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2.2. – Potrebbe, ad una sommaria lettura, sembrare che i soci esterni della societa’ eterodiretta siano addirittura gravati da un onere di preventiva escussione della medesima: essi, cioe’, sarebbero tenuti a convenire in giudizio la propria societa’ e solo se insoddisfatti potrebbero agire contro la societa’ capogruppo. La tesi si scinde poi tra chi ritiene il beneficio di escussione operi in sede di giudizio di cognizione e chi, invece, sulla scorta dei precedenti interpretativi formatisi sull’articolo 1304 c.c., lo pone solo in sede esecutiva.
Tale tesi, tuttavia, in entrambe le sue declinazioni, non convince, un’interpretazione condotta secondo la lettera e la ratio dell’articolo 12 preleggi inducendo a diversa conclusione.
Sotto il profilo letterale, la norma parla anzitutto di “agire” con riguardo unicamente alla capogruppo, non alla societa’ dominata; mentre a tale azione e’ di ostacolo la circostanza concreta che il socio o il creditore siano stati “soddisfatti” nel loro pretese: espressione, pertanto, che evoca la tacitazione del debito, cosi’ che non si abbia piu’ nulla a pretendere (cfr. articoli 2312 e 2324 c.c., articolo 2332 c.c., comma 3, articolo 2495 c.c.).
Il legislatore aveva a disposizione il testo di numerose altre disposizioni, in cui il sintagma del “beneficio d’escussione”, certamente monosemico, viene utilizzato: si vedano ad esempio gli articoli 563, 1944, 2268, 2304 e 2868 c.c., articolo 63 disp. att. c.c., e cosi’ via.
Invece, il legislatore stesso ha prescelto una formulazione tutt’affatto diversa: non ha attribuito ai soci esterni ed ai creditori il diritto al risarcimento verso la societa’ partecipata ed ha disposto che il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllante, previsto dal comma 1, possa farsi valere solo allorche’ essi non siano stati “soddisfatti” dalla societa’ controllata.
Altro e’ predicare un beneficio d’escussione, in sede di cognizione o di esecuzione: il quale, come condivisibilmente osservato nel ricorso, finirebbe per contraddire la stessa ratio della tutela, posto che la societa’ eterodiretta dovrebbe addirittura essere convenuta in giudizio ed escussa prima che il socio esterno della medesima societa’ sia abilitato a chiedere il risarcimento del cd. danno riflesso alla controllante – vera novita’ della disciplina sui gruppi introdotta dalla riforma – con sicuri ritardi e rischi a loro carico degli imprevisti che possano colpire le societa’ controparti.
Inoltre, la (in tesi obbligata) proposizione dell’azione contro la societa’ eterodiretta, volta a riparare il danno subito – per quanto in questa sede rileva – dai soci esterni, incide anche, com’e’ noto, sul valore della loro stessa partecipazione sociale, nonche’ poi degli altri soci che non abbiano proposto analoga azione: che e’ proprio il pregiudizio contro cui l’articolo 2497, comma 1, mira ad offrire tutela.
La dottrina convincentemente segnala come sarebbe sistematicamente pericoloso postulare che la societa’ eterodiretta sia tenuta, essa stessa, a risarcire i suoi soci: non solo perche’ la societa’ dominata e’ proprio il soggetto danneggiato, ma anche in quanto i casi di attribuzione patrimoniale ai soci sono tipici ed eccezionali (si pensi altresi’ alla regola della postergazione) e per il rischio di posizioni collusive volte a svuotare il patrimonio della dominata.
Per quanto riguarda i creditori, ai fini di completezza del quadro, giova osservare come il pregiudizio che li riguarda, posto dall’articolo 2497 c.c., comma 1, sia quello all’interesse strumentale alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale della propria debitrice in quanto presupposto per favorire il buon esito del credito. Dal momento che per loro il danno consiste nel pregiudizio all’integrita’ del patrimonio sociale causato dalla capogruppo, perche’ esso sussista sara’ per definizione necessario che abbiano richiesto l’adempimento ed il patrimonio della controllata si sia palesato insufficiente (cfr. articolo 2394 c.c.): in tal senso, quest’ultima situazione e’ addirittura il presupposto del sorgere della responsabilita’ della capogruppo, non una mera condizione di procedibilita’. Onde il creditore, secondo le regole generali, dovra’ essere pagato dalla societa’ sua debitrice, in mancanza potendo far valere il pregiudizio patito a causa della cattiva direzione della capogruppo contro quest’ultima. Ma non sembra far riferimento a cio’ l’articolo 2497 c.c., comma 3: norma che contempla una diversa situazione fattuale per il creditore, analoga a quella prevista per il socio, successiva al sorgere del credito risarcitorio (laddove il creditore, per la regola posta dal citato presupposto, avra’ cioe’ gia’ potuto constatare la lesione all’integrita’ del patrimonio sociale e l’inadempimento della societa’ sua diretta debitrice), consistente allora nel pagamento, pur tardivo, del dovuto da parte della societa’ controllata, oppure anche in misure ripristinatorie dell’integrita’ del patrimonio della stessa societa’ debitrice, cosi’ nuovamente idoneo a costituire per lui la garanzia patrimoniale generica ex articolo 2740 c.c., mediante ogni forma all’uopo prevista dal diritto societario (copertura delle perdite, aumento del capitale, versamenti a fondo perduto appostati a riserva, ecc.), con conseguente eliminazione del pregiudizio cui tende la tutela predisposta dal primo comma della norma in commento.
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