Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 29 ottobre 2014, n. 23004
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12619/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (C/O STUDIO (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) S.R.L.);
– intimata –
e sul ricorso 15133/2008 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) S.R.L.) p.i. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato ZIINO SALVATORE, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (C/O STUDIO (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in calce al ricorso;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1654/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 12/02/2008 R.G.N. 1102/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS); udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale con l’inammissibilita’ del terzo motivo.
La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto che, ove manchi una disposizione nell’atto costitutivo della societa’ e l’assemblea ometta di provvedere ovvero determini il compenso in misura inadeguata, l’amministratore e’ legittimato a richiederne la determinazione giudiziale.
Ha tuttavia considerato che nella determinazione del compenso dovuto all’amministratore, come al mandatario, il giudice non puo’ prescindere, quale elemento direttivo, da un criterio di proporzione con l’entita’ delle prestazioni eseguite per poi procedere ad una determinazione improntata ad equita’. Ne ha fatto discendere l’onere, gravante sull’amministratore, di allegare, prima, e provare, poi, l’attivita’ svolta.
Nella fattispecie concreta la Corte del merito ha rilevato che la (OMISSIS) si era limitata a rivendicare il medesimo compenso deliberato dall’assemblea dei soci per gli anni 1996 e 1997; non ha negato che la misura di esso potesse costituire un valido parametro di riferimento per la determinazione giudiziale, ma ha escluso l’automatica attribuzione di tale compenso in presenza di uno statuto societario che prevedeva la determinazione annuale dello stesso.
Ha concluso nel senso che la parte attrice avrebbe dovuto allegare e provare l’attivita’ di organizzazione e di gestione dell’azienda svolta per la societa’, non essendo sufficiente il generico richiamo alla documentazione in atti, che peraltro non attestava alcunche’.
La Corte di Appello di Palermo ha altresi’ respinto l’appello incidentale della societa’ con cui era stata riproposta l’eccezione di estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo; in tale giudizio la (OMISSIS) aveva resistito alla condanna alla restituzione tra quanto la stessa si era autoliquidato come compenso per l’anno 1998 e quanto invece stabilito con una successiva delibera assembleare del 20 novembre 1999.
2.- Il ricorso della (OMISSIS) ha domandato la cassazione della sentenza per tre motivi. La (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) s.r.l.) ha resistito con controricorso, contestualmente proponendo ricorso incidentale condizionato sorretto da tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
2.- Con il primo mezzo di impugnazione, l’istante denuncia l’omessa motivazione in relazione alle allegazioni, deduzioni e istanze istruttorie formulate con gli atti introduttivi dei giudizi, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ il vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in combinato disposto con gli articoli 414 e 416 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, concludendo il motivo con un quesito di diritto ed un quesito motivazionale a mente dell’articolo 366 bis c.p.c., pro tempore vigente.
Censura la decisione impugnata laddove avrebbe ritenuto il mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova da parte della ricorrente.
Adduce che, nel ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, avrebbe dedotto di aver lavorato con funzioni operative a tempo pieno per la societa’ e che il suo impegno nel curare gli interessi della societa’ e’ stato assorbente ed esclusivo ; aggiunge che aveva domandato al giudice di prime cure di disporre l’esibizione della documentazione attestante la regolare presenza alle frequenti riunioni del consiglio di amministrazione nonche’ l’ammissione della prova testimoniale sulla circostanza che il CdA aveva tenuto nel 1998 sedute pressocche’ giornaliere e che la (OMISSIS) era presente presso la sede della societa’ quasi tutti i giorni e per tutto il giorno, prestando continuativamente la propria attivita’ a favore dell’azienda.
Sostiene che, a fronte di tali allegazioni e richieste istruttorie, la controparte si sarebbe limitata a generiche contestazioni che rendevano i fatti stessi incontroversi e non bisognevoli di prova.
Il motivo, cosi’ come formulato, presenta molteplici profili di inammissibilita’.
Innanzi tutto, essendo stata la sentenza impugnata emessa il 12 febbraio 2008, il ricorso per cassazione e’ assoggettato all’articolo 366 bis c.p.c., nel testo pro tempore vigente, il quale prescriveva che nei casi previsti dall’articolo 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’articolo 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione .
Nella specie vi e’ un unico motivo, in cui si denunciano promiscuamente violazioni di legge sostanziale e processuale nonche’ vizi di motivazione, concluso da un quesito di diritto e da un quesito motivazionale , lasciando alla Corte l’inammissibile compito di discernere quale parte dell’illustrazione del motivo sia riferibile all’uno piuttosto che all’altro.
Inoltre il quesito motivazionale , evidentemente riferibile al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non enuclea – come dovrebbe – il fatto sostanziale decisivo e controverso, riferendosi piuttosto a vicende processuali.
Il quesito di diritto, poi, non e’ articolato nella riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; nella sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; nella diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare al caso di specie, cosi’ come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. n. 12248 del 2013).
Infine il motivo e’ inammissibile anche per difetto di autosufficienza, avuto riguardo al principio di non contestazione invocato dalla (OMISSIS), per verificare l’operativita’ del quale sarebbe stato necessario riportare i contenuti degli atti processuali rilevanti, in particolare la memoria di costituzione depositata in primo grado dalla societa’ – senza limitarsi a brevi stralci – onde accertare se i fatti allegati da parte attrice fossero stati o meno, ed eventualmente entro quali limiti, contestati da parte convenuta.
3.- Con il secondo mezzo di gravame, concluso da un quesito di diritto, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in combinato disposto con gli articoli 113 e 116 c.p.c., per non aver considerato la Corte territoriale che costituisce assolvimento dell’onere gravante sull’amministratore di societa’ che chiede la determinazione giudiziale del compenso secondo equita’ l’indicazione del compenso corrisposto dalla stessa societa’ amministrata per lo svolgimento di identiche funzioni predeterminate nello Statuto, sia negli esercizi precedenti che nei successivi a quello di causa.
Con un terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2487 e 2389 c.c., e articolo 2392 c.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il relativo quesito di diritto si chiede alla Corte di legittimita’ se costituisca violazione delle norme citate l’affermazione dei giudici di appello secondo cui la quantificazione del compenso spettante all’amministratore di societa’ di capitali vada rapportata alle prestazioni eseguite e all’attivita’ in concreto svolta, ovvero se il principio di diritto applicabile nella specie consista piuttosto nel ritenere che il compenso riconosciuto all’amministratore valga a remunerare essenzialmente l’esercizio di poteri gestori predeterminati, a prescindere dalla qualita’ e quantita’ delle prestazioni svolte dall’amministratore nel corso dell’esercizio sociale.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione e risultano infondati.
Per la giurisprudenza di legittimita’ il diritto al compenso degli amministratori delle societa’ di capitali e’ implicitamente riconosciuto negli articoli 2365 e 2389, nei quali si prevede la sua determinazione dall’atto costitutivo o dall’assemblea, nonche’ dall’articolo 2392 che, in ordine all’adempimento dei loro doveri, richiama le norme del mandato, negozio che si presume oneroso (articolo 1709), sicche’, ove manchi una disposizione nell’atto costitutivo e l’assemblea si rifiuti od ometta di stabilire il compenso all’amministratore o lo determini in misura inadeguata, l’amministratore e’ abilitato a richiedere al giudice la determinazione del suo congruo compenso (Cass. n. 2895 del 1991; conforme: Cass. n. 1647 del 1997).
Tale facolta’ viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve (Cass. n. 8897 del 2014; Cass. n. 12592 del 2010; Cass. n. 1554 del 1981; Cass. n. 6209 del 1979).
Ove non vi si stata accettazione e’ stato statuito che l‘azione giudiziaria a tutela del diritto al compenso spettante all’amministratore di una societa’ puo’ essere esercitata dall’interessato anche per richiedere l’adeguamento del suddetto compenso, qualora lo ritenga insufficiente o non piu’ proporzionato all’intensita’ del proprio impegno ed all’importanza qualitativa e quantitativa dell’attivita’ svolta nell’interesse della societa’ (Cass. n. 12681 del 2003).
E’ pertanto conforme a diritto l’enunciato della Corte territoriale secondo cui la richiesta dell’amministratore di societa’ tendente all’adeguamento del compenso postula che egli alleghi e provi l’attivita’ concretamente svolta.
Inoltre il richiamo al mandato ed all’articolo 1709 c.c., consente di utilizzare tale disposizione e la giurisprudenza che si e’ formata nel caso in cui il compenso del mandatario debba essere determinato dal giudice.
In particolare, ai fini della liquidazione in via equitativa del compenso dovuto ad un professionista ex articoli 1709 e 2225, il giudice di merito deve far riferimento ai criteri della natura, quantita’, qualita’ dell’attivita’ svolta, nonche’ al risultato utile conseguito dal committente; ne consegue che, se non puo’ far uso dei sopraindicati criteri perche’ l’attore non ha fornito sufficienti elementi in proposito, dovra’ necessariamente rigettare la domanda, in quanto la richiesta di liquidazione equitativa non esonera l’interessato dall’obbligo di fornire al giudice gli elementi probatori indispensabili affinche’ possa procedervi (Cass. n. 12681 del 2003).
Ribadito poi che, nella determinazione del compenso dovuto al mandatario, ai sensi dell’articolo 1709 c.c., il giudice deve ispirarsi ad un criterio di proporzione con l’entita’ delle prestazioni eseguite dal mandatario e con il risultato utile conseguito dal mandante, si e’ pure evidenziato che la determinazione concreta del compenso non puo’, per sua natura, che essere dominata dal criterio di giudizio di tipo equitativo, e cioe’ avente carattere ampiamente discrezionale, sicche’ il margine riservato al sindacato di legittimita’ e’ notevolmente ristretto, potendo tale sindacato essere ammesso solo in quanto il giudizio stesso non sia sorretto da una adeguata giustificazione del processo logico all’uopo seguito (v. Cass. n. 352 del 1970; Cass. n. 795 del 1967).
Conclusivamente e’ esente da censure la pronuncia del giudice di merito che, in un giudizio di liquidazione del compenso azionato da un amministratore di societa’ di capitali, ha ritenuto non si possa prescindere dalla allegazione e dalla prova della qualita’ e quantita’ delle prestazioni concretamente svolte, risultando di per se’ sola insufficiente l’indicazione del compenso pattuito in esercizi sociali di anni diversi.
4.- Stante il rigetto dell’impugnazione principale, il ricorso incidentale, affidato a tre motivi, in quanto espressamente qualificato come condizionato , deve essere dichiarato assorbito.
5.- Alla stregua delle esposte argomentazioni il ricorso principale va respinto, con assorbimento di quello incidentale.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
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