Cassazione pres. D'Isa

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 29 marzo 2016, n. 12701

Presidente D’Isa

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 449/2015 del 30/01/2015, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Palermo emessa in data 10/07/2012 con cui M.M. era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni personali colpose aggravato ascrittogli commesso in Palermo il 08/04/2008 e lo condannava alla pena di mesi cinque di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Querela del 08/05/2009.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione M.M. , a mezzo del proprio difensore, lamentando:
I) Violazione dell’art. 606, lettere b) ed e), c.p.p. con riferimento all’art. 125, comma 3, stesso codice in relazione agli artt. 40, comma 1, 41, comma 2, 113 e 590, commi 1 e 2, in relazione all’art. 583 n. 1 c.p.. Deduce che la Corte di Appello avrebbe, da un lato, valutato solo parzialmente il contenuto dell’impugnazione, da un altro lato, addebitato all’odierno ricorrente frazioni di condotta che non gli sono state contestate (quelle di cui ai numeri 1 e 2 dell’elencazione di pagina 3), da un altro lato ancora, perpetuato il travisamento della contestazione che già affliggeva la sentenza di primo grado (tanto da far riferimento a una condotta omissiva, a fronte del capo di imputazione che recita “per negligenza, imprudenza ed imperizia consistita per il M. dapprima nel somministrare la prima dose di miscela di farmaci chemioterapici in data 21.01.2005”. Afferma che non è stato il dott. M. a somministrare la prima dose di farmaci chemioterapici; il somministratore deve verificare mediante la manovra di aspirazione che la punta del catetere sia in vena; ciò va fatto subito prima di iniziare la somministrazione; l’esito positivo di tale verifica annulla il rischio che si verifichi quanto accaduto, cioè lo stravaso dei liquidi; se il somministratore ha omesso la detta verifica, tale condotta rescinde il nesso di causalità tra quanto avvenuto in precedenza e l’evento; la delega di funzioni dall’odierno ricorrente al personale medico e infermieristico del reparto quantunque non oggetto del capo di imputazione – non presenta vizi di sorta e, quindi, esonera il dott. M. da ogni responsabilità.
II) Violazione dell’art. 606, lettere b) ed e), c.p.p. con riferimento all’art. 125, comma 3, e 603, comma 1, stesso codice in relazione agli artt. 113 e 590, commi 1 e 2, in relazione all’art. 583 n. 1 c.p. mancanza di motivazione in ordine a tutti i rilievi tecnici. La sentenza farebbe riferimento esclusivamente all’aspetto relativo alla compiuta informazione della paziente in ordine a quanto accaduto, senza menzionare le osservazioni difensive relative all’appropriatezza delle iniziative terapeutiche intraprese dal dott. M.M. per fronteggiare gli effetti dello stravaso verificatosi il (omissis) . I Giudici dell’appello hanno emesso l’ordinanza dell’11 luglio 2014 (anch’essa oggetto del presente ricorso), che recita: “considerato che nel corso del giudizio di 1 grado sono state svolte consulenze tecniche che non rendono assolutamente indispensabile ai fini del decidere disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel senso richiesto dalla difesa P.Q.M. respinge le richieste avanzate ai sensi dell’art. 603 c.p.p. dalla difesa dell’imputato”. Avrebbe dovuto, inoltre, indicare puntualmente quali considerazioni le abbiano consentito di affermare che l’una tecnica (toracotomia) per il drenaggio dei liquidi fosse preferibile all’altra (toracentesi) e quale valutazione abbia posto alla base dell’affermazione dell’esistenza nel 2005 di antidoti specifici.
III) Violazione dell’art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione di legge nonché carenza di motivazione in merito all’omessa declaratoria di non doversi procedere in ordine al reato contestato all’imputato per mancanza di tempestiva querela. L. ebbe a presentare la querela solo in data 8 maggio 2009 (e quindi a distanza di ben quattro anni dall’infusione di chemioterapico dante causa alle lesioni patite), ha ritenuto che la stessa avrebbe avuto “piena consapevolezza di quanto accadutole soltanto a partire dal 14 aprile 2009, data della consegna alla medesima della relazione medico legale a firma del prof D.G.F. grazie alla quale ha avuto finalmente la compiuta cognizione mentre la L. era stata tempestivamente informata dello stravaso chemioterapico verificatosi già dal 25 gennaio 2005. Apparirebbe evidente come la paziente, quanto meno al momento del ricovero presso l’Ospedale (…) – e cioè oltre un anno prima della presentazione della querela – fosse assolutamente a conoscenza dello stravaso chemioterapico, delle cause che l’avevano determinato, dei rimedi per fronteggiare la situazione poste in essere dai medici de (omissis) (per l’appunto tre anni prima). La corte avrebbe altresì omesso di valutare il contenuto dell’esame reso all’udienza del 20 dicembre 2011, dal consulente tecnico della parte civile, dott. D.G. , il quale aveva perentoriamente affermato di aver reso edotta la L. sin dai primi di gennaio.
IV) Violazione dell’art. 606, lettere b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 125, 521 e 522 stesso codice per inosservanza ed erronea applicazione di legge nonché omissione di motivazione in merito alla dedotta nullità della sentenza per violazione del principio della necessaria correlazione fra il fatto contestato e quello ravvisato in sentenza. A fronte di una rubrica ove il prevenuto veniva indicato quale autore della somministrazione dei farmaci antitumorali (e quindi di una condotta commissiva), il Decidente lo aveva invece ritenuto responsabile di non aver agito in prima persona, delegando l’espletamento dell’atto a persone inadeguate ed omettendo di effettuare i controlli che il suo ruolo apicale all’interno del reparto gli imponeva.
V) Violazione dell’art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 157, 590 c.p. per erronea applicazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della intervenuta prescrizione in relazione al reato ascritto all’imputato posto che l’evento lesivo era stato causato il 21/01/2005.
VI) Violazione dell’art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. in relazione all’art. 62-bis c.p. per inosservanza ed erronea applicazione di legge nonché carenza di motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche formulato dai Giudici di appello. La Corte si è invero limitata ad affermare che “la gravità della condotta colposa come ricostruita, con ripetute, consapevoli omissioni dei propri doveri professionali, ed anche la gravità del danno cagionato alla paziente inducono la Corte a denegare il beneficio” (ed anzi è emerso che la paziente abbia nel tempo definitivamente risolto ogni problema).
VII) Violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. con riferimento all’art. 125, comma 3, stesso codice in relazione all’art. 175 c.p. La sentenza impugnata non affronta – quindi manca della motivazione sul punto specifico – la richiesta contenuta nel quarto motivo di appello di riconoscere al dott. M.M. il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
2.1. Con atto depositato il 24/02/2014, la parte civile, a mezzo del proprio difensore, ha contestato tutte le censure dedotte dal ricorrente ed ha concluso per il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

3. La sentenza va annullata senza rinvio agli effetti penali, per intervenuta prescrizione; va invece rigettato il ricorso agli effetti civili.
4. Occorre preliminarmente considerare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il reato di lesioni personali colpose, di cui all’art. 590 cod. pen., è un reato istantaneo che si consuma ai momento dell’insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché la durata e l’inguaribilità della malattia sono irrilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo. Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l’insorgenza di questa, ma, persistendo dopo tale momento, ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma nel momento in cui si verifica l’ulteriore debilitazione (ex multis sez. 4, n. 8904 del 08/11/2011).
4.1. Nel caso di specie, non versandosi in ipotesi di permanenza del trattamento medico (come, ad esempio, in diversa ipotesi relativa a un trattamento odontoiatrico protratto nel tempo), l’insorgenza della malattia (nella specie una pleurite chimica) deve ritenersi fissata al momento dello stravaso avvenuto il (OMISSIS) . La condotta colposa causatrice della malattia stessa deve dirsi cessata il successivo 22/01/2005, data in cui il ricorrente effettuò il drenaggio – seppur parziale – del liquido chemioterapico stravasato in pleura. Va precisato che non può qualificarsi “condotta colposa causatrice della malattia” quella successivamente tenuta dal M. posto che l’aver egli omesso la dovuta rappresentazione del fatto (e delle conseguenze di esso) alla persona offesa sino all’aprile 2008, potrà aver rilievo ad altri fini ma non può definirsi “causatrice” di una malattia già insorta.
4.2. Va ribadito e precisato che nel delitto di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere non dal momento della commissione del fatto, ma dal momento di insorgenza della malattia “in fieri”, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente. Nel caso che occupa il momento del perfezionamento del reato (e cioè l’insorgenza della malattia) coincide con quello dell’ultimo intervento medico (e quindi il 22/01/2005): tale è perciò il dies a quo di decorrenza della prescrizione (sez. 4, n. 21598 del 22/01/2013) che si è, pertanto, realizzata – malgrado le intervenute sospensioni dei termini- in epoca comunque precedente l’emanazione della sentenza impugnata.
4.2. Né tale orientamento interpretativo relativo al dies a quo della prescrizione si pone in contrasto con la giurisprudenza penale relativa al termine per poter proporre querela posto che questa Corte di legittimità ha affermato che “il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata” (sez. 4, Sentenza n. 17592 del 07/04/2010, Rv. 247096).
Nel caso in esame tale momento è individuabile nella data di deposito della relazione medico-legale, all’esito anche dell’esame spirometrico effettuato nel marzo 2009, del prof. D.G. : il (omissis) .
5. Quanto alla corrispondenza del capo d’imputazione con i dispositivi delle sentenze di merito basta rammentare che tra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la nullità della sentenza a norma dell’art. 546, comma 3, c.p.p., non è previsto il capo di imputazione, posto che l’enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all’imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione, tenendo conto delle sentenze di primo e secondo grado, che si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 6, n. 43465 del 07/10/2015; Sez. 2, n. 5500 del 09/10/2013). Per altro tale presunta violazione di legge non è stata neppure eccepita in sede di appello.
6. In ordine alla doglianza relativa all’ordinanza che rigettava la richiesta difensiva di rinnovazione del dibattimento con disposizione di una perizia tecnica, vale replicare che la rinnovazione del dibattimento in grado di appello, che deve vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria dibattimentale in primo grado, è provvedimento di carattere eccezionale giustificato dall’assoluta necessità dell’assunzione della nuova prova al fine della decisione. Non è perciò censurabile in Cassazione il ragionamento di merito sulla base del quale la nuova prova sia stata ritenuta non decisiva.
7. La dichiarazione di intervenuta prescrizione rende inutile lo scrutinio delle altre doglianze non relative alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato contestato all’imputato quale titolare della posizione di garanzia derivantegli dalla qualifica di primario medico di oncoematologia.
8. Vale, al tal proposito, rammentare, che è stato, da questa Corte, chiarito che garante è il soggetto chiamato alla gestione di uno specifico rischio incarnato da una determinata categoria di eventi; ed è pertanto responsabile sotto il profilo eziologico nel caso in cui tenga condotte omissive che rechino violazione degli obblighi connessi al suo ruolo e determinino l’evento antigiuridico oggetto di protezione (recentemente Sez. 4, n. 9897 del 2015). Si è altresì affermato che il principio di affidamento non può essere invocato da chi in virtù della sua particolare posizione ha l’obbligo di controllare e valutare l’operato altrui, se del caso intervenendo per porre rimedio ad errore altrui (ex multis Sez. 4, n. 31241 del 2015). In ambito di colpa medica, poi, è da tempo condiviso il principio secondo cui il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; in tali casi al giudice di legittimità è assegnato solo il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative la c.d. giustificazione esterna – della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare (e pluribus sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012).
8.1. Nel caso che occupa, il giudice del merito ha correttamente ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta del ricorrente e le lesioni patite dalla persona offesa. Ha il giudicante valorizzato il fatto che l’avere, quale primario medico, prescritto la terapia, la cui somministrazione si è protratta per 12 ore e affidata a un infermiere, con la vigilanza di uno dei medici del reparto, non poteva esimere l’imputato dall’obbligo di un conseguente controllo simultaneo o successivo, purché adeguato alla delicatezza della terapia praticata (tenuto conto del meccanismo d’azione del farmaco e della zona pervasa dall’infusione). Egli avrebbe dovuto, innanzi tutto, vigilare in modo appropriato, perché la somministrazione dei farmaci chemioterapici avvenisse in condizioni di sicurezza, anche nella fase di esecuzione materiale, al fine di evitare lo stravaso della miscela di liquidi e farmaci citotossici nei tessuti o nelle cavità (nella specie la cavità pleurica) e soprattutto intervenire tempestivamente dopo essere stato informato dell’errore verificatosi nel corso delle procedure seguite per l’infusione (si veda anche la deposizione del teste C.M.D. , capo sala, all’UD. del 20/12/2011).
8.1.1. Afferma ancora la corte territoriale che il ricorrente avrebbe dovuto fronteggiare l’errore di non avere direttamente controllato la corretta infusione dei chemioterapici, procedendo a tutte le attività previste dai protocolli medici e soprattutto avrebbe dovuto informare la paziente di quanto avvenuto anche per consentirle di consultare altri centri per le cure del caso, mettendola nelle condizioni di scegliere un ricovero in altri nosocomi maggiormente idonei a risolvere la patologia indotta. Anche da ciò il giudicante ha derivato la responsabilità del M. , aggiungendo che la veste di primario del reparto giustifica, da sola, la ritenuta responsabilità, in quanto il primario è tenuto a ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto non potendosi passivamente affidare ma instaurare un rapporto critico-dialettico con gli altri sanitari, tanto più quando il caso si rivela per qualunque ragione di problematica risoluzione (sez. 4, n. 4985 del 07/01/2014).
8.2. Quanto alla colpa, appare evidente che il ricorrente abbia violato le norme cautelari di condotta (specifiche e generiche) mentre era pienamente esigibile da lui un comportamento alternativo -a quello tenuto – e corretto. Ciò viene pienamente valorizzato dalla corte dell’appello la quale, ritenendo il M. del tutto consapevole della situazione realizzatasi, considera che l’imputato, accortosi sin dal (omissis) dell’avvenuto stravaso, ha adottato specifici accorgimenti, tendenti a fuorviare su quanto realmente accaduto, in quanto, pur avendo diagnosticato (soltanto) il giorno successivo ((omissis) ) l’avvenuto stravaso, non ha informato la paziente; ha prima rimosso e poi reimpiantato il catetere, tacendo anche su questa seconda procedura; non ha riportato nella cartella clinica e nella relazione di dimissione del primo ricovero (pur avendone l’obbligo), né l’avvenuto “stravaso”, né la prima toracentesi eseguita il 22/01/2005 né il secondo intervento di reimpianto del catetere dislocato; ha celato, infine, lungamente la vera natura del versamento pleurico di cui era rimasta affetta la paziente (e riscontrabile a ogni controllo), fino al momento dell’intervento all’Ospedale (…) di (…).
8.3. Secondo l’incensurabile giudizio della corte del merito, il M. , dunque, non solo non ha chiesto alcun consenso, non ha annotato nella cartella clinica il secondo intervento, con successiva toracentesi e relativa re-infusione dei liquidi chemioterapici, né tanto meno la rimozione del liquido stravasato, nella relazione di dimissione, né nelle altre cartelle cliniche ordinarie e di Day-Hospital, celando alla paziente gli errori terapeutici, per più di tre anni, così, di fatto, impendendole di scegliere strutture sanitarie o presidi terapeutici diversi. Di qui il convincimento del giudicante secondo cui la condotta contestata ha ricompreso la prolungata, intenzionale omissione di informazione della paziente che solo per propria iniziativa ha potuto conoscere la reale portata della patologia da cui era affetta e, finalmente, ricorrere a terapie adeguate conseguenti.
8.4. Conclude il giudicante del merito ritenendo, ineccepibilmente, che se il ricorrente avesse tenuto la condotta doverosa l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma con minore intensità lesiva.

P.Q.M.

Annulla ai fini penali la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione; conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

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