Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 6 novembre 2017, n. 50458. L’applicazione della misura di sicurezza della casa-lavoro

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La conformita’ a Costituzione del richiamato sistema del doppio binario va, quindi, ribadita sulla scorta dell’ontologica differenza fra pene e misure di sicurezza, la quale, alla stregua del discrimen sopra richiamato, con la netta distinzione anzitutto di natura funzionale fra le stesse, non viene attenuata anche li’ dove le misure di sicurezza siano di carattere detentivo.
Infine, nemmeno potrebbe piu’ argomentarsi, dalla – non definibile a priori in modo assoluto – durata delle misure di sicurezza (proprio perche’ la loro applicazione non puo’ prescindere dalla costante verifica della permanenza della pericolosita’ sociale del sottoposto), l’evenienza di una sostanziale connotazione punitiva di quelle detentive, posto che, al lume del Decreto Legge n. 52 del 2014, articolo 1, comma 1 quater, conv. dalla L. n. 81 del 2014, le misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima (con la specificazione che per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 cod. proc. pen.).
Pertanto, l’articolo 25 Cost. non si prospetta violato dall’assetto normativo che le contempla.
Del pari, non pare riscontrarsi alcuna fondatezza in ordine alla questione, per come prospettata, della violazione dell’articolo 117 Cost., quale norma interposta rispetto agli articoli 5 (che sancisce, fra l’altro, il principio di legalita’, per il quale nessuno puo’ essere privato della liberta’, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge) e 7 (che enuncia in ambito convenzionale il principio nulla poena sine lege, in virtu’ del quale nessuno puo’ essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui e’ stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale e, parimenti, non puo’ essere inflitta una pena piu’ grave di quella applicabile al momento in cui il reato e’ stato commesso) della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali.
Richiamato quanto precede in ordine alla misura di sicurezza in concreto applicata, deve invero reputarsi irrilevante nel caso di specie ogni questione riguardante l’articolo 231 c.p., comma 2, a mente del quale il giudice, avuto riguardo alla particolare gravita’ della trasgressione o al ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore non presti la cauzione, il giudice puo’ sostituire alla liberta’ vigilata l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.
Infatti, atteso che e’ quest’ultima la misura di sicurezza motivatamente applicata dai giudici di merito nel caso di specie, la tenuta costituzionale del regime giuridico anche di ordine sanzionatorio relativo alla diversa misura di sicurezza della liberta’ vigilata non puo’ ritenersi oggetto di doglianza ammissibile in questa sede.
4.4. Ne’ si riscontrano nel quarto motivo diverse e condivisibili censure, svolte sempre in riferimento al quadro normativo sovranazionale gia’ citato in precedenza, implementato dal richiamo all’articolo 50 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea (la Carta di Nizza, a sua volta oggetto del rinvio operato dall’articolo 6 T.U.E.) che sancisce anche in sede U.E. l’operativita’ del principio del ne bis in idem (in quanto stabilisce che nessuno puo’ essere perseguito o condannato per un reato per il quale e’ gia’ stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge), principio pure affermato dall’articolo 4 Prot. 4 CEDU.
Non puo’ che ribadirsi come la chiara distinzione di oggetto e funzione delle pene e delle misure di sicurezza escluda la giuridica possibilita’ di accedere ad ogni prospettazione di duplicazione indebita del sistema sanzionatorio del singolo fatto reato.
Cio’, fermo restando che le ulteriori notazioni in tema di contrarieta’ dell’articolo 231 c.p., comma 2, ai citati articoli 5 e 7 CEDU non possono avere ammissibile ingresso nel caso in esame per la ragione gia’ chiarita.
Ogni altra considerazione svolta, per quanto attinente al caso di specie, rifluisce in valutazioni di fatto relative alla posizione ed al comportamento del (OMISSIS), non ammissibilmente veicolabili in questa sede.
5. Discende da tali considerazioni il rigetto dell’impugnazione.
Consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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