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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 2 maggio 2016, n. 8594

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente
Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere
Dott. SPENA Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22249-2011 proposto da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 287/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/03/2011 r.g.n. 922/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Catania con sentenza del 2.11.2011 dichiarava il diritto di (OMISSIS) a percepire l’indennita’ di maternita’ (in alternativa alla madre) Decreto Legislativo n. 151 del 2001, ex articolo 70 e condannava la cassa nazionale a corrispondere il relativo importo al (OMISSIS). La Corte di appello di Palermo con sentenza del 30.3.2011, in riforma della detta sentenza, rigettava invece la domanda. La Corte territoriale osservava che la sentenza di prime cure muoveva da un interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 70, ma che la sentenza della Corte costituzionale n. 385/2005 aveva si definito discriminatoria la norma che non facoltizzava anche il padre libero professionista, ma aveva demandato al legislatore di stabilire un meccanismo attuativo che, non essendovi stato, privava la pretesa di un ancoraggio legale. La Corte aveva espressamente voluto circoscrivere la portata della statuizione nella consapevolezza delle oggettive differenze sussistenti tra le due categorie di genitori. La diversita’ di genere ben puo’ giustificare una maggiore e speciale tutela per la madre biologica; la Corte costituzionale con la sentenza n. 285/2010 aveva poi sottolineato, sempre in relazione all’articolo 70, che una divergenza di disciplina puo’ essere giustificata in relazione alla protezione specifica della salute della madre, per cui spetta al legislatore perequare con un provvedimento di legge la minorata tutela riservata al genitore di sesso maschile utilizzando la discrezionalita’ di cui dispone anche alla luce dell’orientamento della Corte delle leggi.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il (OMISSIS) con un motivo; resiste controparte con controricorso corredato da memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega ex articolo 360 c.p.c., n. 1 e 3 la violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 136 Cost., violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articoli 70 e 72, cosi’ come dichiarati illegittimi dalla corte costituzionale con la sentenza n. 385/2005 nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennita’ di maternita’, attribuita solo a quest’ultima. La decisione di primo grado era corretta e doveva essere confermata alla luce del dispositivo della sentenza n. 385/2005 che dichiarava l’incostituzionalita’ sia dell’articolo 70 sia dell’articolo 72, senza fare alcun riferimento ai soli casi di adozione ed affido. La decisione di incostituzionalita’ riguardava tutti i casi di paternita’ ed aveva un chiaro carattere precettivo non creando alcun vuoto normativo; in ogni caso implicava un obbligo di interpretazione conforme in senso antidiscriminatorio e volto a garantire parita’ di trattamento per padri e madri. Tale interpretazione costituzionalmente conforme era tanto piu’ legittima alla stregua dell’evoluzione del diritto Europeo con la direttiva sui congedi parentali ed alla luce dell’articolo 16 della Carta comunitaria dei diritti sociali del 9.12.1989. Inoltre la stessa legislazione italiana mostrava una chiara tendenza ad estendere anche ai padri una serie di misure volte a rafforzare il nucleo familiare ed a proteggere ed a valorizzare i bisogni e la personalita’ del bambino. La piu’ recente sentenza n. 285/2010 non conferiva alcun crisma di legittimita’ costituzionale alla norma impugnata (articolo 70) e comunque lasciava la possibilita’ di una nuova remissione alla Corte della questione o comunque di interpretare diversamente la medesima disposizione.
Il motivo appare infondato. Giova premettere che il caso sottoposto all’attenzione di questa Corte concerne la domanda dell’Avv.to (OMISSIS) di percepire, a carico della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, l’indennita’ di maternita’ Decreto Legislativo n. 151 del 2001, ex articolo 70 in luogo della moglie in un caso di maternita’ (e paternita’ biologica): l’Avv.to (OMISSIS) invoca la precettivita’ “autoapplicativa” della sentenza n. 385/2005 che non sarebbe limitata al caso concretamente esaminato che concerneva la fattispecie di un genitore adottivo ed in ogni caso richiama la necessita’ di una interpretazione “costituzionalmente” orientata adottata dal giudice di prime cure) e comunque coerente con le linee evolutive del diritto sovranazionale e dello stesso diritto interno che tenderebbe ad assimilare, nell’interesse della protezione nel suo complesso del nucleo familiare e della valorizzazione dei bisogni del bambino, la situazione del padre e della madre rispetto all’evento maternita’, in funzione antidiscriminatoria.
Questa Corte osserva che; questioni sollevate hanno gia’ trovato una condivisibile e ragionevole risposta nella sentenza n. 285/2010 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 70 (sollevata dalla Corte di appello di Venezia) con riferimento proprio ad un caso nel quale si rivendicava l’indennita’ di maternita’ per un padre biologico. La Corte delle leggi in motivazione ha affermato che “la rimettente basa il proprio dubbio di costituzionalita’ sul presupposto che il Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 70, non consentendo al padre libero professionista di usufruire, al posto della madre, della indennita’ di maternita’, non tiene conto del principio secondo cui, in ragione del preminente interesse del bambino, i genitori devono godere di analoghe tutele in ambito lavorativo e, in particolare, del fatto che il suddetto beneficio e’ riconosciuto al padre adottivo, libero professionista, per effetto della sentenza n. 385 del 2005 di questa Corte, e al padre lavoratore subordinato, in applicazione del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 28. Tale questione non tiene conto che le situazioni poste a raffronto sono tra loro differenti, pur essendo esse accomunate dalla finalita’ di protezione del minore. Occorre a tal fine rilevare che la tutela della maternita’ e della paternita’ e’ frutto di un’evoluzione normativa – L. 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta’); L. 9 dicembre 1977, n. 903 (Parita’ di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro); L. 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) – che trova oggi la sua sintesi nel Decreto Legislativo n. 151 del 2001. Il legislatore con quest’ultimo testo normativo ha voluto disciplinare i diversi istituti posti a fondamento della sopra indicata tutela (congedi, riposi, permessi), valorizzando l’uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, nonche’ tra genitorialita’ biologica e adottiva, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino. Sul punto assumono rilevanza le norme che riconoscono in condizione di parita’, al padre e alla madre, indipendentemente dall’essere genitori naturali o adottivi, il congedo parentale (Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articoli 32 e 36) e i riposi giornalieri (Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articoli 39, 40 e 45). A questa evoluzione normativa ha contribuito in modo significativo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 371 del 2003, n. 197 del 2002, n. 405 del 2001). Dall’esame della legislazione e della giurisprudenza richiamate si evince che l’uguaglianza tra i genitori e’ riferita a istituti in cui l’interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente, e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline. Diversamente, le norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest’ultima non e’ assimilabile a quella del padre. Sul punto appaiono significativi il Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articoli 16 e 28. L’articolo 16, nel disciplinare il congedo di maternita’, stabilisce che la donna lavoratrice dipendente non puo’ essere adibita al lavoro nei due mesi antecedenti al parto e nei successivi tre. L’articolo 28 prevede poi che “Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternita’ o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermita’ della madre ovvero di abbandono, nonche’ in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre”. Al suddetto periodo e’ ricollegato il godimento dell’indennita’ di maternita’ pari all’80 per cento della retribuzione (Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 22). Dalla lettura dell’articolo 28 risulta evidente che la posizione del padre naturale dipendente non e’, come invece erroneamente sostenuto dalla Corte rimettente, assimilabile a quella della madre, potendo il primo godere del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennita’ solo in casi eccezionali e cio’ proprio in ragione della diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla filiazione biologica. Nel caso di specie, alla tutela del nascituro si accompagna, appunto, quella della salute della madre, alla quale e’ finalizzato il riconoscimento del congedo obbligatorio e della collegata indennita’. In proposito va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 1 del 1987, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del L. n. 903 del 1977, articolo 7 nella parte in cui non prevedeva che il diritto all’astensione dal lavoro, riconosciuto alla sola madre lavoratrice, fosse attribuito anche al padre lavoratore ove l’assistenza della madre al minore fosse divenuta impossibile per decesso o grave infermita’. Alla suddetta pronuncia di incostituzionalita’ la Corte e’ giunta dopo aver affermato che il fine perseguito dal legislatore mediante l’istituto dell’astensione obbligatoria e’ quello di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente precedente e successivo al parto, tenendo conto anche delle esigenze relazionali e affettive del figlio in tale periodo. Pertanto, la Corte ha ritenuto irragionevole non estendere al padre il diritto all’astensione obbligatoria e, conseguentemente, all’indennita’ di maternita’ ad essa collegata, nei casi in cui la tutela della madre non sia possibile a seguito di morte odi grave impedimento della stessa, e cio’ in quanto in simili ipotesi gli interessi che l’istituto dell’astensione obbligatoria puo’ tutelare sono solo quelli del minore ed e’ quindi rispetto a questi che esso deve rivolgersi in via esclusiva. Tali condizioni non ricorrono evidentemente nel caso di specie”.
Ora alla stregua delle precisazioni della Corte delle leggi risulta del tutto evidente che la decisione del 2005 non e’ auto- applicativa (self-executing), sempre che la stessa decisione possa riguardare anche casi diversi da quello espressamente esaminato che non riguardava la paternita’ biologica, essendo comunque necessario un intervento del legislatore volto a delineare il punto di bilanciamento tra principio di parita’ di trattamento tra coniugi, diritti del bambino e protezione specifica della salute e dell’integrita’ psico-fisica della madre in ordine a tutte le provvidenze che sono connesse all’evento “nascita biologica”. La Corte delle leggi ha evidenziato come nel caso dell’indennita’ di maternita’ sussiste una specificita’ protettiva (che giustifica una tutela piu’ intensa della sola donna) che riguarda proprio la salute della madre biologica (che si aggiunge alle finalita’ concernenti la protezione del bambino e del nucleo familiare), per cui la parita’ di trattamento tra coniugi- come osserva correttamente anche la sentenza impugnata- e’ stata assicurata in relazione a diverse ipotesi come l’infermita’ della madre o il suo abbandono del nucleo familiare o nei casi di adozione ed affidamento che giustificano, per ragioni piuttosto evidenti, un’estensione anche al padre della provvidenza in discorso. Il riferimento all’evoluzione del diritto sovranazionale non appare determinante e conclusivo perche’ proprio l’esempio citato della direttiva sui congedi parentali dimostra come l’azione regolatrice dell’Ue abbia voluto l’equiparazione tra sessi ad un istituto in cui viene prioritariamente in gioco l’interesse preminente del nucleo familiare (e dei minori) e non gia’ quello alla salute della donna- madre. Inoltre il riferimento all’articolo 16 della Carta del 1989 (prescindendosi dalla nota questione sul carattere precettivo o meno degli impegni di cui parla il Testo del 1989) oltre che generico non appare pertinente perche’ l’articolo 16 certamente vuole promuovere la parita’ tra sessi nell’ambito del lavoro, ma non preclude una tutela piu’ intensa protezione della donna in presenza, come nel caso in esame, di rischi specifici soprattutto alla salute in periodi delicati come la gravidanza ed i primi mesi di maternita’. Questa differenziazione e’ peraltro resa evidente dalla formulazione dell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che al suo capoverso precisa che “il principio di parita’ non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. Pur non essendo la Carta direttamente applicabile come fonte vera e propria (articolo 6 TUE) al caso l’esame che non esibisce una qualche connessione con il diritto Europeo (ex articolo 51 della stessa Carta) certamente puo’, invece, offrire elementi di interpretazione “libera” posto il suo carattere espressivo dei “principi comuni agli ordinamenti Europei (cfr. Corte costituzionale n. 135/2002) che si deve presumere gli Stati membri rispettino. Pertanto la natura discriminatoria dell’esclusione dall’indennita’ di maternita’ dei genitori di sesso maschile non sembra presentare i denunciati connotati discriminatori ne’ sotto il profilo interno che sotto quello sovranazionale.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimita’, liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonche’ in Euro 3.000,00 per compensi oltre accessori come per legge.

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