Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 12 settembre 2016, n. 37815

La circostanza aggravante dei futili motivi sussiste soltanto se la determinazione alla commissione del crimine è stata generata da uno stimolo talmente lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, tanto da apparire alla luce del sentire comune, più che una causa, un mero pretesto

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I PENALE

SENTENZA 12 settembre 2016, n.37815

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 04/03/15 la Corte di assise di appello di Roma, confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Latina del 04/02/14, che aveva affermato la pena responsabilità di K.R. in ordine al duplice omicidio di D.G.F. e di sua figlia I.M. , aggravato dalla minorata difesa, dai futili motivi e dalla connessione teleologica, e lo aveva condannato, tenuto conto della diminuente per il rito, alla pena dell’ergastolo.
1.1 Questi i fatti come ricostruiti dai Giudici di merito. Alle ore 21.00 del 6 aprile 2013 i carabinieri di Cisterna di Latina rinvenivano i corpi senza vita di D.G.F. e di sua figlia I.M. presso la loro abitazione in località (omissis) , allertati dai loro familiari che non riuscivano da alcune ore a contattarle. Si accertava che la D.G. era coniugata con il cittadino indiano K.R. , che era rintracciato presso la sua casa di (…) e che, dopo aver cercato in un primo tempo di depistare le indagini, riferendo di avere subito una rapina per giustificare i graffi al volto, di averlo raccontato ai connazionali con lui conviventi, come dai medesimi confermato, e aggiungendo particolari relativi a conversazioni telefoniche dal medesimo tenute con terze persone, messo alle strette dai carabinieri che non gli credevano anche alla luce dei tabulati nelle more acquisiti, che lo smentivano, confessava il duplice omicidio. L’uomo riferiva della sua relazione sentimentale con la D.G. dal 2004, del matrimonio con la stessa in India nel 2008, della lite nel 2010 con la donna che in quell’occasione lo aveva cacciato di casa, delle continue ed asfissianti richieste di denaro, aumentate proprio nei giorni precedenti l’omicidio, con minacce di denuncia e di perdita di lavoro nei confronti del suddetto, che peraltro aveva costituito un’ altra famiglia in India e riteneva di non dovere più nulla alla ex moglie. Richieste, che erano all’origine dell’appuntamento fissato alle ore 6.30 del 6 aprile presso la casa della donna e culminato con il duplice omicidio. Riguardo al quale l’uomo riferiva: – che, dopo aver consumato un caffè con la D.G. , all’ennesima richiesta di denaro di quest’ultima accompagnata da grida minacciose nei suoi confronti, in preda ad un accesso di collera, dopo aver afferrato un coltello che era sul tavolo, aveva preso la donna per le spalle, l’aveva fatta cadere a terra e l’aveva sgozzata; – che entrato, poi, nella stanza della ragazza, che si era svegliata e doveva aver sentito qualcosa, e trovatala seduta sul letto, le aveva stretto con il braccio sinistro la gola impugnando con la destra l’arma, facendola cadere ai piedi del letto, venendo da lei graffiato in un estremo tentativo di difesa, e conficcandole il coltello in gola tre o quattro volte; – che, infine, dopo essersi lavato, si era dato alla fuga, sbarazzandosi del coltello. Quanto a quest’ultima circostanza, l’uomo conduceva gli inquirenti, a coronamento della sua confessione, presso un canalone di acque reflue ove gli stessi rinvenivano l’arma del delitto. A conferma delle dichiarazioni dell’imputato, le persone vicine al K. e alla D.G. riferivano dei rapporti prima buoni e poi conflittuali fra gli stessi. Indubbio riscontro alla dinamica omicidiaria, come descritta dall’imputato, è offerto dal rinvenimento del cadavere della D.G. a terra in cucina e della figlia in camera da letto, con le gambe infilate sotto al letto, e dalle risultanze della consulenza medico-legale, che confermavano a) che la D.G. era stata uccisa da una coltellata al collo inferta da un soggetto che si era trovato alle sue spalle, b) che la I. era stata colpita più volte al collo da persona che si era trovata davanti alla vittima nonché alla regione claveare destra e alla regione pettorale destra, c) che sotto le unghie di quest’ultima erano stati rinvenuti residui organici attribuibili all’imputato, d) che il coltello rinvenuto risultava essere l’arma del delitto.
1.2 La Corte a qua, dopo la disamina del fatto, della configurazione delle aggravanti operata dal Giudice di prime cure – incontestata la responsabilità del K. alla luce della sua confessione – e del trattamento sanzionatorio, si confronta con le deduzioni difensive di cui all’atto di appello in favore dell’imputato.
In primis con le eccezioni relative all’inammissibilità delle costituzioni delle parti civili. Rilevando: – quanto alla mancata specificazione, di cui si duole l’appellante, delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria, che per la giurisprudenza di legittimità non è necessaria un’esposizione analitica della causa petendi, essendo sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria risulti con immediatezza, non valendo a minare la sussistenza dell’affectiofamiliaris il fatto che le parti civili non risultassero conviventi o avessero allentato nel corso del tempo i legami con le vittime dei reati per cui si procede; – quanto all’omessa sottoscrizione del difensore dell’atto di costituzione delle parti civili I.T. , I.G. e C.R. , che l’unanime giurisprudenza di legittimità considera l’atto di costituzione non sottoscritto dal difensore valido e ammissibile a condizione che la firma del difensore sia apposta in calce alla procura speciale, come nel caso di specie; – quanto al difetto di valida e specifica procura speciale conferita da I. , che per tabulas la procura appare perfetta in ogni suo adempimento.
In secondo luogo, si confronta con la richiesta di esclusione dell’aggravante dei futili motivi e di riconoscimento dell’attenuante della provocazione. Sul punto, invero, la difesa osserva che il matrimonio tra il K. e la D.G. era solo “di facciata” per la regolarizzazione della permanenza in Italia del primo, molto più giovane della seconda e da lei “adescato”, che pertanto nulla era dovuto alla D.G. e che le sue richieste di denaro erano continue, aggressive e ricattatorie, subite a lungo dal K. fino alla sua ribellione; elementi tutti, che escluderebbero, secondo la difesa, per il contesto di indigenza, emarginazione e precarietà nei rapporti esistenziali ed economici, in cui ebbe a maturare il delitto, la configurazione dei futili motivi, e consentirebbero di ravvisare l’attenuante della provocazione. La Corte a qua non solo rileva come tutte le osservazioni difensive non possano essere estese all’omicidio di I.M. , estranea ai rapporti tra la madre ed il K. , ma, altresì, come dalle stesse dichiarazioni dell’imputato la relazione sentimentale tra i due risulti durata sei anni, come, inoltre, il matrimonio non fosse di facciata in quanto registrato in Italia e dotato di piena validità, come il K. fosse l’unico extracomunitario ad avere sposato la donna (che aveva precedentemente sposato (‘I. ) e come le richieste economiche della D.G. , anche se pressanti, continue e mal sopportate dal K. che aveva altri vincoli in India, essendo riconducibili all’obbligazione alimentare a carico di quest’ultimo nei confronti della moglie, di sicuro non fossero immotivate né infondate. E senza dubbio non erano tali da giustificare una reazione così estrema ed agghiacciante, col coinvolgimento anche della giovane figlia della ex moglie. Neppure avuto riguardo, secondo la Corte territoriale, al diverso contesto etnico, quello indiano, considerato che ai fini dell’integrazione del fatto ingiusto altrui, costitutivo dell’attenuante della provocazione, l’ingiustizia deve essere obiettiva quale contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale.
Con riferimento all’invocata esclusione dell’aggravante della minorata difesa i Giudici a quibus osservano come detta aggravante, di natura oggettiva, ricorra anche nel caso di insorgenza occasionale della situazione che ostacola la difesa indipendentemente dalla volontà dell’agente, come nel caso di specie, in cui la D.G. volgeva le spalle all’ex marito ed era aggredita con un’azione così fulminea che la donna mai avrebbe potuto immaginare, mentre l‘I. fu sorpresa nel suo letto, appena sveglia e quindi incapace di rendersi conto di cosa stesse accadendo, con un’azione altrettanto fulminea da impedirle istinti difensivi che la donna solo abbozzò; non avendo alcuna delle due donne la benché minima chance di chiedere aiuto e tanto meno di fuggire proprio in quanto repentinamente ed inaspettatamente colpite dall’uomo.
Quanto, poi, all’invocata esclusione dell’aggravante del nesso teleologico, osserva la Corte territoriale come sul piano strettamente fattuale sia lo stesso K. a relazionare l’omicidio dell’I. con quello della D.G. laddove riferisce che, impaurito che la prima avesse sentito qualcosa, decise di sopprimerla e come, quindi, la rapidità di detta decisione, lungi dal consentire di considerare il successivo omicidio come estensione di quello della madre, fosse solo funzionale al conseguimento dell’impunità e come pertanto non sussistano dubbi sulla configurabilità dell’aggravante.
Infine, sull’invocata concessione delle attenuanti generiche, la Corte a qua osserva come nel motivare il diniego di dette attenuanti non sia necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili d’ufficio, ma solo quelli decisivi e come senza dubbio nel caso di specie sia sufficiente, oltre che condivisibile, la valorizzazione operata dal Giudice di prime cure della gravità del fatto costituito dalla soppressione di due donne inermi, sorprese nell’intimità domestica, impossibilitate a chiedere aiuto e fuggire. Anche considerato, secondo la pronuncia impugnata, che la confessione del prevenuto risulta depotenziata dal tentativo di depistaggio che l’ha preceduta e che peraltro mina la tesi difensiva dell’ignoranza delle leggi penali. L’ergastolo, secondo la Corte a qua, pur rappresentando l’enfatizzazione dell’aspetto retributivo della pena, si appalesa essere nel caso di specie, a fronte del duplice omicidio di due donne indifese, unica sanzione adeguata.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, K.R. .
2.1 Con il primo motivo di impugnazione viene denunciata violazione degli artt. 74, 76, 78 e 100 cod. proc. pen., contestando l’adesione della Corte di assise di appello all’impostazione giurisprudenziale meno rigorosa sulla costituzione di parte civile, sottolineando, invece, come debbano essere ben specificate le ragioni che giustificano la domanda risarcitoria riferite dagli Avv.ti Aprea e D’Antrassi ad “ingenti danni” e dall’Avv. Salvadori al mero “vincolo parentale”. Quando detto elemento non è sufficiente, essendo necessario un rapporto di affectiofamiliaris che nel caso di specie mancherebbe, considerato che le vittime erano state lasciate sole dai rispettivi parenti e non potevano contare sull’aiuto neppure economico di alcuno. Le costituzioni delle parti civili I.T. , I.G. e C.R. sarebbero nulle perché non sottoscritte dalla difesa che avrebbe firmato per autentica la sola procura speciale, atteso che le parti stanno in giudizio tramite l’intervento del difensore. Ed infine la costituzione di Bruno I. difetterebbe di valida e specifica procura speciale, non essendo in essa specificato l’oggetto per cui era conferita ed i fatti ai quali si riferisce. Omissioni di cui non si sarebbe avveduta la Corte di appello.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in relazione alla configurazione dei futili motivi, ex art. 61 n. 1 cod. pen., e all’esclusione dell’attenuante della provocazione. Si ripercorrono le stesse argomentazioni sopra riportate con cui si è confrontata la Corte di assise di appello, sottolineando come il fatto che nessuno fosse a conoscenza del matrimonio, anche le persone vicine alla D.G. , tranne la figlia M.C.A. , alla quale la madre avrebbe detto che non era valido in Italia, smentisca la tesi del matrimonio effettivo, come inoltre le somme fossero pretese, secondo il modus operandi della D.G. che era solita sfruttare gli uomini come da sommarie informazioni del Pagnanello, non per il mantenimento ma con la minaccia di un male ingiusto costituito dalla dipartita dall’Italia e dalla perdita del lavoro, e come pertanto nell’ottica di un “risentimento montante” dell’uomo nei confronti della donna e del contesto economico e sociale in cui maturava il delitto possano escludersi i futili motivi e possa riconoscersi l’attenuante della provocazione, per la quale sarebbe sufficiente da un lato che la condotta provocatoria violi norme di carattere sociale e civile e dall’altro che la reazione sia posta in essere anche nei confronti di persona legata da un rapporto giuridicamente apprezzabile al provocatore (come la parentela).
2.3 Con il terzo motivo di impugnazione ci si duole della violazione dell’art. 61 n. 5 cod. pen., che prevede la aggravante della minorata difesa. Si contestano le conclusioni sul punto della Corte di assise di appello, rilevando che il K. si recava a casa della D.G. nelle prime ore della giornata in quanto invitato proprio dalla suddetta a presentarsi a detto orario, che le donne erano colpite quando erano già sveglie e che non erano di età avanzata ovvero minori, né con limitazioni delle capacità fisiche e mentali; elementi tutti che avrebbero dovuto indurre i Giudici del merito ad escludere la contestata aggravante.
2.4 Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 61 n. 2 cod. pen., ripercorrendo le argomentazioni già sviluppate in appello relative al secondo omicidio come estensione del primo, in un impeto d’ira e senza soluzione di continuità, ed evidenziando l’impossibilità per il K. di rappresentarsi l’impunità per il primo omicidio attraverso la commissione del secondo.
2.5 Con il quinto motivo del ricorso si denuncia la violazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. La Corte a qua utilizzerebbe, secondo la difesa, i medesimi criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. sia in sede di commisurazione della pena che in sede di diniego delle attenuanti generiche, con conseguente violazione del precetto del ne bis in idem sostanziale. Inoltre, non sarebbero stati considerati tutti gli elementi positivi a favore del K. , che avrebbero militato per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche anche a fronte di fatti-reato gravi.
Alla luce di tutti i motivi sopra indicati si insiste sull’annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato solo quanto al secondo motivo di impugnazione ed in riferimento alla sola configurazione dei futili motivi, ex art. 61 n.1 cod. pen..
Infondate, invero, sono le prime due doglianze difensive di cui al primo motivo di impugnazione, relative rispettivamente alla genericità delle formule riportate negli atti di costituzione delle parti civili con riferimento alle ragioni giustificative della domanda risarcitoria e alla mancata sottoscrizione da parte del difensore delle costituzioni delle parti civili I.T. , I.G. e C.R. , in relazione alle quali già la Corte di appello risulta avere ampiamente argomentato come sopra riportato nel fatto – anche con specifici richiami alla più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, da cui questa Corte non intende discostarsi.
Invero, in tema di costituzione di parte civile, l’indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è funzionale esclusivamente all’individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un’esposizione analitica della “causa petendi”, sicché per soddisfare i requisiti di cui all’art. 78, lett. d), cod. proc. pen., è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza (Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014 – dep. 23/07/2014, Coccia, Rv. 260325: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto validamente esposte le “ragioni che giustificano la domanda” con richiamo alla posizione di persone offese delle costituende parti civili e alla sussistenza di una pretesa risarcitoria conseguente alle condotte illecite specificate nei temi d’accusa).
E sembra assolutamente pretestuoso parlare di assenza di affectiofamiliaris, come evidenziato dalla Corte a qua, per il fatto che le parti civili non fossero conviventi o che avessero nel corso del tempo allentato i legami, oltre che non conforme all’interpretazione di questa Corte.
È legittima la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato (nella specie figlio della moglie di quest’ultimo), al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di “affectiofamiliaris” può comportare l’incisione dell’interesse all’integrità morale, ricollegabile all’art. 2 Cost., sub specie di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art. 2059 cod. civ., mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali (Sez. 4, n. 20231 del 03/04/2012 – dep. 25/05/2012, Piazze, Rv. 252683: in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ammesso la costituzione di parte civile del figlio non convivente della moglie della vittima di un incidente stradale).
Sulla mancata sottoscrizione delle costituzioni delle suddette parti civili da parte del difensore, si osserva che è ammissibile la costituzione di parte civile, ancorché la sottoscrizione del difensore sia apposta esclusivamente in calce alla procura speciale rilasciata dalla persona offesa – come nel caso di specie – e non alla dichiarazione di costituzione sottoscritta dal solo interessato, considerato che essa è sufficiente ad integrare il requisito della sottoscrizione del difensore in calce all’atto di costituzione, previsto dall’art. 78, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 43481 del 28/03/2014 – dep. 17/10/2014, Buccilli, Rv. 261079).
Inammissibile è, invece, l’ultimo rilievo difensivo di cui al primo motivo di impugnazione. Invero, la Corte di assise di appello di Roma ha motivato sulla procura speciale relativa alla costituzione di Bruno I. , definendola perfetta in ogni suo adempimento, come emergente per tabulas. Con dette argomentazioni il difensore dell’imputato non si confronta e non spiega per quale motivo non debba ritenersi specifico l’oggetto della procura speciale, dando, così, vita ad un rilievo generico ed aspecifico.
Infondato è il secondo motivo di impugnazione quanto alla lamentata violazione della norma relativa all’attenuante della provocazione.
Invero, non solo le considerazioni difensive sopra riportate non possono estendersi all’omicidio di I.M. , estranea ai rapporti tra la madre ed il K. , ma a ogni modo le richieste economiche nei confronti dell’imputato da parte della vittima per quanto pressanti non possono in alcun modo ritenersi tali da integrare il fatto ingiusto altrui giustificativo dell’attenuante, come correttamente osservato dalla Corte a qua, considerata in particolare l’assoluta sproporzione tra le stesse e la azione omicidiaria che ne sarebbe conseguita, col coinvolgimento anche della giovane figlia dell’ex moglie.
La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, n. 604 del 14/11/2013 – dep. 09/01/2014, D’Ambrogi, Rv. 258678: fattispecie in cui la Corte ha escluso che una irregolare e imprudente manovra di guida della persona offesa potesse giustificare l’applicazione della invocata attenuante, alla condotta dell’imputato, che aveva reagito mostrando un coltello e posizionando la propria autovettura in modo da impedire alla vittima di proseguire nella marcia).
E ciò, come evidenziato dalla Corte territoriale, neppure avuto riguardo alla personalità del K. , che, avendo altri vincoli in India, riteneva di nulla dovere alla ex moglie, e al contesto etnico indiano. Considerato che ai fini della integrazione del fatto ingiusto altrui, costitutivo dell’attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (Sez. 5, n. 49569 del 18/06/2014 – dep. 27/11/2014, Mouflih, Rv. 261816: fattispecie in cui si è esclusa la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen., nei confronti dell’imputata di origine marocchina – condannata per l’omicidio di un uomo con cui aveva avuto una relazione sentimentale e che, dopo lunghi tergiversamenti, aveva rifiutato di sposarla, nonostante gli intercorsi rapporti sessuali, sposando, invece, un’altra donna (ritenendo che tale atteggiamento, pur percepito come deleterio dalla cultura di appartenenza per il “vulnus” arrecato alla propria onorabilità con conseguente preclusione di un futuro matrimonio, non integrasse gli estremi del fatto ingiusto per l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen)).
Inammissibili sono il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, in quanto invitano, sotto lo schermo della violazione di legge, ad una non consentita – in questa sede – rivisitazione degli elementi fattuali, che hanno indotto sia il Giudice di prime che il Collegio di secondo grado a ritenere le aggravanti della minorata difesa e del nesso teleologico, e sono, altresì, aspecifici, ripercorrendo le stesse argomentazioni svolte nell’atto di appello e non confrontandosi con le argomentazioni della Corte a qua.
Secondo consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133; in ultimo Sez. 2, n.5522 del 22 ottobre 2013, Rv.258264, di cui si ripercorrono i passaggi), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta).
Infine, infondato è il quinto motivo del ricorso. Non è assolutamente centrato il rilievo difensivo secondo cui la Corte a qua avrebbe fatto riferimento ai medesimi criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. sia in sede di diniego delle circostanze generiche invocate in appello che in sede di commisurazione della pena, atteso che nel caso di specie la pena era vincolata, trattandosi di due omicidi sanzionati con ergastolo (per cui la pena complessiva era di ergastolo con isolamento diurno, ridotto per il rito ad ergastolo). Quanto, poi, alla lamentata mancata considerazione di tutti gli elementi positivi a favore del K. ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, va osservato che la Corte a qua, in sintonia col Giudice di prime cure, valorizza la gravità del fatto, che già sarebbe sufficiente ad escludere le invocata attenuanti, e sottolinea, inoltre, l’iniziale tentativo di depistaggio delle indagini commesso dal K. .
Invero, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Passando, infine, alla valutazione dell’unica doglianza difensiva fondata cui sopra si è accennato, ossia della violazione di legge in relazione alla configurazione nella specie dei futili motivi, va osservato che detta aggravante per quanto riguarda l’omicidio della D.G. non può essere configurata.
La circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014 – dep. 02/10/2014, Barnaba, Rv. 260360: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante in relazione ad una rissa insorta per questioni di tifo calcistico in quanto la passione per una attività sportiva non può mai giustificare possibili manifestazioni di violenza).
E l’indubbia situazione di conflittualità sussistente nel caso di specie, come rappresentata non solo dall’imputato ma anche dalle persone vicine al K. e alla D.G. – si veda sopra nel fatto – se non vale a configurare l’attenuante della provocazione, senza dubbio non consente di ritenere sussistente la futilità del motivo con riferimento al primo omicidio commesso, come intesa dalla giurisprudenza di questa Corte. Quanto, poi, all’omicidio dell’I. detta aggravante è incompatibile nel caso specifico con quella del nesso teleologico (si veda, per la necessità della verifica in concreto della compatibilità tra le aggravanti previste dall’art. 61 ai numeri 1 e 2 cod. pen., Sez. 1, n. 7482 del 16/06/1982 – dep. 28/07/1982, Casula, Rv. 154823), risultando l’omicidio in oggetto commesso, come ammesso dallo stesso imputato, al fine di conseguire l’impunità per l’altro omicidio, e quindi senza dubbio non determinato da un futile motivo.
Ne consegue che sul punto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, a norma dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen., non conseguendo all’esclusione dell’aggravante dei futili motivi la rideterminazione della pena, che rimane quella dell’ergastolo, considerata l’altra aggravante della connessione teleologica.
Nel resto il ricorso, per quanto sopra esaminato, va rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dei motivi che esclude. Rigetta nel resto il ricorso

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