Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 marzo 2015, n. 9654

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere il giorno 30 ottobre 2013 nei confronti di M.P. e da questi appellata, ha dichiarato non doversi procedere per i reati ascritti ai capi D, E, perché l’azione penale non può essere proseguita per remissione di querela; ha confermato la condanna per le restanti ipotesi criminose e ha rideterminato la pena.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato, si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione:
con riguardo ai delitti di estorsione contestati al capo A, ritenendo non sussistenti i requisiti di fattispecie, in quanto le violenze e le minacce realizzate dall’imputato ai danni della di lui madre avrebbero dovuto essere qualificate ai sensi dell’art. 572 cod. pen., secondo la corretta valutazione del materiale probatorio acquisito in atti di cui si dà conto nel ricorso; con riguardo al delitto di estorsione contestato al capo B, denunciando che la corte d’appello avrebbe omesso di rispondere alla doglianza circa la mancata applicazione dell’art. 649 cod. pen. non essendo stata la condotta dell’imputato connotata da agire violento;
con riguardo al delitto di estorsione tentata contestato al capo C, affermando che non sarebbe stata raggiunta la prova sulla costrizione a una dazione di somme di denaro, non avendo nulla riferito al riguardo la persona offesa; con riguardo al delitto di porto in luogo pubblico e senza giustificato motivo di strumenti atti ad offendere, contestato al capo H, risultando del tutto omessa la motivazione nonostante le doglianze svolte in appello al proposito.

Considerato in diritto

Su tutti i delitti di estorsione contestati all’imputato, deve rammentarsi che il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano contestati come finalizzati ai maltrattamenti, in quanto costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’art. 572 c.P. (cfr. Cass. Sez. 6, sent. n. 33091/2003 Riv. 226443), ma non quello di lesioni (che non costituisce sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti cfr. Cass. Sez. 6, Sez. 6, Sent. n. 13898/2012 Rv. 252585; Sez. 6, sent. 28367/2004 Riv. 229591, Sez. 1, Sent. n. 7043/2005 Rv. 234047), di danneggiamento e di estorsione attesa la diversa obiettività giuridica dei reati. In particolare, la corte d’appello dà conto di come – secondo il ricco materiale probatorio acquisito in atti e menzionato a pagina 5 della sentenza – in tutte le occasioni descritte nei capi A, B, C dell’imputazione, le minacce e le violenze perpetrate dall’imputato ai danni della propria madre contestate nel presente processo erano sempre finalizzate all’ottenimento di somme di denaro: così integrandosi in pieno la fattispecie della condotta estorsiva. Ne discende la manifesta infondatezza del motivo sulla riqualificazione del fatto di cui al capo A nel senso dei maltrattamenti in famiglia e della mancata prova circa la richiesta di denaro con riguardo all’estorsione tentata descritta al capo C (rispetto al quale deve segnalarsi l’estrema genericità della doglianza sollevata nel ricorso, già per tale ragione di inammissibile valutazione in questa sede).
Inoltre, e come argomentato esattamente dalla corte di appello, proprio la natura violenta delle condotte estorsive esclude la rilevanza nel caso di specie dell’art. 649 cod. pen.
Invece, quanto al delitto dì cui al capo H, espressamente fatto oggetto di un diffuso motivo di appello, ricordato peraltro a pagina 3 della sentenza impugnata (in cui si legge che la difesa aveva chiesto assoluzione dell’imputato anche dal reato di cui al capo H perché il fatto non sussiste), la motivazione ne tratta esclusivamente a pagina 5, in cui si legge che “ritiene la corte che le condotte poste in essere dall’imputato non possono non inquadrarsi il reato di cui al capo H”. Tuttavia, non vi è alcuna motivazione di tale convincimento. Risulta pertanto è integrato il lamentato difetto di motivazione esposto nel ricorso.
Ne discende l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato descritto al capo H, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente la capo H, art. 4 I. n. 110 del 1975, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per nuovo giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.

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