Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 6 novembre 2017, n. 50458. L’applicazione della misura di sicurezza della casa-lavoro

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I giudici di merito hanno, del resto, ricordato come i conditores del codice del 1930, combinando le posizioni sostenute dalla scuola positiva e da quella classica, abbiano optato per il sistema definito dualistico o del doppio binario, cosi’ da prevedere la sanzione penale tradizionale e la misura di sicurezza, ciascuna con funzione distinta.
In particolare, la misura di sicurezza e’ chiamata ad arginare la pericolosita’ sociale dei soggetti che si trovino nelle condizioni precisamente tipizzate dall’ordinamento – ovvero siano, in via generale, ex articoli 202-203 cod. pen., raggiunti dal presupposto oggettivo, costituito dalla commissione di un reato o di un fatto dalla legge ad esso equiparato, e dal presupposto soggettivo, dato dall’accertamento della pericolosita’ sociale, da compiersi mediante il rigoroso scandaglio dei parametri di cui all’articolo 133 cod. pen. – al fine di garantire la difesa sociale rafforzando la prevenzione del pericolo di reiterazione del reato da parte degli appartenenti a quelle categorie, risultati socialmente pericolosi in modo attuale.
Di conseguenza, la misura di sicurezza, a differenza della pena (che ha finalita’ anche retributive e generai-preventive), si connota per la sua precipua funzione special-preventiva, volta ad evitare il riacutizzarsi delle spinte a delinquere del soggetto socialmente pericoloso, nel quadro della sua rieducazione risocializzante e, nei congrui casi, della sua cura.
La necessita’ del riscontro del presupposto oggettivo esclude l’eventualita’ di impieghi arbitrari della misura di sicurezza, esigendo il previo accertamento della condotta offensiva compiuta dall’agente, essendo da escludere che essa (efficacemente qualificata come misura di prevenzione post delictum) costituisca l’esito di atti della giurisdizione assunti in senso meramente terapeutico e risocializzante, ossia senza il previo accertamento della commissione di un reato o di un fatto ad esso normativamente equiparato.
E’ invece pregiudiziale l’accertamento di tale presupposto ed, una volta che l’accertamento abbia avuto esito positivo, deve essere svolta l’indagine relativa agli indici stabiliti dall’articolo 133 cod. pen. in relazione a cui, verificato quali e quanti fra essi assumano valore sintomatico, il giudice provvede a formulare, rispetto a quel soggetto, la prognosi del profilo di difesa preventiva in relazione al futuro, applicando – in ipotesi di riscontro della pericolosita’ sociale e, piu’ specificamente, del titolo di pericolosita’ appurato – la misura di sicurezza tipizzata, in corrispondenza del quadro emerso, alla stregua della disciplina vigente, come evolutasi, anche in virtu’ dei mutamenti introdotti dalla L. n. 663 del 1986, con le garanzie procedimentali apprestate dal codice di rito vigente (articoli 679 e 680 cod. proc. pen.).
La netta distinzione fra pene e misure di sicurezza, la copertura costituzionale del sistema delle misure di sicurezza e le sopra richiamate garanzie procedimentali non autorizzano ad individuare concreti sospetti di violazione dell’articolo 25 Cost. da parte della disciplina vigente, vieppiu’ dopo che elise le ipotesi di presunzione legale di pericolosita’ sociale sotto il profilo sostanziale – il Giudice delle leggi (sent. n. 135 del 2014) ha irrobustito la struttura della trattazione processuale inerente ad esse dichiarando costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l’articolo 111 Cost., comma 1, e articolo 117 Cost., comma 1, l’articolo 666 c.p.p., comma 3, articolo 678 c.p.p., comma 1, e articolo 679 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica.
Rileva segnalare che, a suffragio delle richiamate conclusioni caducatorie, la Corte costituzionale ha evidenziato che il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza, che ha ad oggetto l’accertamento della concreta pericolosita’ sociale della persona da sottoporre alla misura, non da’ luogo ad un contenzioso a carattere meramente “tecnico”, rispetto al quale il controllo del pubblico sull’esercizio dell’attivita’ giurisdizionale – richiesto dall’articolo 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cosi’ come interpretato dalla Corte di Strasburgo – possa ritenersi non necessario alla stregua della peculiare natura delle questioni trattate, essendo invece da ritenersi che nel procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza il thema decidendum e’ di interesse notevolmente elevato, – in quanto la verifica della pericolosita’ sociale rileva ai fini della sottoposizione dell’interessato a misure di sicurezza personali che attingono anche (in primo luogo con riferimento a quelle detentive) un tasso di afflittivita’ ragguagliabile a quella delle pene detentive.
Dal che’ e’ scaturita la conseguenza logica della necessita’ che le persone coinvolte nel procedimento possano chiedere lo svolgimento in forma pubblica dello stesso, avendo il giudice, in esso, l’obiettivo di esprimere un giudizio di merito suscettibile di incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale sul bene primario della liberta’ personale, costituzionalmente tutelata; fermo, pero’, il presupposto essenziale della qualita’ e funzione diverse della misura di sicurezza rispetto alla pena, senza possibilita’ di prefigurare in diritto, con l’applicazione della prima, una indebita duplicazione della sanzione inflitta con la seconda.

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