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In effetti, il legislatore – dopo avere configurato la responsabilita’ verso i soci esterni e i creditori della controllata in capo al soggetto che abbia abusato dei suoi poteri di direzione e coordinamento, violando le regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della societa’ controllata – ha delimitato o escluso la responsabilita’ della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste piu’: perche’ e’ mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attivita’ di direzione e coordinamento (comma 1, ultima parte, prima ipotesi); e’ integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a cio’ dirette (comma 1, ultima parte, seconda ipotesi); o e’ azzerato dalla stessa societa’ controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (comma 3), secondo un meccanismo meramente “fattuale”.
In presenza di un vantaggioso (o almeno neutrale) risultato complessivo dell’attivita’ di direzione e coordinamento per la societa’ dominata, dell’eliminazione specifica del danno mediante operazioni a cio’ dirette o da parte della stessa controllata – tutte evenienze che in giudizio la holding sara’ onerata di allegare e provare, in caso di esito positivo con sopravvenuta carenza d’interesse all’azione proposta – la responsabilita’ della controllante viene meno, semplicemente perche’ un pregiudizio non esiste piu’, quale elemento costitutivo, sul piano oggettivo, della fattispecie risarcitoria.
Non giova, in contrario, osservare come, ove si acceda a tale interpretazione, ne deriverebbe la superfluita’ del terzo comma dell’articolo 2497 c.c.: perche’ esso puo’ ragionevolmente ritenersi volto semplicemente ad impedire l’azione risarcitoria verso la capogruppo, pur quando non direttamente questa, ma la sua controllata abbia azzerato il danno (altro e’ poi il meccanismo interno tra le due societa’, che verosimilmente contemplera’ il rimborso o la preventiva messa a disposizione del dovuto da parte della holding).
Se si vuole, il maggiore distacco dai principi generali opera con riguardo, piuttosto, alla fattispecie dei vantaggi compensativi, ove l’effetto positivo proveniente da un’operazione anche diversa o successiva rispetto al singolo atto dannoso e’ idonea ad escludere il risarcimento (in contrasto con la regola secondo cui la compensatio lucri cum damno opera solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno); mentre con quei principi sono del tutto coerenti le altre due fattispecie.
Se un terzo paga il debito risarcitorio altrui, questo viene meno, secondo il meccanismo dell’articolo 1180 c.c., che il legislatore ha in definitiva previsto nell’articolo 2497 c.c., comma 3, per quanto attiene alla soddisfazione del socio esterno, qui rilevante: con disposizione che contempla, peraltro, profili di specialita’, sia quanto al terzo adempiente, non estraneo all’organizzazione sociale del debitore a titolo risarcitorio, ma societa’ da questo dominata, sia con riguardo alla (implicita) esclusione del possibile rifiuto del creditore nel ricevere la prestazione (vuoi che abbia interesse a che il debitore la esegua personalmente, vuoi per l’opposizione palesata dal debitore). Nell’ambito del gruppo, ed in coerenza con la natura causale astratta della fattispecie ora menzionata, l’adempimento da parte della societa’ controllata di un debito che e’ esclusivamente altrui – quello risarcitorio a carico della capogruppo – assumera’ una connotazione particolare con riguardo alla cd. causa concreta.
“Soddisfatti”, dunque, a seconda del rispettivo diritto soggettivo: in quanto il socio sia stato risarcito dalla controllata per il pregiudizio subito al valore e alla redditivita’ della partecipazione sociale; o in quanto, dal suo canto, il creditore sia stato pagato dalla controllata, con estinzione allora sia del debito originario patrimoniale gravante sulla medesima, sia del debito risarcitorio gravante sulla controllante con riguardo alla lesione cagionata all’integrita’ del patrimonio della controllata; in entrambi i casi, l’espressione ricomprende ogni modalita’ che permetta al socio o al creditore il conseguimento dell’utilita’ loro spettante.
La prospettiva assunta riconosce in capo al socio esterno o al creditore interessi meramente patrimoniali, connessi nel primo caso alla qualita’ di soggetto interessato essenzialmente alle sorti del proprio investimento finanziario e nel secondo di controparte contrattuale in se’ disinteressata alle vicende societarie interne.
In definitiva, reputa il Collegio che la norma in esame non preveda una condizione di procedibilita’ dell’azione del socio contro la societa’ che esercita l’attivita’ di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione della societa’ controllata – il cd. beneficium escussionis – e neppure un cd. beneficium ordinis, in assenza di rapporto obbligatorio solidale nel debito risarcitorio. Se non sussiste un beneficio d’escussione, in via di cognizione o di esecuzione, ne’ un onere di formale messa in mora stragiudiziale della controllata, il socio poi neppure e’ titolare della pretesa di essere da questa risarcito per fatto altrui, vale a dire della controllante (pur godendo delle azioni ex articoli 2393-bis, 2395 e 2476 c.c. avverso gli amministratori della dominata; nonche’ eventualmente, ma e’ tema affatto estraneo a questa sede, delle azioni risarcitorie per c.d. responsabilita’ deliberativa, nella riforma sostitutive della tutela reale caducatoria, ai sensi dell’articolo 2377, comma 4, articolo 2378, comma 2, articolo 2379-ter, comma 3, ecc.), ossia non ha azione risarcitoria con quel petitum e causa petendi contro la societa’ eterodiretta, priva di legittimazione passiva, sia pure quale coobbligata, nell’azione risarcitoria per direzione abusiva ex articolo 2497 c.c..
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