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Peraltro, quand’anche si ritenesse applicabile anche al sostituto di udienza la disposizione di cui all’art. 108 cit. – occorre considerare che la violazione della norma (con il diniego del termine ovvero la concessione di un termine inferiore a quello minimo di legge) integra una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. C e art. 180 cod.proc.pen., in quanto attiene all’assistenza dell’imputato, ma non deriva dall’assenza del difensore, sicché deve essere dedotta, ai sensi dell’art. 182 cod.proc.pen., dal difensore presente subito dopo il compimento dell’atto di diniego, essendo soggetta alle preclusioni e sanatorie di cui agli artt. 180 e segg. cod.proc.pen. (Sez. 5 del 7 marzo 2003, n. 15098). E, nel caso di specie, la verifica degli atti ha consentito di accertare, in primo luogo, che la richiesta del termine a difesa non è stata fatta dal difensore di ufficio al momento della nomina, cioè all’inizio dell’udienza del 20.10.2014, ma solo dopo l’assunzione della prova testimoniale e prima della discussione finale. Dunque, non “immediatamente dopo” il compimento dell’atto viziato. E, quanto al diniego da parte del giudice del termine a difesa, motivato con l’assunto che non è previsto dalle norme, non ha fatto seguito alcuna immediata eccezione, con la conseguente ulteriore operatività della preclusione prevista dall’art. 182, comma 2, cod.proc.pen. per le ipotesi di nullità verificatesi in presenza della parte interessata a dedurle.
Di conseguenza, evidentemente tardiva deve considerarsi la deduzione dei profili esposti operata per la prima volta nel contesto dell’atto di appello. Né può farsi questione di caso fortuito o forza maggiore (in relazione alla mancata conoscenza dell’evento morte del difensore di fiducia) e, dunque, di possibile rimessione in termini dell’imputato per proporre l’eccezione in questione, posto che, secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, il mancato adempimento, da parte del difensore di fiducia, dell’incarico di partecipare al processo, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare l’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione in termini, poiché grava sull’imputato l’onere di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito (si veda, Sez. 4, n. 20655 del 14.03.2012, Rv. 254072 e molte altre conformi). E, si consideri, nella fattispecie il decesso del difensore risaliva a quasi un anno prima dell’udienza in cui è stato nominato il difensore d’ ufficio.
Conclusivamente può affermarsi il seguente principio: l’accertamento successivo della morte del difensore non comporta una invalidità del decreto di citazione regolarmente emesso né impone una sua ripetizione con l’indicazione del nuovo difensore nominato. Ne consegue che al difensore di ufficio, nominato nel corso del giudizio, non compete la notifica del decreto di citazione a giudizio. A tale difensore compete il termine a difesa, il cui eventuale diniego integra una nullità a regime intermedio sanabile ai sensi degli artt. 180 e segg. cod.proc.pen. e, nella fattispecie, ai sensi dell’art. 182 comma 2 cod.proc.pen., avendo il difensore presenziato all’atto.
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