Per andare esente da responsabilità, il datore di lavoro “in colpa” non può invocare la “legittima aspettativa” riposta nella doverosa diligenza del lavoratore, giacchè questa non rileva allorchè chi la invoca versi in re illecita, per non avere, per negligenza, impedito l’evento lesivo, che è conseguito dall’avere l’infortunato operato sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA 20 settembre 2016, n.39058
Ritenuto in fatto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia confermava quella di primo grado con la quale F.O., nella qualità di datore di lavoro dell’impresa Ditta Fortuna s.r.l. affidataria dei lavori all’interno di un cantiere edile, è stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore autonomo J. H. B. L., che durante i lavori di muratura e posa di una trave di legno all’interno di un edificio privo di copertura, utilizzando dei parapetti a mensola metallica precedentemente installati, precipitava per circa 6 metri, riportando gravo lesioni ( fatto risalente al 15 gennaio 2009).
Al F., nella qualità sopra indicata, è stato addebitato la violazione dell’art. 97, comma 1, d.lgs 81/2008 per non avere, in qualità di datore di lavoro dell’impresa affidataria, vigilato sull’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del Piano di sicurezza e coordinamento: nello specifico gli è stato addebitato di essere intervenuto autonomamente nella organizzazione del cantiere- senza prendere contatti con il coordinatore- realizzando una struttura, ovverossia il cd. ‘parapetto’, non prevista dal PSC e dal POS, montata senza il rispetto dei canoni di sicurezza, inidonea a sostenere il peso del lavoratore, omettendo di vigilare affinchè i lavoratori non vi facessero improprio ricorso.
In tale situazione si verificava che la parte offesa, per effettuare la rasatura del tetto, utilizzava il predetto parapetto, che cedeva, determinandone la caduta da un’altezza di 6 metri.
Propone ricorso il F. articolando quattro motivi con ampi riferimenti a quelli proposti in appello.
Con il primo motivo lamenta I’ omessa motivazione con riferimento ai motivi proposti in appello che contestavano la responsabilità del F. evidenziando che l’iniziativa di utilizzare la ‘passarella’ posta sulla parete esterna del muro era stata assunta in via autonoma dall’artigiano.
Con il secondo motivo si duole del travisamento delle prove testimoniali e la manifesta illogicità della motivazione sia con riferimento al momento in cui era stata montata la predetta ‘passarella’ – che doveva fungere da parassassi- sia sulla circostanza dirimente che l’imputato aveva ribadito che i lavori dovevano essere eseguiti dall’interno, senza utilizzare quel presidio.
Con il terzo motivo si duole dell’erronea applicazione dell’art. 97, comma 1, legge 81/2008, risultando dagli atti processuali essere stati attuati tutti i presidi previsti dal PSC e dal POS, venendo così a mancare, a causa della condotta colposa del lavoratore, il nesso causale tra la condotta contestata e l’evento.
Con il quarto motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione al trattamento sanzionatorio.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Va anzitutto premesso che il ricorrente non contesta la ricostruzione della dinamica dell’infortunio, a seguito dei quale il lavoratore autonomo, riportava le lesioni indicate in atti, e, pertanto, deve ritenersi acclarato che E.K. B. L., privo di cinture di sicurezza, durante i lavori di muratura e posa in opera di una trave in legno, precipitava per circa 6 metri da un parapetto a mensola metallica, inidoneo a sostenere le sollecitazioni dovute al passaggio sullo stesso da parte del lavoratore.
Il ricorrente non contesta neanche di essere intervenuto autonomamente nell’organizzazione dei cantiere realizzando la struttura in questione non prevista dal PSC e dal POS, senza prendere contatti con il coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, assolto in primo grado.
L’assunto difensivo poggia, invece, sulla circostanza che l’iniziativa di eseguire i lavori utilizzando la ‘passarella’ sulla parte esterna del muro, pur essendo presente un regolare ponteggio dal lato interno del muro, sia stata assunta imprevedibilmente dal lavoratore, disattendendo le direttive impartite dall’imputato.
Si tratta di censure infondate a fronte di sentenza corretta e satisfattivamente motivata.
Non corrisponde al vero, infatti, che la Corte di merito si sia sottratta al compito di fornire risposta ai dettagliati motivi di impugnazione, tutti rivolti in sostanza ad avvalorare la tesi della condotta abnorme dei lavoratore.
Il giudice di appello, in conformità a quello di primo grado, e coerentemente al capo d’imputazione, ha fondato la responsabilità del F. sulla violazione dell’art. 97 d.lgs 81/2008, richiamando la posizione di garanzia ricoperta dallo stesso, nella qualità di datore di lavoro dell’impresa affidataria dei lavori e la violazione dell’obbligo gravante sullo stesso di garantire il coordinamento quotidiano degli interventi e la vigilanza sull’utilizzo di strutture adeguate, anche con riferimento agli artt. 94 e 95 stesso decreto espressamente richiamati. Sotto tale ultimo profilo è stato sottolineato il ruolo direttivo dallo stesso di fatto assunto anche nei confronti dei lavoratori autonomi cui aveva subappaltato parte delle lavorazioni.
Tale impostazione è condivisibile ed in linea con il dettato normativo.
L’art. 97 d.lgs 81/2008 prevede un ruolo chiave del datore di lavoro della impresa affidataria nella verifica delle condizioni di sicurezza per lo svolgimento delle attività e di controllo ed intervento sui piani operativi di sicurezza, imponendogli un dovere di vigilanza non solo rispetto ai propri dipendenti ma anche rispetto ai lavoratori autonomi operanti all’interno del cantiere.
Nel caso in esame è stato accertato che fu proprio il F. a creare la situazione di pericolo, che è all’origine dell’infortunio, realizzando una struttura non prevista dal PSC e dal POS ( il cd. parapetto a mensola), senza assumere contatti con il coordinatore, inidonea a sorreggere il peso del lavoratore. Parimenti è stato accertato che l’imputato non controllò che i lavoratori non si avvalessero di quella struttura per l’esecuzione delle opere loro affidate.
In questa prospettiva la tesi difensiva che valorizza la condotta colposa del lavoratore, sostenendo l’abnormità della iniziativa assunta dallo stesso di utilizzare il parapetto per l’esecuzione dell’opera di rasatura del tetto, in violazione delle direttive impartite dall’imputato, tralascia di considerare la portata effettiva del dovere di vigilanza sull’osservanza dei doveri incombenti sul lavoratore ed il legittimo affidamento che egli può fare sull’osservanza delle misure antinfortunistiche da parte del lavoratore.
Sul punto va precisato che il dovere di vigilanza del datore di lavoro, si intreccia con il legittimo affidamento che egli può fare sull’osservanza delle misure antinfortunistiche da parte del lavoratore solo nella ipotesi in cui lo stesso non è incorso in alcuna violazione degli obblighi posti a suo carico.
Il principio di affidamento non è perciò invocabile allorchè l’altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull’inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorchè l’altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse.
Per l’effetto, per andare esente da responsabilità, il datore di lavoro ‘in colpa’ non potrebbe invocare la ‘legittima aspettativa’ riposta nella doverosa diligenza del lavoratore, giacchè questa non rileva allorchè chi la invoca versi in re illecita, per non avere, per negligenza, impedito l’evento lesivo, che è conseguito dall’avere l’infortunato operato sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (in termini, Sezione IV, 19 aprile 2005, Spinosa ed altro, rv.231736).
I principi sopra indicati sono stati correttamente applicati dai giudici di merito, i quali hanno concordemente affermato che la condotta posta in essere dal F.- realizzando una struttura non prevista dal PSC e dal POS e omettendo la dovuta vigilanza affichè i lavoratori non vi facessero ricorso- costituisce violazione del dovere primario di vigilanza in relazione alle condizioni di sicurezza dei cantiere a lui attribuito dalla legge sia per la sua qualità di datore di lavoro dell’impresa affidataria ( art. 97 d.lgs 81/2008) sia per il ruolo direttivo dallo stesso di fatto assunto anche nei confronti dei lavoratori autonomi cui aveva subappaltato parte delle lavorazioni.
Parimenti infondata è la censura sul trattamento sanzionatorio, essendo stata motivatamente esclusa, con riferimento ai precedenti penali, la concessione delle attenuanti generiche e l’entità della pena, alla luce del grave grado di colpa e della generale incuria nella gestione del cantiere.
Per le ragioni che precedono il ricorso va rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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