Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 26 novembre 2014, n. 25145
Svolgimento del processo
Con citazione del 19/5/2005 C.G. , quale condomino, conveniva in giudizio il condominio di via (omissis), chiedendo dichiararsi la nullità della delibera 11/3/2005 dell’assemblea condominiale in quanto non convocato e perché la delibera di approvazione di preventivi di spesa non aveva avuto il voto dei condomini rappresentanti la metà del valore dell’edificio.
Il condominio chiedeva il rigetto della domanda.
In corso di giudizio interveniva B.S. .
Il Tribunale di Catania rigettava l’impugnazione; la sentenza era appellata dal C. e dall’intervenuta B. ; l’appello era rigettato con sentenza del 19/9/2007 della Corte di Appello di Catania. La Corte distrettuale osservava:
– che la B. (che aveva dichiarato di non avere sottoscritto per ricevuta l’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale diretto al marito) non era legittimata all’intervento nel giudizio di impugnazione della delibera assembleare in quanto non era condomina, non aveva proposto alcuna domanda nei confronti del condominio e non era neppure portatrice di un interesse ad evitare effetti riflessi dannosi del giudicato e quindi tale da giustificare un intervento adesivo dipendente, essendo stato dedotto un interesse di mero fatto e puramente eventuale (ossia la possibilità che il marito, potesse chiederle il risarcimento dei danni per non averlo informato della comunicazione della convocazione dell’assemblea);
– che se il marito avesse deciso in futuro di chiederle un risarcimento, essa avrebbe sempre avuto la possibilità di dimostrare di non avere sottoscritto l’avviso di convocazione;
– che l’innovazione soggetta ad approvazione con maggioranza qualificata non coincideva con qualunque lavoro straordinario, ma era integrata solo da quelle opere che implicavano una modifica notevole della cosa comune alterandone l’entità sostanziale o la destinazione originaria; rilevava che le opere straordinarie possono considerarsi innovazione solo se hanno la caratteristica della notevole entità nella specie non provata;
– che la censura di tardività della convocazione integrava deduzione di un nuovo e diverso vizio della delibera e costituiva domanda nuova non deducibile con la comparsa conclusionale; vizio dedotto inoltre, in quanto vizio di annullabilità e non di nullità, avrebbe dovuto essere fatto valere nei trenta giorni successivi all’assemblea.
C.G. e B.S. hanno proposto ricorso affidato a tre motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente B. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 105 comma 2 c.p.c. con riferimento al mancato riconoscimento del suo interesse ad intervenire nel giudizio di impugnazione della delibera assembleare promosso dal C. .
La ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, sussisteva un proprio interesse giuridico ad intervenire nel giudizio che, nella specie, era diretto all’accertamento della non autenticità della sua sottoscrizione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, interesse derivante dai profili di responsabilità su di essa gravanti a seguito della falsa attribuzione della firma sull’avviso che la esporrebbe a responsabilità nei confronti del C. .
Formulando il quesito di diritto ex art. 366 c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis, chiede se il terzo, al quale in corso di giudizio viene attribuita la paternità della sottoscrizione di un documento dal quale scaturiscono suoi profili di responsabilità, abbia legittimazione, quale portatore di un interesse concreto e attuale, ad intervenire nel giudizio al fine di disconoscere la firma attribuitagli dalla parte che ha prodotto il documento.
1.1 Il motivo è infondato.
L’intervento adesivo dipendente è consentito al terzo che intenda sostenere le ragioni di alcuna delle parti, avendovi un proprio interesse non meramente di fatto ma giuridico.
Il terzo deve dunque presentarsi come titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti originarie contro l’altra o da esso dipendente e la connessione deve comportare un pregiudizio totale o parziale del diritto di cui il terzo stesso si asserisca titolare nell’ipotesi di soccombenza della parte originaria; è necessaria, cioè, la titolarità di una situazione sostanziale collegata al rapporto dedotto in giudizio, tale da esporre il terzo agli effetti riflessi del giudicato.
Se, invece, il terzo ha un interesse di mero fatto a che una delle parti del rapporto principale risulti vittoriosa, non può essere riconosciuta alcuna legittimazione ad intervenire ad adiuvandum (Cass. 24/1/2003 n. 1111) ed è appunto questa la situazione che ricorre nel caso di specie, perché la B. non risulta, secondo la valutazione adeguatamente motivata di entrambi i giudici del merito, titolare di un rapporto giuridico connesso o dipendente con quello dedotto in lite in quanto essa ha dedotto la semplice possibilità che il marito possa agire in futuro contro di lei per la responsabilità di non avergli comunicato la convocazione; l’interesse dedotto è, quindi, meramente ipotetico e non attuale e neppure sussiste un pregiudizio derivante da questo processo per la posizione giuridica della interveniente alla quale non è comunque precluso dimostrare, nella remota ipotesi che essa prospetta, la falsità della firma.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 167 c.p.c. con riferimento all’obbligo del convenuto di proporre le sue difese prendendo posizione sui fatti esposti dall’attore a fondamento della domanda e la violazione dell’art. 1136 comma 4 c.c. in relazione alla maggioranza richiesta per la validità della delibera impugnata.
Nel motivo il C. deduce di avere chiesto dichiararsi la nullità della delibera in quanto approvava riparazioni straordinarie di notevole entità senza la maggioranza dell’art. 1136 n. 4, mentre il condominio, costituendosi, si era limitato ad eccepire che la delibera era legittima in quanto l’avviso di convocazione era giunto a conoscenza del C. ; a dire del ricorrente la Corte di Appello ha errato nel ritenere non fornita la prova che i lavori deliberati fossero di notevole entità in quanto la circostanza non era stata contestata ex adverso e risultava anche dall’importo e dalla tipologia dei lavori.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se la mancata contestazione e presa di posizione del convenuto in seno alla propria comparsa di risposta in merito alla prospettazione di parte attrice di un’approvazione, in sede di assemblea condominiale, di lavori straordinari di notevole entità, debba valutarsi ai sensi dell’art. 167 c.p.c. come vincolante per il giudice che ha l’obbligo di ritenere sussistente il fatto non contestato e, quindi, in mancanza delle maggioranze previste dal 4 comma dell’art. 1136, di dichiarare nulla la delibera.
2.1 Il motivo è infondato.
Il principio di non contestazione è espressione del principio dispositivo delle parti ed ha la funzione di escludere attività istruttorie dirette a provare fatti che, proprio in quanto non contestati, non devono essere più provati.
Nella specie, tuttavia, la questione verteva sulla valutazione riservata al giudice in merito alla natura straordinaria dei lavori e alla loro notevole entità in contrasto con la valutazione del condominio che non li aveva considerati straordinari e di notevole entità in quanto li aveva deliberati con maggioranza non qualificata; di conseguenza è da escludersi che il condominio, che si era costituito proprio per chiedere il rigetto della domanda, avesse inteso non contestare l’assunto che ne costituiva il fondamento e, al contrario, era onere della parte che sosteneva l’illegittimità della delibera per la riconduciblità dei lavori a quelli per i quali era necessaria una maggioranza qualificata (ex art. 1136 comma 4 c.c.), fornire elementi idonei a dimostrare l’assunto.
Va infatti osservato che l’individuazione, agli effetti dell’articolo 1136, quarto comma, cod. civ. (approvazione con maggioranza degli intervenuti rappresentanti metà del valore dell’edificio), della “notevole entità” delle riparazioni straordinarie è rimessa, in assenza di un criterio normativo, alla valutazione discrezionale del giudice di merito (al quale chi deduce l’illegittimità della delibera deve fornire tutti gli elementi utili per sostenere il suo assunto); il giudice, d’altro canto, può tenere conto senza esserne vincolato, oltre che dell’ammontare complessivo dell’esborso necessario, anche del rapporto tra tale costo, il valore dell’edificio e la spesa proporzionalmente ricadente sui singoli condomini (cfr. Cass. 6/11/2008 n. 26733).
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione circa la natura ed entità dei lavori deliberati dall’assemblea.
I ricorrenti lamentano che il giudice di appello, affermando che il C. si sarebbe limitato a ribadire il carattere straordinario dei lavori deliberati (straordinarietà che, peraltro, in assenza della notevole entità non richiede la maggioranza qualificata) non avrebbe considerato che in appello erano stati prodotti anche i preventivi di spesa, dai quali risultava un costo preventivato di Euro 53.000,00, preventivi che non potevano essere prodotti precedentemente perché inviati dall’amministratore solo dopo l’assegnazione, in primo grado, della causa a sentenza.
Nel quesito i ricorrenti chiedono se il Giudice, tenuto ad esaminare le prove documentali offerte dalla parte in merito alla tipologia e al costo dei lavori, debba valutarne la rilevanza ai fini della decisione e di tale valutazione debba farne espresso riferimento in seno alla motivazione della sentenza.
4. Neppure questo motivo merita accoglimento. Occorre premettere, in diritto, che il motivo di ricorso con il quale si deduce un vizio di motivazione deve avere specificità e completezza e le critiche alla motivazione devono essere tali da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività (richiesta dall’art. 360 n. 5 c.p.c.), ossia la rilevanza ai fini della decisione direttamente in base al ricorso (cfr. tra le tante, per l’affermazione del principio in generale, Cass. 12/2/2014 n. 3224; Cass. 17/7/2007 n. 15952; Cass. 13/6/2007 n. 13845).
Nella specie nel motivo di ricorso si deduce la mancata considerazione, in appello, dei preventivi di spesa, dai quali risultava un costo preventivato di Euro 53.000,00, ma il documento è meramente richiamato, così come è meramente richiamata una lettera datata 5/5/2006, senza che nel ricorso sia offerta alcuna indicazione dei lavori da eseguire (essendovi un mero e del tutto generico rinvio alla documentazione), del valore dell’edificio, del numero dei condomini, del costo per condomino e, in altri termini, senza alcuna indicazione delle ragioni (che né dal ricorso, né dalla sentenza risultano esposte nel giudizio di appello) per le quali quel preventivo e quella lettera sarebbero stati decisivi per affermare la notevole entità dei lavori.
5. Il ricorso deve essere rigettato; le spese di questo giudizio di cassazione seguono la soccombenza dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna C.G. e B.S. in solido a pagare al Condominio di (omissis) le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.000,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso, oltre accessori di legge.
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