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Invero, secondo l’insegnamento di questa S.C. (v. Cass. n. 2734/16; Cass. n. 2705/82; Cass. n. 2743/75), si puo’ parlare di retroattivita’ normativa quando una disposizione di legge introduca, per fatti e rapporti gia’ assoggettati all’imperio di una legge precedente, una nuova disciplina degli effetti esauritisi (facta praeterita) sotto la legge anteriore (con l’eccezione data dal limite della cosa giudicata), oppure una nuova disciplina di tutti gli effetti d’un rapporto posto in essere prima dell’entrata in vigore della nuova norma, senza distinzione tra effetti verificatisi anteriormente o posteriormente alla nuova disposizione.
Non sussiste, invece, retroattivita’ ove la nuova norma disciplini gli atti di un procedimento, anche se riguardanti eventi ed effetti sostanziali gia’ compiuti e si tratti della sua applicazione agli atti da compiere, oppure quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normativa), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l’esercizio di poteri e facolta’ non consumati sotto la precedente disciplina.
E’ quel che accade nei rapporti di durata, come quello di lavoro.
In sintesi, il cit. articolo 8, comma 3, prevede il meccanismo affinche’ i contratti aziendali, anche anteriormente stipulati, possano acquisire – per il futuro – efficacia erga omnes, ma non la nega per i fatti gia’ verificatisi prima della sua emanazione e regolati da quegli stessi contratti aziendali.
3.2. Anche il terzo motivo va disatteso: lungi dall’omettere immotivatamente di esaminare il carattere peggiorativo o meno dell’accordo collettivo 15.5.09 rispetto al c.c.n.l. e la qualita’ dell’associazione ricorrente di soggetto stipulante detto c.c.n.l., la sentenza impugnata l’ha preso in considerazione e l’ha ritenuto irrilevante, sempre sul presupposto del difetto del diritto dell’associazione sindacale di agire in giudizio in relazione alla validita’, efficacia e interpretazione d’un accordo collettivo alla cui stipulazione sia rimasta estranea (conformemente a Cass. n. 10353/04).
In breve, la dichiarata irrilevanza del fatto presuppone di per se’ il suo esame quale indefettibile antecedente logico.
Ne’ si puo’ confondere – ai fini della deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dedotto nel terzo mezzo del ricorso principale – l’omesso esame d’un fatto (decisivo) con il suo consapevole e volontario mancato accertamento storico: il primo in tanto sussiste in quanto il giudice abbia dimenticato o immotivatamente tralasciato di prenderlo in considerazione; il secondo si verifica quando il giudice ritenga di poter decidere la lite prescindendo da esso, motivando il proprio convincimento (come avvenuto nel caso di specie) in base ad una preliminare argomentazione in punto di diritto che evidenzi l’inutilita’ dell’accertamento.
3.3. Il quarto motivo e’ da rigettarsi in virtu’ di osservazioni analoghe a quelle svolte nel paragrafo che precede sub 3.1.: anche riguardo a tale ultimo mezzo valga il rilievo che la Corte di merito ha sostanzialmente ritenuto l’irrilevanza delle denunciate intimidazioni e ritorsioni aziendali verso i lavoratori rifiutatisi di svolgere servizi ad “agente solo”.
Cio’ i giudici d’appello hanno asserito sempre sul presupposto della carenza, in capo all’organizzazione ricorrente, del diritto di agire in relazione agli effetti d’un accordo aziendale (in termini, appunto, di esigibilita’ delle condotte in esso pattuite – anche nei confronti dei lavoratori dissenzienti) cui l’organizzazione medesima era rimasta estranea.
4.1. Ne’ gioverebbe a Or.S.A. (OMISSIS) – cio’ sia detto per mera completezza espositiva – voler intendere i mezzi articolati nel suo ricorso come sostanziali denunce di errores in iudicando (per violazione dell’articolo 28 legge n. 300 del 1970) anziche’ di errores in procedendo o vizi di motivazione.
Infatti, una volta ritenuta l’efficacia soggettiva dell’accordo collettivo aziendale (quello sul c.d. “agente solo”) anche nei confronti degli iscritti ad un’associazione non stipulante o comunque dissenzienti, e’ legittimo che il datore di lavoro ne pretenda l’applicazione, anche sotto comminatoria di sanzioni disciplinari (cosa diversa, ovviamente, sarebbe l’adozione di minacce di mali ingiusti od altre iniziative illecite).
Invero, da lungo tempo questa Corte ha statuito che agli accordi collettivi aziendali si debba riconoscere (anche e soprattutto in ragione dei rinvii che plurime disposizioni legislative operano alla contrattazione aziendale) efficacia vincolante analoga a quella del contratto collettivo nazionale, trattandosi pur sempre non gia’ d’una sommatoria di piu’ contratti individuali, ma di atti di autonomia sindacale riguardanti una pluralita’ di lavoratori collettivamente considerati (cfr., ex aliis, Cass. n. 6695/88; Cass. n. 2808/84; Cass. n. 423/84; Cass. n. 718/83; Cass. n. 300/81; Cass. n. 357/71).
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