Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 23 dicembre 2014, n. 53677
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente
Dott. CASUCCI Giuliano – Consigliere
Dott. RAGO Geppino – Consigliere
Dott. ALMA Marco Mar – rel. Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS) S.p.a. in persona del legale rappresentante (OMISSIS), nell’ambito del procedimento penale nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
avverso la ordinanza n. 133-R/14 in data 5/6/2014 del Tribunale di Reggio Calabria in funzione di giudice del riesame;
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori della ricorrente, Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Detta misura cautelare reale risulta emessa nell’ambito del procedimento penale iscritto tra gli altri nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), persone sottoposte ad indagini per l’ipotizzato reato di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., Legge 7 agosto 1992, n. 356, articolo 12 quinquies, e Legge 12 luglio 1991, n. 203, articolo 7, e destinatari di provvedimenti cautelari personali per tali fatti. In particolare, si contesta agli indagati di aver posto in essere, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648 bis e 648 ter c.p., una serie di articolate condotte, da concludere con il progetto di fusione inversa presentato in data 12/6/2013, finalizzate a completare il disegno di attribuzione fittizia a (OMISSIS) della titolarita’ delle quote sociali (tra l’altro) della (OMISSIS) S.p.a., il tutto al fine di consentire al (OMISSIS) – nei confronti del quale era stato emesso ordine di esecuzione per la carcerazione a seguito di condanna irrevocabile per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, di rafforzare, nonostante il suo stato di latitanza, la sua veste di socio e gestore occulto anche della predetta realta’ societaria, proseguendo ad incamerare, attraverso i prestanome, gli utili provenienti dall’attivita’ imprenditoriale svolta e dall’incremento di valore dell’azienda per effetto del reinvestimento degli utili predetti.
Per dovere di completezza va detto che il sopra menzionato “progetto di fusione inversa” doveva consistere nel fatto che sebbene le intere quote sociali della (OMISSIS) S.p.a. erano possedute da altra societa’ – la (OMISSIS) S.r.l. sempre amministrata dall’indagato (OMISSIS) – sarebbe stata la (OMISSIS) ad incorporare per fusione la (OMISSIS).
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore della (OMISSIS) S.p.a., deducendo la violazione dell’articolo 321 c.p.p., per essere stato emesso il decreto di sequestro preventivo in assenza delle condizioni previste dalla legge ed in forza di una motivazione mancante e/o comunque solo apparente.
Rileva, al riguardo, la difesa della ricorrente che le quote societarie della (OMISSIS) S.p.a. sono interamente intestate ad altra societa’ (la (OMISSIS) S.r.l.) la quale e’, a sua volta, destinataria del medesimo provvedimento di sequestro preventivo.
Sulla premessa che il citato progetto di fusione inversa presentato in data 12/6/2013 non e’ mai stato realizzato e che l’amministratore unico della (OMISSIS) e’ rimasto immune ed estraneo ad ogni addebito oggetto della contestazione Legge n. 356 del 1992, ex articolo 12 quinquies, si duole la difesa del ricorrente di quanto segue:
a) il provvedimento impugnato non indica alcuna condotta posta in essere dagli indagati suscettibile di essere interpretata come interposizione fittizia;
b) mentre il provvedimento impugnato ha dedicato circa 40 pagine all’illustrazione del fumus del reato contestato, all’illustrazione del periculum in mora sono dedicate solo poche righe del tutto apodittiche ed espressione di formule di stile;
c) anche con riguardo al fumus il provvedimento impugnato descrive comportamenti che non consentono di configurare il reato in contestazione agli indagati in quanto l’unica condotta di fatto contestata riguarda il citato progetto di fusione inversa presentato dalle due societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) che, secondo l’impostazione accusatoria sarebbe stato finalizzato a completare “il disegno di attribuzione fittizia a (OMISSIS) (amministratore unico) della titolarita’ delle quote societarie”. Tuttavia non sfugge che da una attivita’ di fusione tra due societa’ non consegue un’attribuzione delle quote all’amministratore unico, ne’ il progetto di fusione inversa prevedeva tale possibilita’;
d) infine, la fusione tra una societa’ controllante ed una societa’ controllata non puo’ ritenersi in contrasto con la Legge n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies, in quanto e’ provvedimento che si limita ad accorciare la catena di comando tra chi formalmente amministra la societa’ e chi, invece, quale proprietario, la controlla. La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe quindi soltanto apparente sia perche’ non da conto delle ragioni per cui la fusione formalmente contestata possa configurare una violazione dell’articolo 12 quinquies, sia perche’ finisce per confermare, seppure indirettamente, l’insussistenza e la non configurabilita’ dell’addebito mosso agli indagati con conseguente riflesso sull’insussistenza del fumus commissi delicti.
In data 5/12/2014 i difensori della ricorrente hanno depositato nella cancelleria di questa Corte Suprema una memoria difensiva ex articolo 611 c.p.p., (con allegata copia del “progetto per fusione per incorporazione” sopra menzionato) evidenziando che:
a) manca il fumus del delitto contestato;
b) poiche’ la proprieta’ di (OMISSIS) S.p.a. e lo stesso presunto proprietario occulto (OMISSIS) hanno un’accertata capacita’ economica di gran lunga compatibile con l’acquisto delle quote societarie i Giudici a quo avrebbero dovuto evidenziare qualche elemento dal quale si dovesse desumere l’ipotizzata interposizione fittizia finalizzata a sfuggire all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali;
c) il Tribunale del riesame di Reggio Calabria con diverse decisioni ha annullato l’ordinanza applicativa della misura cautelare nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
d) mancano attivita’ di “schermatura” dei beni antecedenti rispetto al progetto di “fusione inversa” sopra menzionato e, comunque, anche attraverso le precedenti operazioni societarie menzionate nell’ordinanza impugnata non si e’ schermato alcunche’ atteso che i soci della incorporata (OMISSIS) S.r.l. erano da un lato la stessa (OMISSIS) S.r.l. e, dall’altro, che (OMISSIS) e (OMISSIS) S.r.l. erano a loro volta gia’ soci della (OMISSIS).
Giova, innanzitutto, premettere, poiche’ la difesa nel caso in esame ha sostenuto la ricorrenza di vizio di legittimita’ anche nelle forme della motivazione “mancante e/o comunque solo apparente” che, a mente dell’articolo 325 c.p.p., il provvedimento impugnato e’ ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge. Orbene, secondo costante e risalente insegnamento di questa Corte la violazione di legge concernente la motivazione trova il suo fondamento nella disciplina costituzionale di cui all’articolo 111, commi 6 e 7, e concerne sia l’omissione totale della motivazione sia la motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la prima, allorche’ il giudice utilizzi espressioni di stile o stereotipate e, la seconda, quando si riscontri un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto, con esclusione della motivazione insufficiente e non puntuale (cfr. ex ceteris Cass. Sez. 1, sent. n. 6821 del 31/01/2012, dep. 21/02/2012, Rv. 252430). Nella nozione di violazione di legge per cui e’ soltanto proponibile il ricorso per cassazione deve poi farsi rientrare anche la mancanza di motivazione, alla quale vanno ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicita’, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano cosi’ scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici, da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (anche Cass. Sez. 1, sent. n. 19093 del 9/5/2006; con riferimento particolare all’articolo 325 c.p.p.: Cass. Sez. un. sent. n. 5876 del 28/1/2004, rv. 226710). Per contro, rimangono escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione tutte le rimanenti ipotesi nelle quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie.
Ancora, deve essere rammentato che “in tema di sequestro preventivo, la verifica del cosiddetto “fumus” non puo’ estendersi fino ad un vero e proprio giudizio di colpevolezza, essendo sufficiente la semplice indicazione di una ipotesi di reato, in relazione alla quale sussista la necessita’ di escludere la libera disponibilita’ della cosa pertinente a quel reato, potendo essa aggravarne o protrarne le conseguenze” (Cass. Sez. 2, sent. n. 2248 del 11/12/2013, dep. 20/01/2014, Rv. 260047).
Cio’ doverosamente premesso deve evidenziarsi che nell’ordinanza impugnata (che tra l’altro espressamente si integra con la motivazione del decreto di sequestro preventivo adottata dal Giudice di prime cure) il Tribunale del riesame ha rappresentato in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti ed ha ritenuto dimostrata la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame.
In particolare, contrariamente a quanto sostiene la difesa di parte ricorrente, il Tribunale del riesame ha ampiamente dato atto (cfr. pagg. da 27 a 32 dell’ordinanza impugnata) della sussistenza del fumus del reato ipotizzato a carico degli indagati sopra menzionati e della riconducibilita’ al (OMISSIS) ed ai suoi familiari anche della societa’ (OMISSIS) S.p.a..
Appare, infatti, assolutamente limitativo ricondurre la ragione del sequestro al “progetto di fusione inversa” di cui si e’ detto sopra, essendo chiarito anche nello stesso capo di imputazione come lo stesso si inserisce in una “piu’ ampia operazione di mascheramento finalizzata a consentire di fatto al (OMISSIS)… di rafforzare, nonostante il suo stato di latitanza, la sua veste di socio e gestore occulto delle predette realta’ societarie, proseguendo ad incamerare, attraverso i prestanome, gli utili provenienti dall’attivita’ imprenditoriale svolta e dall’incremento di valore delle rispettive aziende per effetto del reinvestimento di parte degli utili predetti”.
In realta’ il Tribunale del riesame ha dato conto di una serie di operazioni gia’ perfezionatesi caratterizzate dal fatto che dopo una prima fase in cui i membri della famiglia (OMISSIS) ricoprivano incarichi diretti in ambito societario, si e’ passati ad una fase successiva (contraddistinta da un non certo casuale parallelismo agli sviluppi delle vicende processuali dello stesso (OMISSIS)) caratterizzata dalla operativita’ anche di imprese di diritto estero e dalla presenza di continui progetti di fusione (quello completato (OMISSIS)/ (OMISSIS) e quello rimasto allo stato di progetto (OMISSIS)/ (OMISSIS)) finalizzati a schermare gli effettivi titolari e, quindi, i reali beneficiari degli utili prodotti dalle societa’ in questione che, alla luce degli esiti dell’attivita’ investigativa, sono sempre rimasti il (OMISSIS) ed i suoi prossimi congiunti.
In tale ottica, ha ancora precisato il Tribunale del riesame, i movimenti societari descritti nell’ordinanza stessa non appaiono frutto di ragioni formalmente lecite ma “costituscono il precipitato di uno studiato progetto finalizzato ad evitare provvedimenti di natura ablativa sulle societa’ condotte dal (OMISSIS)” il quale e’ risultato interessarsi, aver partecipato e condotto, nell’ombra, le attivita’ esaminate nel cui assetto amministrativo non ha, formalmente, parte alcuna. Emblematico e’ il raffronto che alle pagg. 28 e 29 dell’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame ha effettuato tra le scansioni temporali della vicenda giudiziaria penale che ha visto coinvolto il (OMISSIS) e le parallele vicende societarie, caratterizzate, come detto non solo da operazioni intrasocietarie ma dalla progressiva dismissione di cariche amministrative da parte di soggetti legati con vincoli di familiarita’ allo stesso (OMISSIS), vicende tutte che – come ha rilevato il Tribunale – danno conferma del fatto che le stesse si inseriscono in uno strutturato programma delinquenziale finalizzato alla “schermatura” di cui si e’ detto.
Ben sussiste quindi il fumus del reato contestato che e’ stato posto, nei limiti del necessario, a fondamento del provvedimento di sequestro caratterizzato da una motivazione congrua e logica che, pertanto, risulta priva dei vizi denunciati e rilevabili in questa sede.
Anche con riguardo alla lamentata carenza motivazionale riguardante il “periculum in mora” va detto che la doglianza difensiva e’ infondata. La motivazione sul punto esiste (cfr. pag. 42 dell’ordinanza impugnata) e si presenta tutt’altro che “apodittica ed espressione di formule di stile”. Il Tribunale, infatti, dopo aver dato atto nella corposa motivazione contenuta nelle precedenti pagine dell’ordinanza, della collocazione anche della societa’ (OMISSIS) al ben piu’ ampio complesso delle strutture societarie riconducibili al (OMISSIS) (ed ai suoi familiari) ha chiarito come la libera disponibilita’ di quanto in sequestro determina l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato commesso e l’agevolazione della commissione di altri reati e che occorre, inoltre, considerare che i beni oggetto di fittizia intestazione vanno considerati rilevanti – in quanto prodotto o profitto del delitto in contestazione – perche’ passibili di confisca in presenza di sentenza di condanna.
In sostanza emerge dal provvedimento impugnato che il Tribunale ha tenuto conto dei principi giurisprudenziali secondo i quali in tema di sequestro preventivo, il “periculum” rilevante al fine della adozione della misura cautelare deve presentare i requisiti della concretezza e della attualita’, deve essere valutato con riferimento alla situazione esistente al momento della sua adozione e deve essere inteso come concreta possibilita’ che la libera disponibilita’ del bene assuma carattere strumentale rispetto alla agevolazione della commissione di altri reati della stessa specie. Pacifica e’ poi la sussistenza del requisito della pertinenzialita’ di quanto sequestrato che si caratterizza da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalita’ rispetto al reato commesso. Da ultimo deve essere evidenziato quanto segue:
1) con la memoria depositata in data 5/12/2014 la difesa ha prodotto il dispositivo dell’ordinanza con la quale in data 30/5/2014 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha revocato l’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS) la cui posizione e’ stata frutto di richiesta di archiviazione, ma tale produzione appare inconferente in quanto detta revoca e l’eventuale archiviazione della posizione di detto indagato non incidono di per se’ sulla vicenda procedimentale intesa nel suo complesso e sulla particolare posizione della societa’ (OMISSIS) cosi’ come emerge dal provvedimento cautelare “reale” che in questa sede ci occupa;
2) come detto (ma appare doveroso ricordarlo), il ricorso originario si fondava sui seguenti elementi:
a) motivazione mancante o apparente;
b) assenza del periculum in mora;
c) estraneita’ del ricorrente (OMISSIS) (attuale amministratore della (OMISSIS)) agli addebiti Legge n. 356 del 1992, ex articolo 12 quinquies;
d) mancato perfezionamento del c.d. “progetto di fusione inversa” ed inidoneita’ dello stesso a costituire una violazione della Legge n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies.
e) assenza di indicazione nel provvedimento impugnato di attivita’ di interposizione fittizia;
f) assenza di motivazione sul fumus del provvedimento impugnato.
Orbene con la memoria de qua ed al di la’ di quelli gia’ sopra esaminati in quanto oggetto del ricorso originario si e’ introdotto un ulteriore elemento di doglianza consistente nel fatto che la proprieta’ di (OMISSIS) S.p.a. e lo stesso presunto proprietario occulto (OMISSIS) hanno un’accertata capacita’ economica di gran lunga compatibile con l’acquisto delle quote societarie e che i Giudici a quo avrebbero dovuto evidenziare qualche elemento dal quale si dovesse desumere l’ipotizzata interposizione fittizia finalizzata a sfuggire all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
Quest’ultima non e’ una semplice precisazione dei motivi sviluppati con il ricorso originario ma appare piuttosto assumere le caratteristiche di un motivo “nuovo” introdotto singolarmente sotto forma di memoria.
Sul punto va pero’ ricordato che i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’articolo 585 c.p.p., comma 4, quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (articolo 311 c.p.p., comma 4, anche richiamato dall’articolo 325 c.p.p.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimita’ (articolo 611 c.p.p., comma 1), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., lettera a), (Cass. Sez. U, sent. n. 4683 del 25/02/1998, dep. 20/04/1998, Rv. 210259; in tempi piu’ recenti anche Sez. 1, sent. n. 40932 del 26/05/2011, dep. 10/11/2011, Rv. 251482) il che non puo’ dirsi sussistente nel caso in esame, essendo quello da ultimo enunciato, un profilo di doglianza certamente “nuovo” rispetto a quelli di cui all’originario ricorso il che rende di per se’ inammissibile la doglianza stessa.
A corollario di cio’ si aggiunge il fatto che parte ricorrente non ha neppure documentato (ed a dir del vero neanche asserito) di avere posto la specifica questione al Tribunale del riesame il che legittima da parte di quest’ultimo una mancata risposta sul punto.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Leave a Reply