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Infatti, secondo la Corte capitolina, posto che il rapporto di lavoro subordinato comporta a carico del dipendente l’obbligo di porre a disposizione di parte datoriale le sue energie lavorative, di modo che la prestazione si esaurisce in un facere e non gia’ nel raggiungimento di un certo risultato (locatio operis – locatio operarum), per legittimare il licenziamento per scarso rendimento occorre che parte datoriale provi rigorosamente il comportamento negligente del lavoratore, in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo, e che l’inadeguatezza della prestazione resa non sia imputabile all’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore e a fattori socio-ambientali.
Parimenti, ad avviso della Corte distrettuale, risultavano infondate le doglianze della societa’ appellante riguardo al riconosciuto danno biologico, lamentato dal (OMISSIS) (cfr. meglio quanto sul punto dedotto con il ricorso introduttivo del giudizio, riportato pressoche’ integralmente nel controricorso), di modo che andavano condivise pure le risultanze della espletata c.t.u. medico-legale, in relazione al nesso di causalita’ tra il licenziamento ed i postumi acclarati.
Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), come da atto notificato mediante raccomandate a.r. spedite lunedi’ (OMISSIS), affidato a due motivi ed in seguito illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c., cui ha resistito il (OMISSIS) con controricorso in data 26-27 ottobre 2015.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Entrambi i motivi di ricorso sono stati formulati denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 132 c.p.p., n. 4, nonche’ articolo 2697 c.c. e ss., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sia in relazione al licenziamento per scarso rendimento, sia in ordine al contestato danno biologico, per cui non vi sarebbe il nesso di causalita’, riconosciuto invece dai giudici di merito.
A parte carenze di allegazioni, con conseguente vizio di autosufficienza, in relazione a quanto in materia previsto, in particolare, dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, nonche’ dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in effetti la ricorrente contesta il merito delle valutazioni operate dai giudici di primo e di secondo grado, di guisa che le relative doglianze sono inammissibili in questa sede di legittimita’, laddove peraltro nella specie e’ anche preclusa ogni censura per omesso esame di fatti decisivi, nei sensi di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il testo qui ratione temporis applicabile ex Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, in forza del regime transitorio dettato espressamente del cit. D.L., articolo 54, comma 3.
Infatti, la decisione di primo grado, emessa il 24-09-2013, e’ stata poi confermata mediante il rigetto dell’appello di cui al ricorso in data 24-03-2013, di modo che tale doppia conforme preclude ogni doglianza ex cit. articolo 360 c.p.c., n. 5, operando nella specie l’ultimo comma di cui all’articolo 348-ter del medesimo codice di rito, anch’esso ratione temporis nella specie applicabile in base all’articolo 54, commi 1 e 2, lettera a), del citato Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012. Peraltro, la ricorrente al fine di evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, avrebbe pure dovuto, specificamente, indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse erano tra loro diverse, cio’ che invece non risulta avvenuto da parte della societa’ (cfr. Cass. 1 civ. n. 26774 del 22/12/2016 in tema di “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348-ter, comma 5, citato, nonche’ Cass. 2 civ. n. 5528 del 10/03/2014).
Per contro, la societa’ istante tende in effetti a rivalutare, ma irritualmente in questa sede di legittimita’, le medesime circostanze di fatto, che pero’ con ampia e minuziosa argomentazione sono state gia’ insindacabilmente accertate ed apprezzate, quanto alla loro rilevanza probatoria, in senso negativo dai competenti giudici di merito. D’altro canto, come e’ noto, anche il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, pero’ attualmente contenuto nei limiti del c.d. “minimo costituzionale”, alla stregua del vigente articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), comunque neanche in precedenza equivaleva alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che aveva condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe stata altro che un giudizio di fatto e si sarebbe risolta in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’; ne consegue che risultava del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. civ. Sez. 6 – 5, n. 5024 del 28/03/2012. V. altresi’ in senso conforme Cass. n. 91 del 07/01/2014, secondo cui inoltre il giudice di legittimita’ non puo’ neanche porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. In senso analogo v. altresi’ Cass. n. 15489 del 2007 e n. 5024 del 2012).
E’ certo, invece, che nella specie la Corte di merito con ampie argomentazioni ha esaminato analiticamente e specificamente i vari motivi di appello, dedotti dall’attuale ricorrente, giudicandoli infondati alla luce di quanto gia’ parimenti valutato dal Tribunale in primo grado.
Basti appena ricordare quanto, correttamente, osservato dalla Corte distrettuale riguardo al mancato assolvimento dell’onere probatorio dall’onerata parte datoriale in ordine ai fatti, sotto il profilo sostanziale e di gravita’, addebitati al (OMISSIS), di cui ai contestati provvedimenti disciplinari. Per contro, non risultava dimostrato, richiamata altresi’ la pertinente giurisprudenza di riferimento, che il mancato raggiungimento dell’auspicato risultato produttivo fosse derivato da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale attivita’ e che sussistesse un’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati per il dipendente e quanto effettivamente realizzato nel periodi di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultati globali riferito ad una media di attivita’ tra i vari dipendenti. In conclusione, la Corte territoriale richiamava quindi anche precedenti di questa Corte, secondo cui al fine di poter considerare legittimo il licenziamento comminato per scarso rendimento parte datoriale e’ tenuta a provare rigorosamente il comportamento negligente del prestatore, in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo, e che l’inadeguatezza del risultato non sia ascrivibile all’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore ed a fattori socio-ambientali.
Nel caso di specie i giudici dell’appello rilevavano, ad ogni modo, il fatto che l’implementazione ed il particolare impulso richiesto al (OMISSIS) nel settore flotte aziendali costituiva certamente una novita’ in azienda, per come riferito concordemente da tutti i testi. Cio’ non significava che non vi fossero state in passato vendite di vetture anche a clienti appartenenti al gruppo “flotte aziendali”, ma il fatto che stesso che il (OMISSIS) avesse evidenziato la mancanza di statistiche di vendite, cosi’ come di procedure di contatto e strategie di vendita (esclusi gli sconti e i contributi, gestiti peraltro dalla casa madre) per quel particolare settore – senza smentite da parte aziendale, che non aveva prodotto significativi e rilevanti documenti al riguardo-dimostrava la totale novita’ della “strategia commerciale di attacco” all’epoca decisa dalla societa’.

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