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Ritiene questo Collegio che la sentenza impugnata, nonostante non abbia risposto specificamente alla doglianza, dedotta dal ricorrente nei motivi di appello, della non paternita’ dei prelievi contestati in ragione della illeggibilita’ della firma apposta sugli assegni, non e’ incorsa in alcun vizio di motivazione.
Va premesso che la sentenza di primo grado aveva confutato tale censura sul rilievo che gli assegni per mezzo dei quali i prelievi vennero operati recavano, oltre che la firma illeggibile, anche il timbro dell’amministratore, con la conseguenza che tale firma doveva essere necessariamente riferita all’amministratore. Ne’ era emerso, e tale circostanza non era stata neppure allegata nel corso delle indagini dalla difesa o dallo stesso (OMISSIS), che qualcun altro avesse avuto accesso a tale conto corrente della societa’.
Il ricorrente nei motivi d’appello (pag. 10) non ha inteso confrontarsi con cosi’ articolata argomentazione del giudice di primo grado, essendosi limitato genericamente a reiterare l’eccezione di non paternita’ dei prelievi.
Ne consegue che anche in questa sede deve ribadirsi il principio consolidato di questa Corte che, ove le censure svolte dall’imputato nei motivi d’appello si palesino generiche, non contenendo in alcun modo elementi di novita’ rispetto a quelli gia’ esaminati e disattesi nella sentenza di primo grado, il giudice del gravame non e’ tenuto a riesaminare questioni gia’ risolte e adeguatamente trattate dal primo giudice.
5. Il settimo e l’ottavo motivo possono essere esaminati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto il trattamento sanzionatorio, e sono infondati.
Va preliminarmente osservato che la censura del ricorrente, secondo cui la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla doglianza relativa alla illegittima equivalenza tra “attenuanti generiche e la contestata aggravante”, non e’ in alcun modo meritevole di accoglimento.
E’ evidente che su tale doglianza la Corte territoriale ha implicitamente provveduto, avendo applicato sulla pena fissata base la diminuzione di pena per le attenuanti generiche nonche’ correttamente eliminato ogni riferimento ed ogni rilievo pratico – come invece aveva fatto il giudice di primo grado – alla circostanza aggravante mai contestata.
Parimenti infondata e’ la censura secondo cui la Corte territoriale, nel riformare la pena rispetto al giudice di primo grado, avrebbe sostanzialmente applicato una pena in peius.
E’ principio consolidato di questa Corte che il contrasto tra dispositivo e motivazione si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo (Sez. 6, Sentenza n. 19851 del 13/04/2016, Rv. 267177), con la conseguenza che, avendo, nel caso di specie, il giudice di primo applicato nel dispositivo la pena di anni tre e mesi sei di reclusione, la statuizione della sentenza impugnata di fissare come pena base la stessa pena del primo giudice ed applicare la pena finale in anni tre di reclusione, dopo la riduzione ex articolo 62 bis c.p., appare immune da censure.
Infine, e’ infondata la censura che la sentenza impugnata sarebbe venuto meno al proprio obbligo motivazionale con riferimento alla richiesta concessione dell’attenuante del danno di speciale tenuita’.
In proposito, va osservato che, posto che il riconoscimento o meno di una circostanza attenuante o aggravante rientra nella qualificazione giuridica di un fatto, questa Corte non deve tanto verificare la motivazione fornita a sostegno della qualificazione giuridica di un fatto, quanto procedere direttamente alla verifica della correttezza di tale qualificazione (ove non ne siano contestati i presupposti fattuali), ponendosi una vera e propria quaestio iuris.
Ne consegue che e’ irrilevante che una questione di diritto non sia stata motivata o sia stata eventualmente illogicamente o contraddittoriamente motivata allorquando sia stata comunque esattamente risolta, atteso che il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimita’ e’ solo quello attinente alle questioni di fatto (vedi sez. 2 n. 19696 del 20 maggio 2010, Rv. 247123; S.U. n. 155/12 del 29 settembre 2011, Prevete, in motivazione).
Orbene, nel caso di specie, non vi e’ dubbio che la Corte di merito abbia correttamente non applicato l’attenuante del danno di speciale tenuita’, la quale non va parametrata all’importo del credito rivendicato nell’istanza di fallimento – nel caso di specie circa Euro 5.000,00 – come invocato dal ricorrente, ma deve essere posta in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013, Rv. 255063).
E’ evidente quindi il danno, non di speciale tenuita’, bensi’ rilevante per l’attivo provocato dalle distrazioni del ricorrente per l’importo di circa Euro 55.000,00.
Il rigetto del rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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