Corte di Cassazione, civile, Sentenza|16 gennaio 2024| n. 1569.
Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
In tema di condominio negli edifici, anche dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 220 del 2012, il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello, su reclamo dell’interessato, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto privo del carattere decisorio e definitivo, non rilevando, in senso contrario, il divieto per l’assemblea di nominare l’amministratore revocato; divieto che è temporaneo e che rileva soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione.
Sentenza|16 gennaio 2024| n. 1569. Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
Data udienza 5 luglio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Comunione dei diritti reali – Condominio negli edifici (nozione, distinzioni) – Amministratore – Nomina e revoca condominio – Riforma ex lege n. 220 del 2012 – Decreto di revoca amministratore condominiale – Ricorribilità per cassazione – Esclusione – Divieto per l’assemblea di nominare l’amministratore revocato – Irrilevanza – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta da
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere Rel. –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CAPONI Remo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19286/2020 R.G. proposto da Ce.Da. (Omissis) e Ze.Gi. (Omissis), rappresentati e difesi giusta procura speciale in calce al ricorso all’avv. Fe. Nu. (C.F.: …) del foro di Padova elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrenti –
contro
Ma.Ga. (Omissis), Gi.Ca. (Omissis), Za.Gi. (Omissis), Vi.Ma. (Omissis) e Condomino Volontà (Omissis), in persona dell’Amministratore pro tempore, tutti rappresentati e difesi con procura speciale in calce al controricorso dall’avv. Da. Do. del foro di Padova ed elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrenti –
avverso il decreto di rigetto della Corte di Appello di Venezia, pubblicata il 06 novembre 2019 non notificato. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’udienza pubblica del 5 luglio 2023 dal Consigliere Milena Falaschi; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Fulvio Troncone, il quale ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta depositata che terminava nel senso del rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Dar. Do., per parte resistente.
Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 6 giugno 2018 Ze.Gi. e Ce.Da. evocavano, dinanzi al Tribunale di Padova, il Condominio Volontà e i condomini Za.Gi., Gi.Ca., Vi.Ma. e Ma.Ga. al fine di ottenere la revoca dell’amministratore incaricato e la nomina, ai sensi dell’art. 1129 c.c., di un amministratore giudiziario. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il Tribunale di Padova, con decreto del 26 febbraio 2019, dichiarava l’improcedibilità del ricorso presentato per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, e per l’effetto condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In virtù di reclamo interposto dalla Ze.Gi. e dal Ce.Da., la Corte di appello di Venezia, nella resistenza del Condominio e dei condomini appellati, con decreto n. 3165 del 2019, rigettava il reclamo e compensava le spese di lite. A sostegno della decisione adottata il Giudice distrettuale evidenziava preliminarmente come il comma 4 lett. f) dell’art. 5 comma 1 bis del D.Lgs. n. 28/2010 escludeva l’applicazione della condizione di procedibilità, consistente nel preventivo ed obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione, ai procedimenti che si svolgevano in camera di consiglio, in cui rientrava anche il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio che costituiva un procedimento camerale plurilaterale tipico, per cui andava chiaramente respinta l’eccezione di improcedibilità sollevata nella fase del giudizio di prime cure dai resistenti.
Ciò nonostante la Corte di merito, nel caso di specie, riteneva fondata l’eccezione di improcedibilità sollevata pure dagli originari resistenti, che nel costituirsi avevano dedotto l’insussistenza dei presupposti per procedere alla nomina di un amministratore, in particolare, la presenza di otto condomini richiesta dall’art. 1129, primo comma c.c., per essere il Condominio Volontà composto da sole n. 5 unità abitative, circostanza che impediva di valutare nel merito il ricorso, considerato peraltro che prima della presentazione del ricorso era stato regolarmente nominato dall’assemblea l’amministratore condominiale nella persona di Ba.Ma., in sostituzione del dimissionario Moro Denis. Né i reclamanti avevano esplicitato le ragioni che avevano giustificato la presentazione del ricorso, per cui non era neanche possibile valutare la sussistenza di gravi irregolarità addebitabili all’amministratore in carica legittimanti la sua revoca. Per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia ricorrono ai sensi dell’art. 111 Cost, comma 7, Ce.Da. e Ze.Gi.sulla base di quattro motivi, cui resistono il Condominio Volontà ed i condomini evocati con controricorso. Fissata pubblica udienza per la discussione del ricorso, e stata depositata dal sostituto procuratore generale, dott. Fulvio Troncone, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso dell’accoglimento del ricorso.
In prossimità della udienza pubblica e stata depositata dal sostituto procuratore generale, dott. Fulvio Troncone, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.
In data 28.06.2023 la parte ricorrente ha curato il deposito cartaceo di memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. formulando anche istanza di rimessione in termini.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre preliminarmente rilevare che non vi è ragione di provvedere sull’istanza di rimessione in termini formulata da parte ricorrente ai sensi dell’art. 153, comma 2 c.p.c., risultando dagli atti processuali che la memoria illustrativa e stata depositata tempestivamente, nei dieci giorni precedenti l’udienza pubblica, come previsto dell’art. 378 c.p.c. ratione temporis applicabile (norma riformata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 come a sua volta modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197 – c.d. “Riforma Cartabia” – il quale, nell’aggiungere un comma prima del primo e nel modificare la rubrica dell’art. 378, ha disposto, con l’art. 35, comma 6, che “Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non e stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”), per essere stata inserita nel PCT in data 23.06.2023.
Passando al merito, con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 111, comma 7 Cost., 156 e 161 c.p.c. per contrasto irriducibile fra motivazione e dispositivo in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., nullità del decreto impugnato per motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile ai sensi dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., oltre a contraddittorietà e/o a manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 360, comma 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. nella parte relativa alla statuizione sulle spese di lite, in quanto pur avendo il giudice del gravame riconosciuto l’ammissibilità del reclamo e l’erroneità del decreto impugnato, dichiarava compensate le spese di lite generando un inaccettabile contrasto tra motivazione e dispositivo. Infatti, la Corte Veneta avrebbe dovuto statuire che le spese di entrambi i gradi del giudizio andavano poste a carico delle parti reclamate.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 111, commi 2 e 7 e dell’art. 24 Cost., nonché dell’art. 1362 c.c., dell’art. 112 c.p.c. per vizio di extra ed ultrapetizione con violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, statuizione che avrebbe inciso quanto alle spese di giudizio in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. Ad avviso dei ricorrenti, il giudice del reclamo avrebbe travisato il fatto che i resistenti avevano formulato non solo la censura sul numero dei condomini per la nomina di un amministratore giudiziario, ma anche la censura sulle gravi irregolarità denunziate da Ce.Da. – Ze.Gi. nel ricorso di prime cure incidendo sulla statuizione relativa alle spese di giudizio. La Corte Veneta, infatti, pronunciava oltre i limiti delle eccezioni fatte valere dalle parti in quanto decideva anche su una censura non dedotta in secondo grado e quindi anche sulle gravi irregolarità di cui si erano macchiati i resistenti e l’amministratore sin dal 2010, documentate dai ricorrenti Ce.Da.-Ze.Gi. in primo grado.
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Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3, 24, 111, commi 2 e 7 Cost. e del principio dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., relativamente alla pronunzia in punto spese di giudizio, per avere attribuito l’onere di provare i fatti su cui l’eccezione accolta si fondava a carico di Ce.Da. – Ze.Gi. ed avere completamente omesso di verificare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie invocata ex art. 1129 c.c., la quale oltre a richiedere la presenza di otto condomini per la nomina giudiziaria di un amministratore, richiede l’accertamento di gravi irregolarità addebitabili all’Amministratore in carica, fatti sui quali non vi era stata alcuna allegazione a sostegno dell’assunto dei controricorrenti, cosi determinando una inversione dell’onere probatorio che doveva essere posto a carico delle parti resistenti che ne eccepivano l’insussistenza.
Tale erronea valutazione del giudice del gravame costituiva un giudizio non rispettoso dell’osservanza della regola generale dell’art. 2697 c.c. che stabilisce che colui il quale vuole far valere un diritto in giudizio deve dimostrare i fatti costitutivi posti a fondamento dello stesso, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o estinto provare i fatti sui quali si fonda la propria eccezione.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 111, commi 2 e 7, degli artt. 3 e 24 Cost., la nullità del decreto impugnato per difetto assoluto di motivazione per omessa valutazione di prove documentali decisive per il giudizio ovvero per motivazione apparente ai sensi dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., nonché vizio di motivazione insufficiente su fatto decisivo per il giudizio idoneo a incidere sulla statuizione delle spese di lite in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile relativamente alla pronunzia in punto spese di giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 e 5 c.p.c., infatti la Corte Veneta ha errato nel decidere di non valutare anche il ricorso introduttivo di primo grado prendendo visione ed esaminando tutti gli atti in esso depositati , la cui corretta analisi avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa su un punto decisivo della controversia. Infatti, se il giudice di secondo grado avesse esaminato tali atti avrebbe rilevato che non era vero che i reclamanti non avevano replicato alla censura avversaria e avrebbe altresì rilevato che non era corrispondente a verità il fatto che i reclamanti non provavano la fondatezza del ricorso, deduzione erronea che aveva generato la lamentata statuizione sulle spese di lite.
Il ricorso va respinto. Le censure introdotte sono contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise, senza offrire elementi che inducano a confermare o mutare tali orientamenti, e Ciò agli effetti dell’art. 360-bis n. 1 c.p.c.
Secondo tali orientamenti, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte d’appello provvede sul reclamo contro il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli art. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento che non ha carattere decisorio, giacché non preclude la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio di cognizione, del diritto su cui il provvedimento incide. Tale ricorso e, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (in particolare, per la più completa motivazione, Cass. 28 ottobre 2020 n. 23743, non massimata; Cass. 13 novembre 2020 n. 25682; Cass. 28 luglio 2020 n. 15995; Cass. 18 marzo 2019 n. 7623; Cass. 11 aprile 2017 n. 9348; Cass. 30 marzo 2017 n. 8283; Cass. 1° luglio 2011 n. 14524; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2004 n. 20957).
È parimenti del tutto conforme all’orientamento interpretativo di questa Corte, consolidatosi sulla base del principio enunciato da Cass., Sez. Un., n. 20957/2004 cit., la conclusione che il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c.
L’art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a sé, dispone la condanna alle spese
giudiziali, intende riferirsi, infatti, a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e Ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo; pertanto, la norma trova applicazione anche ai provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell’amministratore di condominio, sicché, mentre la decisione nel merito del ricorso di cui all’art. 1129, comma 11, c.c. non e ricorribile in cassazione, la consequenziale statuizione relativa alle spese, in quanto dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, e impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost. (cfr. Cass. 23 giugno 2017 n. 15706; Cass. 11 aprile 2017 n. 9348; Cass. 1° settembre 2014 n. 18487; Cass. 26 giugno 2006 n. 14742).
Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
Deve dunque ribadirsi che il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla corte d’appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (cfr. Cass. n. 15706/2017 cit.; Cass., Sez. Un., n. 20957/2004 cit.). Ne consegue che il decreto con cui la Corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere
revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: cfr. Cass. n. 7623/2019 cit.; Cass. 1° marzo 1983 n. 1540), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. 6 novembre 2006 n. 23673).
Il decreto con cui la Corte d’appello rigetti, come nella specie, il reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111, comma 7 Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di revoca (o meno) resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può perciò costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo anche la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale
cui il processo e preordinato (arg. da Cass. 5 febbraio 2008 n. 2756; Cass. 7 luglio 2011 n. 15070; Cass. 1° febbraio 2016 n. 1873; Cass. 18 gennaio 2018 n. 1237).
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Anche dopo le modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, rimane perciò da confermare la mancanza di attitudine al giudicato del provvedimento con cui il tribunale pone termine ante tempus al rapporto tra amministratore e condomini. Non è determinante in senso contrario il disposto del comma 13 dell’art. 1129 c.c., in forza del quale “in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato”. Il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale (peraltro esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, il quale intercorre unicamente tra il condomino istante e l’amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l’intervento dei restanti: cfr. Cass. 21 febbraio 2020 n. 4696) e temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione. Il divieto di nomina posto dal riformato art. 1129, comma 13 c.c. funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale (e Ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca). Tale divieto non oblitera perciò il tipico
connotato di provvisorietà ed intrinseca modificabilità dei provvedimenti giudiziari camerali in tema di nomina e revoca dell’amministratore di condominio, lasciando
all’amministratore revocato la facoltà di avvalersi della tutela giurisdizionale piena in un ordinario giudizio contenzioso a fini risarcitori (ancora Cass. 28 ottobre 2020 n. 23743, non massimata).
Neppure sono ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129, comma 12 c.c. o la materiale mancanza della motivazione occorrente per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
Del resto questa Corte ha pure chiarito che tale principi non contrastano con l’art. 13 CEDU, il quale, nello stabilire che ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione siano violati ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, non implica affatto che gli Stati debbano sempre ed in ogni caso accordare la tutela giurisdizionale fino al livello del rimedio di legittimità, la cui funzione ordinamentale non consiste nel tutelare lo ius litigatoris, attribuendo al singolo ulteriori opportunità di verifica delle condizioni di fondatezza della sua pretesa, ma di garantire lo ius constitutionis”, Cioè la nomofilachia e con essa
l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 2986 del 2012).
Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
Venendo all’esame dell’unica questione ammissibile, posta nella prima censura e in parte nella seconda e nella quarta, limitatamente alle critiche rivolte avverso la determinazione delle spese del procedimento di reclamo, che la Corte d’appello di Venezia ha ritenuto di compensare, essa e infondata.
Premesso quanto sopra esposto secondo cui il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 20957/2004 cit.), e legittima la compensazione delle spese giudiziali nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 64, comma 2, disp. att. c.c., avverso il provvedimento reso dal tribunale, atteso che ivi si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli artt. 91 e ss. c.p.c., trattandosi di profilo rimesso alla discrezionalità del giudice di merito di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che e sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei. Quando, perciò, un giudizio sia stato definito con un sostanziale rigetto della domanda anche se con diversa motivazione, sussistevano tutte le condizioni della soccombenza, tuttavia l’avere riformato la decisione sotto il profilo delle argomentazioni ha indotto la Corte distrettuale a ravvisare le ragioni, indicate esplicitamente nella motivazione per giustificare la compensazione delle spese, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., che ben possono riguardare, come nella specie, specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, e, trattandosi di nozione necessariamente elastica, ad esse può certamente ricondursi il giudizio di ragionevolezza della pretesa di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio, risultata infondata per carenza dei presupposti per pronunciarla.
Il decreto di revoca dell’amministratore adottato dalla Corte d’appello
Il Collegio rigetta pertanto il ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso e stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali in favore dei controricorrenti che vengono liquidate in complessivi euro 1.400,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile del 5 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2024.
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