Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 15 settembre 2014, n. 19396

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 2113 cod. civ. nonché degli artt. 1131, 1324 e 1325 cod. civ. deducendosi l’inapplicabilità degli accordi sindacali ai lavoratori che non vi abbiano aderito.
Con il secondo motivo si deduce omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento all’inefficacia di previsioni di accordi che deroghino a previsioni relative a diritti irrinunciabili quali quello alla retribuzione a cui va assimilata l’indennità di trasferta in questione.
Esigenze di un ordinato iter motivazionale portano a premettere qualche considerazione riguardante alcuni profili del rapporto intercorrente tra contratto collettivo nazionale di categoria e contratto integrativo aziendale.
È opinione seguita, oltre che in dottrina anche in giurisprudenza, che alle parti sociali è consentito, in virtù del principio generale dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 cod. civ., prorogare l’efficacia dei contratti collettivi, modificare, anche in senso peggiorativo, i pregressi inquadramenti e le pregresse retribuzioni – fermi restando i diritti quesiti dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva – nonché disporre in ordine alla prevalenza da attribuire, nella disciplina dei rapporti di lavoro, ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale, con possibile concorrenza delle due discipline. La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall’art. 2077 cod. civ., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell’ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito dell’azienda. I lavoratori ai quali si applicano i contratti collettivi aziendali possono, pertanto, giovarsi delle clausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno stipulato i relativi contratti collettivi (cfr. in tali sensi: Cass. 26 giugno 2004 n. 11939 cui adde ex plurimis: Cass. 7 giugno 2004 n 10762). E sempre con riguardo al concorso tra i diversi livelli contrattuali è stato anche precisato che detto concorso va risolto non secondo i principi della gerarchia e della specialità propria delle fonte legislative, bensì accertando quale sia l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in peius ai contratti nazionali, senza che osti il disposto dell’art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, che non possono pertanto ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa contrattuale, di eguale o di diverso livello (cfr. tra le tante: Cass. 2 aprile 2001 n. 4839, cui adde, Cass. 7 febbraio 2004 n. 2362 e Cass. 18 settembre 2007 n. 19351).
Orbene, nel caso in esame, la Corte territoriale ha anche motivato l’applicabilità al Q. della contrattazione aziendale, essendo egli iscritto ad una delle associazioni sindacali firmatarie dell’accordo in questione; tale circostanza rafforza, nel caso in concreto, il principio sopra ricordato, secondo cui il contratto collettivo aziendale estende la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito dell’azienda.
Con specifico riferimento al primo motivo di ricorso relativo alla derogabilità in pejus della contrattazione aziendale, si richiama il medesimo principio già affermato secondo cui anche i contratti aziendali possono derogare in peius i contratti nazionali con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori.
Il ricorso va conseguentemente rigettato.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 100,00 oltre Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

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