Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza del 4 aprile 2018, n.8393.
Qualora le infiltrazioni d’acqua, provenienti dal tetto di un edificio, cagionino un danno ad un condomino, responsabile non è solamente il Condominio ma altresì, ai sensi dell’art. 2051 c.c., il proprietario dell’appartamento sovrastante quello del danneggiato che non abbia provveduto alla manutenzione ordinaria del proprio immobile.
La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale che, nel caso in esame quell’onere non è stato assolto. Come ha avuto modo di chiarire il Tribunale nel caso di specie appare ascrivibile al condomino ex art. 2051 cod. civ. il non avere attuato nel corso degli anni nemmeno la manutenzione ordinaria del proprio appartamento e lasciandolo privo di infissi di talché l’acqua piovana attingeva direttamente il pavimento interno evidentemente non predisposto a svolgere funzione di impermeabilizzazione.
Corte di Cassazione
sezione sesta civile
ordinanza del 4 aprile 2018, n.8393
Svolgimento del processo
Il Collegio preso atto:
che il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo il ricorso infondato perché il Tribunale ha correttamente interpretato ed applicato la norma di cui all’art. 1227 cod. civ..
La proposta del relatore è stata notificata alle parti.
Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe, dal quale risulta che:
Giudice di Pace di Alatri, con sentenza n. 11 del 2014 ha accolto la domanda di C.L. di risarcimento dei danni patiti dalla propria abitazione, a seguito di infiltrazioni addebitabili all’appartamento di B.A.. Liquidava il danno liquidandolo in Euro 2.909,55, condannava il convenuto al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso questa sentenza proponeva appello B.A., ritenendo che la sentenza, nella laconica motivazione, avrebbe dato alcuna giustificazione delle ragioni per le quali addebitare la responsabilità delle infiltrazioni all’immobile del convenuto, giacché tra i due appartamenti vi era, anche, quello (disabitato) di un soggetto terzo. Inoltre, l’appellante continua a dolersi della nullità della citazione in primo grado, della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eventuali coobbligati e della erronea liquidazione delle spese di lite (che avrebbero dovuto essere compensate almeno in parte, giacché la domanda attorea era stata comunque accolta solo parzialmente).
L’appellato, costituitosi, ha chiesto di rigettarsi il gravame.
Il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 1011 del 2016, riformava la sentenza di primo grado, rideterminando in Euro 2000,00 il danno da risarcire e compensava per meta le spese del giudizio ponendo a carico di B.A. la restante metà. Secondo il Tribunale di Frosinone, la causa principale delle infiltrazioni lamentate era da ascrivere alla vetustà del tetto di copertura del fabbricato, come tale, la responsabilità delle infiltrazioni a carico dell’immobile di C.L. , andava imputata all’intero condominio. Ciò che, invece, appare ascrivibile all’originario convenuto, ex art. 2051 è il non avere attuato, nel corso degli anni, nemmeno la manutenzione ordinaria del proprio appartamento (senza preoccuparsi di sollecitare l’esecuzione dei lavori condominiali ed anzi disinteressandosi delle richieste dei condomini) e lasciandolo privo di infissi (come riferito dai testi) di talché l’acqua piovana attingeva direttamente il pavimento interno, evidentemente non predisposto a svolgere funzione di impermeabilizzazione.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.A. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria.
C.L. in questa fase non ha svolto attività giudiziale.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso B.A. lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117 cod. civ. 2051 cod. civ. e dell’art. 102 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Secondo il ricorrente, avendo il Tribunale affermato che la responsabilità delle infiltrazioni di acqua erano dovute essenzialmente alla vetustà del tetto del fabbricato, cioè del tetto condominiale, legittimato passivo all’azione intrapresa da C. era il Condominio e non già il sig. B. . A sua volta, tenuto conto che le infiltrazioni di acqua si erano verificati l’11 dicembre del 2008 e, cioè, dopo che Edil 2008 aveva ricevuto l’appalto per i lavori di rifacimento del tetto dell’immobile sito in Fiuggi, la responsabilità delle infiltrazioni avrebbe dovuto essere riferita alla ditta appaltatrice.
1.1.- Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi.
Come ha evidenziato lo stesso ricorrente, il Tribunale di Frosinone ha individuato tre elementi che avrebbero contribuito a determinare i danni da infiltrazioni lamentati dal sig. C.L. e cioè: 1) la completa vetustà del tetto di copertura dell’intero edificio; 2) la mancata manutenzione ordinaria dell’appartamento di proprietà del B.A.; 3) il verificarsi dell’allagamento nel mese di dicembre 2008, allorquando i lavori di rifacimento del tetto era stati appaltati.
Pertanto, se è vero che nel caso specifico il Tribunale ha accertato una responsabilità del condominio è anche vero, che ha accertato una responsabilità esclusa del B. per mancata custodia dell’appartamento di sua proprietà.
E si da conto che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale che, nel caso in esame quell’onere non è stato assolto. Come ha avuto modo di chiarire il Tribunale: ‘(…) appare ascrivibile all’originario convenuto ex art. 2051 cod. civ. il non avere attuato nel corso degli anni nemmeno la manutenzione ordinaria del proprio appartamento (…) e lasciandolo privo di infissi di talché l’acqua piovana attingeva direttamente il pavimento interno evidentemente non predisposto a svolgere funzione di impermeabilizzazione (…)’.
Va da sé, per altro, che rispetto a questa responsabilità di mancata custodia ex art. 2051 cod. civ., legittimato passivamente era il sig. B.A. .
Pertanto, nessun errore ha commesso il Tribunale e correttamente, proprio in considerazione del grado di responsabilità in ordine alle infiltrazioni a carico dell’appartamento del C. , ha posto a carico del B.A. , ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. i due terzi della spesa complessiva per il ripristino dell’appartamento attoreo. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, dato che C.L. in questa fase non ha svolto attività giudiziale. Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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