La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con la fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
SENTENZA 8 febbraio 2017, n. 5812
Considerato in diritto
Il Procuratore Generale ricorrente condivide e fa proprio il prevalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, seconda parte, c.p.(come modificato dall’art. 2 della legge 7 febbraio 1990 n. 19) non è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti (Sez. 6, n. 9722 del 29/01/2014, Rv. 259071; Sez. 4, n. 36408 del 26.6.2013, Rv. 255958; Sez. 6, n. 23821 del 27/02/2013, Rv. 255663; Sez. 6, n. 41758 del 13 ottobre 2009, Rv. 245019; Sez. 6, n. 7830 del 30 marzo 1999, Rv. 214733; Sez. 4, n. 3621 del 26 febbraio 1993, Rv. 193651).
Tale orientamento giurisprudenziale si fonda su due argomenti.
In base al primo, l’attenuante in esame non è configurabile nei delitti in materia di stupefacenti, poiché quand’anche il lucro perseguito o conseguito a seguito di siffatte condotte fosse di speciale tenuità, non potrebbe comunque mai ritenersi soddisfatta l’altra condizione prevista dalla norma, e cioè la speciale tenuità del danno o del pericolo derivanti dall’azione, essendo quei delitti lesivi di beni giuridici, costituzionalmente protetti, attinenti alla salute pubblica, alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico. Per i reati in materia di stupefacenti non sarebbe dunque ipotizzabile un evento dannoso o pericoloso tenue, dovendosi tra l’altro tener conto non dei soli danni immediati alla salute delle persone, ma anche di quelli non immediati, pur sempre ricollegabili alla diffusione e all’uso di quelle sostanze.
Il secondo argomento proposto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità – invero formatasi, senza successivi approfondimenti, in epoca precedente la trasformazione (avvenuta con D.L. n. 146 del 23.12.2013 convertito con modifiche dalla L. n. 10/2014) dell’attenuante speciale originariamente prevista all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 in autonoma fattispecie di reato – muove invece dal rilievo che i presupposti fattuali dell’attenuante comune del ‘lucro di speciale tenuità’ di cui all’art. 62, n. 4), seconda parte, c.p. coincidono con quelli della diminuente speciale del ‘fatto di lieve entità’ di cui al citato art. 73, comma quinto, trattandosi in entrambi i casi della minima offensività del fatto, sotto il profilo del profitto derivatone per l’agente e del danno o del pericolo da questi provocato, sicché una contraria soluzione interpretativa porterebbe a un’ingiustificata duplicazione di benefici sanzionatori (così, in particolare, Sez. 4, n. 36408 del 26.6.2013, Rv. 255958).
Il Collegio ritiene che tali argomenti siano infondati e intrinsecamente contraddittori.
Il primo argomento – l’essere cioè impossibile il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso ‘tenue’ in caso di violazione della disciplina penale degli stupefacenti – è infatti predicato in maniera tanto assoluta quanto apodittica, non trovando esso giustificazione, in tale incondizionata enunciazione, in massime di esperienza scientificamente fondate e generalmente accettate, mai del resto compiutamente descritte e neppure indicate nei precedenti considerati. In realtà, il rapporto che intercorre tra l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, seconda parte, c.p. e la fattispecie di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non è dissimile da quello ritenuto sussistere, nell’ottica della conciliabilità delle attenuanti, tra quella comune in esame e quella speciale di cui all’art. 323 bis cod. pen., la quale si applica ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione caratterizzati da ‘particolare tenuità’. Invero, al pari delle fattispecie punite dall’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, quei delitti non sono reati contro il patrimonio e sono posti a tutela di beni primari costituzionalmente protetti – il buon andamento e l’imparzialità della P.A. – senza che ciò impedisca l’astratta possibilità che essi siano connotati dalla minima entità dell’offesa arrecata nel caso concreto al bene tutelato (Sez. 6, n. 20937 del 18/01/2011, Rv. 250028; Sez. 6, 9.12.1996 n. 2620, Rv. 208675). In assenza di indici normativi che lo sostengano (ed anzi in presenza di beni protetti di rango equivalente), l’argomento in esame si sostanzia pertanto nell’ingiustificata selezione di alcune fattispecie tra quelle per le quali il legislatore ha chiaramente indicato la configurabilità di un’offesa di speciale tenuità laddove determinate da motivi di lucro.
Si tratta inoltre di un enunciato normativamente contraddetto dal chiaro disposto dell’art. 73, comma 5, D.P.R.309/90, il quale riconosce espressamente la possibilità che un fatto punibile ai sensi del citato art. 73 sia caratterizzato da minima offensività dei beni protetti, pure certamente primari e costituzionalmente garantiti.
Ove infatti si ritenesse ontologicamente impossibile il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso ‘tenue’ in caso di violazione della disciplina penale degli stupefacenti, ciò comporterebbe necessariamente anche il venir meno della possibilità di connotare una condotta punibile ex art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 quale fatto ‘di lieve entità’ ai sensi del comma 5dello stesso articolo. Quell’interpretazione si porrebbe quindi in contrasto non solo col chiaro tenore letterale dell’art. 62, n. 4, seconda parte, cod. pen., il quale prevede l’applicabilità dell’attenuante in questione a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, ma anche col citato art. 73, comma 5. Con la conseguenza che per i reati in materia di stupefacenti si verificherebbe un’ingiustificata abrogazione de facto, per impossibilità dei relativi presupposti legali (che la stessa giurisprudenza in esame assume essere coincidenti), non solo dell’attenuante del lucro di speciale tenuità, ma anche della fattispecie ‘di lieve entità’ di cui all’art. 73, comma 5.
L’argomento in esame si rivela del resto vieppiù insostenibile a seguito dell’introduzione della generale causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen..
Posto infatti che la pena edittale prevista per l’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 rientra nei limiti di cui al comma 1 dell’art. 131-bis e che gli elementi oggettivi di esclusione della particolare tenuità dell’offesa sono specificamente (e tassativamente) descritti nel comma 2 della medesima disposizione senza che tra essi figuri un qualsivoglia riferimento alla ‘categoria’ dei delitti in tema di stupefacenti, deve ritenersi che la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. possa applicarsi alle condotte rientranti nella fattispecie di lieve entità contestata in questo processo all’imputato. Sicché anche per tale via risulta confermata la possibilità che i delitti in materia di stupefacenti di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 siano caratterizzati da minima offensività, tale da determinare alternativamente, previa scrupolosa verifica degli elementi indicati nelle norme testé citate, la qualificazione del fatto in termini di lieve entità ex art. 73, comma 5 D.P.R. 309/90, ovvero la sua non punibilità ex art. 131 bis cod. pen..
Né maggior pregio ha l’argomento secondo il quale il riconoscimento dell’attenuante del lucro di speciale tenuità prevista all’art. 62, n. 4, seconda parte, c.p. comporterebbe, in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, un’ingiustificata duplicazione di benefici sanzionatori. La trasformazione dell’attenuante speciale prevista dal testo originario dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 in autonoma fattispecie di reato, operata dal D.L. n. 146 del 23.12.2013 convertito con modifiche dalla L. n. 10/2014, fa sì che a tale autonoma fattispecie delittuosa corrisponda ora una specifica cornice edittale. Deve pertanto escludersi che l’attenuante comune in esame, destinata ad incidere sull’ordinario trattamento punitivo riservato a quelle condotte, possa determinare un’indebita duplicazione di benefici sanzionatori. E ciò è tanto più vero in quanto quell’attenuante richiede per la sua applicazione l’esistenza di un elemento ulteriore rispetto alla tenuità dell’offesa (comune alle due norme considerate) e come tale specializzante rispetto al ‘fatto lieve’ di cui all’art. 73, comma 5. Elemento consistente nell’essere il delitto determinato da motivi di lucro e nell’avere l’agente perseguito, o effettivamente conseguito, un lucro di speciale tenuità.
Va pertanto ribadito, anche con riferimento ai delitti in tema di stupefacenti, che a seguito della nuova formulazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., recata dall’art. 2 L. 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell’evento dannoso o pericoloso (ex multis, con riferimento a diverse fattispecie delittuose e categorie di delitti, Sez. 5, n. 43342 del 19/10/2005, Rv. 232851; Sez. 3, n. 2685 del 12/10/2011, Rv. 251888; Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, Rv. 257545; Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Rv. 262193; Sez. 5, n. 36790 del 22/06/2015, Rv. 264745; Sez. 5, n. 27874 del 27/01/2016, Rv. 267357).
Ne consegue che la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con la fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990 (Sez. 6, n. 20937 del 18/01/2011, Rv. 250028).
A tal proposito, il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, mediante una verifica in concreto che dia consistenza, per grado e qualità, alla lesione del bene tutelato dalla norma penale, sia sotto il profilo dell’entità del lucro (conseguendo o conseguito dall’agente) che dell’entità della stessa lesione, cioè dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata.
Il Collegio osserva al riguardo che il Procuratore Generale ricorrente, nel dedurre ‘per saltum’ il vizio di violazione di legge, non ha censurato la relativa valutazione del giudice di merito, che appare del resto del tutto congrua e priva di profili di illogicità laddove rileva che il modesto quantitativo di sostanza detenuta dall’imputato, contenente principio attivo THC pari a grammi 0,388, in parte ceduta per un corrispettivo di 40 Euro, fa ritenere integrato il contestato delitto di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R.309/90, e concedibile l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, seconda parte, cod. pen., vista la speciale tenuità del lucro conseguito e dell’offesa recata, anche in relazione alla verificata sussistenza dei presupposti di legge per la concessione al S. dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
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