’ la ricorrente, dopo averne dato contezza, avrebbe dovuto muovere censura di violazione di canoni ermeneutici. In terzo luogo, l’interpretazione del contratto e’ attivita’ discrezionale demandata in via esclusiva al giudice del merito.

Quanto premesso sarebbe risolutivo circa l’esito del ricorso, ma non puo’ farsi a meno di rilevare che quella della quale si discute e’, nella narrazione stessa della ricorrente (cfr. il ricorso a pag. 2), un’azione proposta con riferimento ad un contratto qualificato come di “locazione ad uso diverso da abitazione” per la durata di anni sei e rinnovabile per altri sei. Ossia, di un contratto corrispondente al modulo normativo dei contratti, appunto, di locazione di beni commerciali. Quest’ultima circostanza non e’ neppure posta in discussione nel ricorso (tenuto conto, peraltro, della violazione del canone d’autosufficienza della quale s’e’ detto prima).

Considerata siffatta impostazione processuale, nonche’ le eccezioni della societa’ attualmente ricorrente (la quale anche in appello ha sostenuto che la natura demaniale dell’immobile pregiudicherebbe la validita’ del contratto in questione) il giudice s’e’ correttamente adeguato alla giurisprudenza che ha affermato la compatibilita’ tra natura demaniale del bene e locazione, con riferimento a quella normativa (Legge n. 392 del 1978, articoli 35 e 41, articolo 46 cod. nav., articolo 1145 codice civile) che esclude l’indennita’ per la perdita dell’avviamento ed il diritto di prelazione e riscatto, cosi’ consentendo, a contrario, lo strumento della locazione, pur con tali limitazioni.

Giurisprudenza che occorre ribadire e che ha, dunque, concluso che i beni demaniali possono formare oggetto di diritti obbligatori tra privati e, quindi, anche di locazione ed il carattere eventualmente abusivo dell’occupazione da parte del locatore del terreno demaniale non comporta l’invalidita’ del contratto di locazione del bene (fatte salve le iniziative che l’Amministrazione – la quale non subisce alcun pregiudizio per il fatto della locazione – intenda intraprendere a tutela della particolare destinazione del bene), che vincola reciprocamente le parti contraenti all’adempimento delle obbligazioni assunte (Cass SU n. 6066/93 e n. 6763/88).

Da quanto premesso, il giudice ha, dunque, correttamente fatto derivare la legittimita’ della stipula tra privati di un contratto di locazione su bene demaniale, nonche’ l’irrilevanza di tutte le questioni attinenti alla legittimita’ dell’originaria concessione a favore dei locatori. Considerazioni, queste, assorbenti rispetto a tutte le altre questioni mosse nel ricorso. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna della ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione, limitatamente alla partecipazione alla discussione orale del difensore della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 400,00.

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