Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 12 settembre 2014, n. 19282
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14770/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (ST. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SCARL (OMISSIS), in persona del presidente del consiglio di amministrazione, comm. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 117/2007 del TRIBUNALE DI LATINA SEDE DISTACCATA DI TERRACINA, depositata il 25/05/2007 R.G.N. 822/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto.
2.- Avverso la sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso straordinario affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
La (OMISSIS) soc. coop. si e’ difesa con controricorso; ha altresi’ proposto ricorso incidentale condizionato con un motivo; ha depositato memoria.
Il ricorso e’, infatti, soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’articolo 366 bis cod. proc. civ. (inserito dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 6, ed abrogato dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 47, comma 1, lettera d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (25 maggio 2007).
Col motivo in esame si denuncia “radicale carenza di motivazione su questioni di fatto e conseguente nullita’ della sentenza per difetto di un requisito di forma indispensabile prescritto dall’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”.
Il motivo e’ svolto con la riproposizione, sotto le lettere da A) a G) , dalla pagina 5 alla pagina 16, dei sette motivi di opposizione all’esecuzione gia’ proposti dinanzi al primo giudice, illustrati uno per uno mediante l’indicazione della rubrica e l’esposizione degli argomenti di fatto e di diritto a ciascuno riferibili, col richiamo al contenuto dell’atto di citazione in primo grado.
Ne’ nel corpo dell’illustrazione, ne’ all’inizio od in calce a ciascuno dei detti sottomotivi, risulta formulato il corrispondente quesito di diritto ai sensi del menzionato articolo 366 bis cod. proc. civ.; invece, alle pagine 16 – 17, vi e’ un’affermazione conclusiva dell’esposizione dell’intera censura, formulata nei seguenti termini: “Pertanto, e’ evidente che la sentenza impugnata e’ affetta da nullita’ a causa della radicale carenza di motivazione su questioni di fatto, la quale si traduce nel difetto di un requisito di forma indispensabile prescritto dal combinato disposto dell’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 2”.
1.1.- Il Collegio reputa che, anche a voler ritenere che il ricorrente abbia in tal modo inteso formulare il quesito di diritto, in riferimento al vizio di violazione di legge dedotto ai sensi dell’articolo 360 cod. proc. civ., n. 4, non abbia comunque rispettato il disposto dell’articolo 366 bis cod. proc. civ., cosi’ come interpretato da giurisprudenza univoca di questa Corte.
In particolare, il quesito sopra riportato prescinde da qualsivoglia riferimento, in concreto, alle “questioni di fatto” sulle quali, nella sentenza impugnata, vi sarebbe stata la “radicale carenza di motivazione”, tradottasi nel difetto del requisito di forma previsto a pena di nullita’ della sentenza.
Parte ricorrente replica all’eccezione di inammissibilita’ sollevata dalla resistente, osservando, nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ., che “tutti i motivi d’impugnazione contenuti nel ricorso, conformemente alla disposizione contenuta nell’articolo 366 bis c.p.c., abrogato a datare dal 04.07.2009, consentono l’individuazione delle regole di diritto che codesto Ecc.mo Supremo Collegio dovra’ enunciare”. La questione e’ evidentemente mal posta. La norma ivi richiamata impone che, non per il tramite del motivo (o sottomotivo), ma tramite la sola lettura del quesito di diritto debba essere consentito alla Corte di individuare l’errore di diritto nel quale, a giudizio del ricorrente, sarebbe incorso il giudice a quo, ovvero che si enunci nel quesito di diritto una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere, del quale il quesito (e non il motivo) deve esprimere una valida sintesi logico-giuridica (cfr., per la funzione riservata ai quesiti di diritto, tra le altre Cass. S.U. n. 26020/08 e n. 28536/08).
L’affermazione posta dal ricorrente a conclusione dell’illustrazione dei sette sottomotivi di cui si compone il primo motivo si limita a parafrasare le norme ivi richiamate onde enunciare la regola della necessita’ della motivazione della sentenza, a pena di nullita’, evidentemente desumibile dalla lettera degli articoli di legge, senza tuttavia specificare come questa regola risulti essere stata violata dal Tribunale con la sentenza impugnata, e specificamente in riferimento a quali “questioni” (o, meglio, motivi di opposizione) sarebbe mancata la motivazione. In conclusione, il primo motivo di ricorso e’ inammissibile.
2.- Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 1414 cod. civ., L.F., articolo 67, articolo 1345 cod. civ., in relazione all’articolo 360 cod. proc. civ., n. 3, al fine di censurare l’affermazione della sentenza impugnata per la quale una delle possibili finalita’ di un’operazione di credito fondiario e’ quella dell’utilizzazione delle somme ottenute per estinguere un debito precedente verso la stessa banca concedente il finanziamento, senza che in tale ipotesi si possa ravvisare un uso distorto dello strumento del mutuo fondiario.
Il quesito di diritto formulato in calce al motivo chiede a questa Corte se sia conforme all’ordinamento questa affermazione.
Nell’illustrare il motivo, il ricorrente prospetta diverse ragioni di non conformita’ all’ordinamento, riferendosi, indifferentemente, alla simulazione relativa del mutuo fondiario con dissimulazione di garanzia ipotecaria per un debito preesistente scaduto, alla revocabilita’ del contratto perche’ finalizzato all’adempimento di debiti preesistenti con mezzi anomali, alla nullita’ del contratto per motivo illecito comune.
2.1.- Il motivo presenta un profilo di inammissibilita’ consistente nella prospettazione di diverse ipotesi di invalidita’ del contratto di finanziamento a lungo termine in oggetto, senza specificare quale di dette ipotesi ricorrerebbe nel caso di specie ovvero in quale ordine di priorita’ si porrebbero, secondo il ricorrente, le differenti fattispecie invalidanti; queste sono trattate unitariamente e con unitario riferimento alle norme che si assumono violate. Non risulta percio’ rispettato il principio di specificita’ dei motivi del ricorso per cassazione di cui all’articolo 366 cod. proc. civ., n. 6.
Peraltro, il Tribunale ha qualificato il contratto in contestazione come contratto di mutuo fondiario, ai sensi del Decreto Legislativo 24 settembre 1993, n. 385, articolo 38, con esclusione della natura di mutuo di scopo, ampiamente motivando in ragione delle singole clausole contrattuali, senza che risulti dedotto, da parte ricorrente, il vizio di motivazione. A questo accertamento in fatto, il primo giudice ha fatto seguire, in diritto, l’affermazione della liceita’ del mutuo fondiario ove la somma mutuata sia, in tutto o in parte, utilizzata dal mutuatario per sanare passivita’ pregresse, anche nei confronti dell’istituto di credito mutuante.
Il Tribunale si e’ cosi’ uniformato alla giurisprudenza di legittimita’, che esclude che il mutuo fondiario sia mutuo di scopo.
Gia’ nel vigore della norma di cui al Regio Decreto n. 646 del 1905, articolo 18, si e’ affermato che questa non postulasse affatto che, per la concessione e la validita’ di un contratto di mutuo fondiario, della somma erogata dall’istituto mutuante dovesse venir necessariamente pattuita la destinazione a scopo di miglioramento dei fondi sui quali era costituita l’ipoteca, con la conseguenza che, non essendo il contratto intercorso tra il proprietario del fondo e la banca legittimamente qualificabile in termini di “mutuo di scopo”, la mancata utilizzazione del finanziamento a scopo di miglioramento fondiario non autorizzava, di per se’, il giudice di merito, in assenza di ulteriori pattuizioni di tipo convenzionale idonee a modificare la natura del negozio, a dichiararne ipso facto la nullita’ ex articolo 1418 c.c. (cosi’ Cass. n. 317/01).
L’affermazione va qui ribadita con riferimento alla disciplina prevista dall’articolo 38 del T.U.B. di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, nel senso che, come gia’ affermato in altri precedenti, il mutuo fondiario non e’ mutuo di scopo, non risultando per la relativa validita’ previsto che la somma erogata dall’istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalita’ che il mutuatario sia tenuto a perseguire, ne’ l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilita’ di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria (Cass. n. 9511/07 e Cass. n. 4792/12).
Ed invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili (arg. ex articolo 38 cit.), lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che e’ data dall’immediata disponibilita’ di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate e’ parte inscindibile del regolamento di interessi e l’impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell’economia del contratto (cfr. Cass. n. 943/12).
Pertanto, e’ lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 38, per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (cfr. Cass. n. 28663/13).
In conclusione, non essendo contestata l’erogazione della somma mutuata in favore del soggetto del quale l’attuale ricorrente si era reso garante, il secondo motivo va rigettato.
3.- Col terzo motivo del ricorso principale e’ dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 644 cod. pen., comma 3 e articolo 1815 cod. civ., comma 2, al fine di censurare la sentenza impugnata per avere disatteso il motivo di opposizione concernente il carattere usurario dei tassi di interesse.
Vi si afferma che, pur essendo il tasso degli interessi contenuto entro i limiti del c.d. tasso soglia determinato ai sensi della Legge n. 108 del 1996, esso si sarebbe dovuto comunque ritenere usurario, ai sensi dell’articolo 644 cod. pen., comma 3, in quanto promesso da mutuatario che si trovava in condizioni di difficolta’ economica, note all’istituto di credito mutuante, in ragione del saldo passivo del rapporto di conto corrente intrattenuto presso la banca e dell’esposizione debitoria estinta con la stipulazione del finanziamento per cui e’ controversia. Pertanto, non sarebbe dovuto alcun importo a titolo di interessi, in applicazione dell’articolo 1815 cod. civ., comma 2, come modificato dalla Legge n. 108 del 1996.
3.1.- Il motivo non merita di essere accolto.
E’ incontestata l’inoperativita’, nel caso di specie, della presunzione della natura usuraria degli interessi di cui all’articolo 644 cod. pen., comma 3, prima parte ed al Decreto Legge 29 dicembre 2000, n. 394, articolo 1, convertito nella Legge 28 febbraio 2001, n. 24, poiche’ determinati in contratto in misura non superiore al c.d. tasso soglia individuato con apposito decreto del Ministro del Tesoro, emanato ai sensi della Legge n. 108 del 1996, articolo 1.
Pertanto, sarebbe stato onere del mutuatario, ovvero del suo garante, odierno ricorrente, che intende far valere la nullita’ della clausola contrattuale di previsione degli interessi, ai sensi dell’articolo 1815 cod. civ., comma 2, dimostrarne il carattere usurario ai sensi dell’articolo 644 cod. pen., comma 3, seconda parte.
Questa norma, cosi’ come modificata dalla Legge n. 108 del 1996, prevede che si considerano “usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalita’ del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilita’, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficolta’ economica o finanziaria”.
Perche’ risulti integrata la fattispecie penale sono percio’ necessari – e vanno dimostrati da chi sostiene il carattere usurario degli interessi – entrambi i requisiti: la sproporzione degli interessi convenuti e la condizione di difficolta’ economica o finanziaria del mutuatario.
Il primo requisito presuppone uno squilibrio tra le prestazioni contrattuali determinato dalla misura dei vantaggi unilateralmente conferiti ad una sola delle parti (cfr. Cass. n. 17882/11) tale da alterare significativamente il sinallagma contrattuale. Il parametro di riferimento di detta misura e’ dato, in considerazione delle “concrete modalita’ del fatto”, dal “tasso medio praticato per operazioni similari”; vale a dire dal tasso mediamente praticato dal sistema bancario e creditizio per il tipo di operazione. Pertanto, s’impone che questo valore medio risulti comunque superato e che il tasso pattuito, pur entro il limite del c.d. tasso soglia (cioe’ del tasso massimo consentito), determini, in relazione al contratto preso in considerazione, l’anzidetto squilibrio finanziario.
La condizione di difficolta’ economica di colui che ha promesso gli interessi non si desume dall’esistenza soltanto di debiti pregressi, ma presuppone che il mutuatario, pur senza versare in stato di bisogno (quindi senza necessariamente trovarsi in crisi economica irreversibile), non sia tuttavia in grado di ottenere altrove ed a condizioni migliori la prestazione di denaro a lui occorrente. In sintesi, la situazione economica in cui si trova deve essere tale da comportare una notevole limitazione della sua liberta’ di scelta (cfr. gia’ Cass. n. 19698/08, per una nozione non riduttiva dello “stato di bisogno” nel vigore del testo originario dell’articolo 644 cod. pen.), tanto da indurlo ad accettare la sproporzione contrattuale nei termini su esposti.
E’ da escludere che, qualora il soggetto versi in condizioni di difficolta’ economica, la sproporzione delle prestazioni debba ritenersi “in re ipsa”, non trovando tale assunto di parte ricorrente alcun riscontro nella previsione normativa in commento, essendosi al contrario affermato – e con riguardo al requisito dello stato di bisogno, il cui approfittamento, nel testo attuale della norma, configura un’aggravante – che lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura puo’ essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entita’ tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose (cosi’ da ultimo, Cass. pen. n. 12791 del 13 dicembre 2012).
3.2.- Il Tribunale ha rigettato il corrispondente motivo di opposizione affermando che l’opponente non avesse fornito prova alcuna “circa l’approfittamento da parte della Banca convenuta dello stato di bisogno e di un vantaggio usurario”.
Sebbene il richiamo fatto all’approfittamento dello stato di bisogno non sia corretto, poiche’ trattasi di requisito non piu’ richiesto per configurare il reato di usura ai sensi dell’articolo 644 cod. pen., nel testo riformato dalla Legge n. 108 del 1996, e’ tuttavia sufficiente a sostenere la decisione di rigetto il contestuale riscontro fattuale della mancanza della prova di vantaggi usurari.
L’apprezzamento in punto di fatto cosi’ effettuato dal giudice di merito non e’ adeguatamente censurato da parte del ricorrente.
Questi non deduce nemmeno di aver allegato e provato dinanzi al Tribunale la sussistenza del requisito della sproporzione degli interessi pattuiti, mediante qualsivoglia riferimento alla misura convenuta in raffronto a quella mediamente corrisposta all’epoca alle banche per operazioni di credito a lungo termine a condizioni simili. Piuttosto, si limita a riproporre in sede di legittimita’ l’argomentazione basata sulla sussistenza di una situazione di difficolta’ economica del mutuatario, che si sarebbe dovuta desumere dalla pregressa esposizione debitoria nei confronti dell’istituto di credito mutuante.
Cosi’ argomentata, la censura di violazione e falsa applicazione dell’articolo 1815 cod. civ., comma 2, laddove presuppone la sussistenza del reato di usura ai sensi dell’articolo 644 cod. pen., e’ priva di giuridico fondamento, dal momento che la situazione soggettiva del mutuatario, in se’ sola considerata, contrariamente a quanto pare affermato dalla giurisprudenza di merito riportata in ricorso, non e’ mai sufficiente ad integrare l’usura, in mancanza del requisito oggettivo della sproporzione tra gli interessi pattuiti e la prestazione di denaro a date condizioni.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza sul ricorso principale e si liquidano come da dispositivo.
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