Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 4 marzo 2015, n. 9432

Ritenuto in fatto

1. Il 5 settembre 2014 il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da C.Z., indagata in ordine al delitto di lesioni gravi aggravate (così riqualificata l’originaria contestazione di tentato omicidio) avverso l’ordinanza emessa il 25 luglio 2014 dal Tribunale di Latina che aveva respinto l’istanza di revoca o di sostituzione della misura degli arresti domiciliari.
2. I giudici giustificavano la loro decisione con il pericolo di reiterazione degli illeciti, desumibile dalla qualità del reato commesso e dalle relazioni di parentela che la legavano alla parte offesa (suo fratello).
3. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C.Z., la quale lamenta inosservanza del principio di proporzionalità e adeguatezza, tenuto conto anche della pena (due anni e sei mesi di reclusione) inflitta all’imputata

Osserva in diritto

Il ricorso non è fondato.
1.Il giudice, sia in fase di applicazione di una misura cautelare che in sede di riesame, ha il dovere di effettuare una valutazione globale e complessiva della vicenda cautelare alla stregua di una serie di parametri di apprezzamento, di natura tanto oggettiva che soggettiva, quali sono delineati dagli artt. 274 e 275 c.p.p. Ne consegue che sia l’applicazione che il mantenimento delle misure cautelari personali non può in nessun caso fondarsi esclusivamente su una prognosi di colpevolezza, né mirare a soddisfare le finalità tipiche della pena – pur nelle sue ben note connotazioni di polifunzionalità – né, infine, essere o risultare in itinere priva di un suo specifico e circoscritto scopo. Esiste, quindi, un nesso inscindibile tra la misura e la funzione cautelare che essa deve assolvere. Ciò comporta che la compressione della libertà personale abbia luogo secondo un paradigma di rigorosa gradualità, così da riservare alla più intensa limitazione della libertà, attuata mediante le misure di tipo custodiale il carattere residuale di extrema ratio.
Nel novero dei parametri legislativamente delineati si iscrivono anche i principi di proporzionalità e adeguatezza che sono destinati a spiegare i loro effetti tanto nella fase genetica della applicazione della misura, che nel suo aspetto funzionale della relativa protrazione. In forza del canone di adeguatezza il giudice deve porre in correlazione logica la specifica idoneità della misura a fronteggiare le esigenze cautelaci che si ravvisano nel caso concreto e il paradigma di gradualità. Alla stregua del criterio di proporzionalità ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. L’intero sistema così delineato, imperniato sui principi di flessibilità e individualizzazione delle misure, si fonda sulla tendenziale preclusione di qualsiasi forma di automatismo o presunzione. Esso esige, invece, che le condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricordati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzare una piana individualizzazione della coercizione cautelare» (cfr. Corte Cost., sentenza n. 265 del 2010). Ed è del tutto evidente che i postulati della flessibilità e della individualizzazione che caratterizzano l’intera dinamica delle misure restrittive della libertà, non possono che assumere connotazioni “bidirezionali”, nel senso di precludere tendenzialmente qualsiasi automatismo (Sez. Un. n. 16085 del 31 marzo 2011).
2.L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, in quanto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha valorizzato, ai fini del mancato accoglimento della richiesta, la violenza dell’aggressione in danno del fratello della Z., cui la donna ha fornito un consapevole e volontario contributo causale, il comportamento processuale della ricorrente, il movente non chiarito, i particolari legami intercorrenti tra parte offesa e imputata, idonei a favorire la reiterazione di gesti violenti in caso di attenuazione o revoca della misura cautelare personale adottata.
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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