La massima
Il condomino che contesta la validità delle delibere assembleari deve proporre un autonomo giudizio di impugnazione, non rilevando a tal fine la circostanza che lo stesso abbia richiesto, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, l’accertamento della validità della delibera condominiale. Ove, quindi, tale domanda venga erroneamente proposta, il giudice chiamato a decidere l’opposizione deve dichiarare improponibile la domanda senza entrare nel merito della questione.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 18 settembre 2012, n. 15642
Ritenuto in fatto
1. – In data 22 aprile 1998 il Giudice di pace di Roma emetteva in favore del Condominio (omissis) – civici n. 14 (Condomino …), n. 26 (Condominio …) e n. 28 (Condominio …), decreto ingiuntivo per lire 1.113.104, a titolo di oneri condominiali, oltre interessi e spese, nei confronti di C..S. , che veniva notificato, unitamente ad atto di precetto, il 14 maggio 1998. Lo S. – asserendo peraltro che il credito portato dal decreto ingiuntivo era stato estinto il giorno stesso in cui sarebbe stata effettuata la notificazione del provvedimento monitorio – proponeva, quindi, opposizione dinanzi allo stesso Giudice di pace di Roma, chiedendo che il decreto fosse revocato, previa declaratoria di nullità delle delibere condominiali ad esso connesse, relative agli esercizi 1995/96 e 1996/97, che avevano illegittimamente imputato ad esso condomino del Condominio Azalea n. 14 una serie di spese per lavori riguardanti gli altri due Condomini (… n. 2 6 e … n. 28) e ciò in base all’erroneo presupposto che l’assemblea generale del supercondominio avesse il potere di deliberare in ordine ai bilanci preventivi e consuntivi concernenti le spese attinenti singolarmente a ciascuno degli anzidetti distinti ed autonomi fabbricati. Lo stesso opponente instava, altresì, in via riconvenzionale per la nullità o inefficacia del contratto stipulato tra l’amministratrice del Condominio “(omissis) ” e la società 3D di Di Crescenzo Enrico e C. s.n.c., che aveva eseguito i lavori del condominiali, perché in conflitto di interessi e per infedele esecuzione del mandato, giacché l’anzidetta amministratrice (R..D.A. ) era contitolare della anzidetta società, avendo occultato tale circostanza ai condomini tutti. Lo S. chiedeva, infine, la condanna della D.A. al risarcimento dei danni, nonché la condanna del Condominio alla restituzione delle somme pagate in eccedenza dall’opponente, oltre al risarcimento dei danni; deduceva articolate richieste istruttorie.
1.1. – Con sentenza non definitiva del 13 ottobre 1998, il Giudice di pace di Roma, nel contraddittorio tra le parti, respingeva l’eccezione di nullità della procura sollevata dall’opponente, dichiarava la competenza del Tribunale di Roma a conoscere soltanto della domanda riconvenzionale, respingendo, infine, l’istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto opposto.
Avverso tale sentenza non definitiva lo S. proponeva riserva di appello.
1.2. – Con successiva sentenza definitiva del 18 ottobre 1999, lo stesso Giudice di pace rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo emesso nei confronti dello S. , con condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali in favore del Condominio “(omissis) ” e di R..D.A. .
2. – Proponeva appello avverso le anzidette sentenze, non definitiva e definitiva, M.G..M. , nella sua qualità di erede di C..S. , deceduto.
Il gravame veniva rigettato dal Tribunale di Roma con sentenza del 26 luglio 2005.
2.1. – Il giudice di appello dichiarava, preliminarmente, l’inammissibilità del giuramento decisorio richiesto con l’atto di appello e poi reiterato nel corso del giudizio, adducendo la sua inidoneità allo scopo, posto che, come formulato dal deferente (chiedendosi all’amministratrice del condominio di giurare di aver ricevuto il pagamento della somma ingiunta e di essere socio della società che aveva stipulato il contratto del quale era invocato la declaratoria di nullità), la mancata prestazione del giuramento non avrebbe potuto concretare un riconoscimento della pretesa avversaria ed esser cosi posta a base della sentenza di condanna.
Quanto al motivo con il quale si censurava l’inesistenza o l’invalidità della elezione di domicilio inserita nella procura apposta a margine del ricorso per decreto ingiuntivo (ove la D.A. aveva eletto domicilio presso di sé, senza indicare città, via e civico), il Tribunale riconosceva la correttezza della soluzione seguita dal giudice di primo grado, che aveva escluso che l’elezione di domicilio costituisse elemento della procura, tanto che la sua mancanza ne potesse determinare la nullità, posto altresì che l’art. 58 disp. att. cod. proc. civ. disciplina proprio l’ipotesi di mancata elezione di domicilio. Peraltro, nel caso di specie l’elezione di domicilio presso lo studio dell’avvocato era contenuta nel ricorso “e da esso si ricava attesa l’intima connessione tra procura e il ricorso a cui questa accede”.
In ordine alla doglianza relativa alla erronea indicazione del giudice competente per valore, giacché alla data della proposizione della domanda riconvenzionale la competenza era del pretore e non del tribunale, il giudice di secondo grado affermava che correttamente il primo giudice aveva indicato il tribunale, posto che la domanda risarcitoria era di valore indeterminato.
Il Tribunale respingeva anche il motivo con il quale si denunciava l’erroneità della qualificazione, in termini di annullabilità e non già di nullità, della delibera posta a fondamento del decreto ingiuntivo, con conseguente rilievo della mancata impugnazione della stessa, derivandone quindi l’affermazione di efficacia del bilancio e del relativo piano di riparto approvato, tanto da consentire al creditore di chiedere ed ottenere l’ingiunzione di pagamento. A tal fine, il giudice di appello osservava che il dedotto vizio di imputazione delle spese rientrava nelle ipotesi di annullabilità della deliberazione assembleare, in quanto nella materia del riparto delle spese la nullità poteva configurarsi soltanto ove l’assemblea abbia inteso “modificare i criteri legali o regolamentari… e non anche ove vengono in concreto ripartite le spese sulla base di criteri precedentemente formati”. Di qui, la annullabilità della deliberazione della quale si doleva l’appellante, il cui vizio non poteva essere oggetto di esame in assenza di impugnazione della delibera stessa.
Veniva, altresì, rigettato pure il motivo relativo alla pregiudizialità della questione di nullità del contratto concluso dalla Società 3D s.n.c. ed il Condominio “(omissis) ” per essere l’amministratrice di quest’ultimo socia della prima, con erronea rimessione al giudice competente della sola domanda riconvenzionale risarcitoria e non anche della predetta domanda di nullità contrattuale. Il Tribunale rilevava come il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte di riconvenzionale eccedente la propria competenza per valore, era tenuto a rimettere al giudice competente soltanto la domanda riconvenzionale e non già l’intera causa, salvo disporre la sospensione ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. del giudizio dinanzi a lui trattenuto, quale ipotesi che, però, non ricorreva nella fattispecie. Sicché, risultava corretta la decisione assunta dal Giudice di pace di Roma, che si era limitato a dichiarare la propria incompetenza per valore rispetto alla sola domanda riconvenzionale, la quale pertanto non poteva essere esaminata in sede di gravame.
3. – Ricorre per la cassazione di tale sentenza M.M.G. , quale di erede di C..S. , affidando le sorti dell’impugnazione a sei motivi.
Resiste con controricorso il Condominio “(omissis) ” di via (omissis) .
R..D.A. , ritualmente intimata, non ha svolto difese.
La M. ha depositato memoria, con. la quale eccepisce, tra l’altro, l’inammissibilità del controricorso per tardività della sua notificazione e deposito.
Considerato in diritto
1. – L’eccezione di inammissibilità del controricorso è infondata.
L’art. 370 cod. proc. civ. prevede che il controricorso debba notificarsi “entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso” e cioè dalla scadenza del ventesimo giorno dalla (ultima) notificazione del ricorso stesso, come dispone l’art. 369 cod. proc. civ.; occorre, dunque, avere riguardo alla sequenza temporale segnata dal combinato disposto degli artt. 369 e 370 citati e non già alla data di effettivo deposito del ricorso, di cui la controparte, del resto, non riceve comunicazione.
Dalla notifica del controricorso decorre, poi, il termine di venti giorni per il suo deposito (comma terzo dell’art. 370 cod. proc. civ.).
Nella specie, il ricorso per cassazione è stato notificato l’11 luglio 2006, per cui il termine stabilito ex lego per il relativo deposito veniva a scadere il 31 luglio successivo; sicché — tenuto conto della sospensione dei termini processuali dal 1 agosto al 15 settembre, ex art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 – il 5 ottobre successivo era il termine di scadenza per la notifica del controricorso, il quale, pertanto, risulta tempestivamente spedito per la notificazione il 2 ottobre e, comunque, tempestivamente notificato il 4 ottobre; del pari tempestivo è stato il suo deposito, avvenuto in data 11 ottobre 2006.
2. – Con il primo articolato mezzo è denunciato, anzitutto, vizio di omesso esame di un punto decisivo correlato alla violazione dell’art. 2736, primo comma, n. 1, cod. civ., nonché degli artt. 99, 233, 384 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
La ricorrente denuncia un difetto di motivazione della sentenza in riferimento all’istanza di ammissione del giuramento decisorio deferito da essa parte appellante alla D.A. , vertente sia sul pagamento in data. 14 maggio 1998, da parte dei coniugi S. -M. e ricevuto dalla amministratrice del condominio D.A. , della somma di lire 1.113.104 per oneri condominiali, quale importo poi ingiunto con il decreto ingiuntivo opposto, sia sulla circostanza per cui la stessa D.A. era contitolare della società 3D di Di Crescenzo Enrico e C. s.n.c., a decorrere dal 13 luglio 1992.
Si trattava — argomenta la ricorrente – di giuramento richiesto in base a due autonome domande, aventi ciascuna il requisito della decisorietà, attenendo a fatti estintivi di diritti che erano idonei a produrre “conseguenze giuridiche diverse e contrarie a quelle cui il giudice è invece pervenuto, per averne omesso l’esame tempestivamente”, posto che la decisione sulla prova legale è avvenuta con la sentenza e non già durante la fase istruttoria, come reiteratameli te invocato da essa appellante (circostanza, questa, riconosciuta nella sentenza stessa). Di qui, “l’omesso esame, quale vizio della sentenza impugnata con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice, nel corso della fase istruttoria, in ordine a specifiche ed autonome domande che, ritualmente proposte, richiedevano una puntuale ed imprescindibile statuizione di accoglimento o di rigetto”.
2.1. – A prescindere dall’irrituale proposizione del mezzo, erroneamente denunciandosi un vizio di motivazione a fronte dell’asserita omessa pronuncia del giudice, quale vizio che andava censurato in quanto error in procedendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (più di recente, Cass., sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077), esso è comunque privo di consistenza, giacché nulla vieta al giudice dinanzi al quale sia invocata l’ammissione del giuramento decisorio di pronunciarsi sull’istanza in sede di sentenza (indirettamente, ma in senso inequivoco, tra le tante, Cass., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4263; Cass., sez. II, 1 ottobre 1976, n. 3212; Cass., sez. III, 24 agosto 1962, n. 2652), posto inoltre che con la sentenza medesima è addirittura revocabile l’ordinanza che abbia in precedenza ammesso il detto mezzo di prova legale, non avendo essa, nell’ambito del grado di giudizio in cui viene pronunciata, carattere definitivo ed irrevocabile (Cass., sez. 6 – III, 20 luglio 2011, n. 15949). Sicché, nessun vizio di omessa pronuncia è dato riscontrare nella specie, avendo il giudice di appello espressamente deciso, sebbene in sentenza e non già in sede istruttoria, sull’istanza di giuramento decisorio proposta dall’appellante.
2.2. – Con lo stesso mezzo è altresì censurata violazione e falsa applicazione dell’art. 2736, primo comma, n. 1, cod. civ., e art. 233 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
Si duole la ricorrente che il giudice di appello abbia ritenuto inammissibile, in quanto “non idonea la formula usata”, il giuramento decisorio de veritate deferito alla D.A. , amministratrice del Condominio “(omissis) “, il quale era stato formulato in due articoli separati, entrambi chiari e specifici (tanto che lo stesso Tribunale non ha recato ad essi modifiche), contenenti l’enunciazione di fatti decisivi vertenti su punti controversi e “caduti sotto la diretta attività di gestione dell’amministratore”, tale dunque da determinare la definizione totale o parziale della causa. Il Tribunale, nel ritenere inammissibile l’istanza perché riproducente la tesi difensiva sostenuta dallo stesso appellante e non già della parte chiamata a giurare, non avrebbe, invece, tenuto conto che “occorreva accertare soltanto la verità sui fatti storici della vicenda”, quali quelli oggetto delle formule decisorie, rispetto alle quali il giurante aveva l’alternativa di prestare, rispondendo positivamente o negativamente, o rifiutare il giuramento.
2.3. – Anche questa ulteriore censura non può trovare accoglimento.
Il motivo, infatti, non coglie la ratio della decisione resa dal Tribunale, che fonda l’inammissibilità dell’istanza di giuramento decisorio non già sugli aspetti relativi alle modalità formali della sua proposizione sui quali indugia la ricorrente, bensì sul contenuto stesso delle formule decisorie utilizzate, che sono state ritenute non suscettibili di integrare gli estremi della dichiarazione favorevole alla parte che è richiesta di renderla sotto giuramento.
In altri termini, il Tribunale ha applicato il principio, enunciato più volte da questa Corte (Cass., sez. I, 22 novembre 2006, n. 24855; Cass., sez. lav., 2 settembre 2003, n. 12779; Cass., sez. III, 16 novembre 1979, n. 5955), per cui la formula del giuramento decisorio – oltre che risolversi in articoli separati, chiari e specifici, vertenti su fatti idonei a definire, in tutto o in parte, la lite – deve essere congegnata in modo che il destinatario possa, a sua scelta, giurare e vincere la lite o non giurare e perderla. Sicché, “un giuramento formulato in modo da non consentire l’attuazione di detto meccanismo è inammissibile, in quanto la sua mancata prestazione, non potendo essere considerata come riconoscimento della fondatezza della pretesa della parte avversa, non potrebbe essere posta a base delle sentenza di condanna”; apprezzamento in concreto, quello rimesso al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato e privo di vizi logici e giuridici.
Risulta, dunque, evidente come il motivo di ricorso in esame manchi di censurare proprio il fondo della decisione assunta nella sentenza impugnata e cioè il fatto che il Tribunale abbia ritenuto che le modalità del deferimento del giuramento sull’avvenuto pagamento da parte dei coniugi S. -M. della somma poi oggetto del decreto ingiuntivo opposto (“Giuro e giurando affermo di aver ricevuto…”), nonché del giuramento sulla qualità di socia della società 3D s.n.c. – esecutrice dei lavori condominiali – in capo alla D.A. , la quale, rivestendo anche la carica di amministratrice del Condominio “(omissis) “, si sarebbe trovata in una situazione di conflitto di interessi (“Giuro e giurando affermo di essere contitolare della Società 3D…”), non vertevano su fatti che avrebbero giovato al dichiarante (la stessa D.A. ), riproducendo invece fatti favorevoli alla stessa parte che aveva deferito il giuramento e che alla parte alla quale esso era stato deferito avrebbero nuociuto.
3. – Con il secondo mezzo è dedotto vizio di ultrapetizione correlato all’art. 112 cod. proc. civ. e agli art. 184 e 384 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
La ricorrente si duole della decisione assunta dal Tribunale in ordine al motivo concernente la ritenuta non conformità, ai sensi dell’art. 330 cod. proc. civ., della elezione di domicilio della D.A. in sede di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, nonostante che su tale capo di domanda fosse intervenuta rinuncia espressa con la memoria conclusionale, cosi da sollevare il giudice del gravame dal relativo esame. La deliberazione presa sul punto dal giudice di appello integrerebbe, quindi, un error in procedendo della sentenza, “con ogni conseguenza giuridica”.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
Esso contrasta con il principio, consolidato (tra le tante, Cass., sez. II, 25 giugno 2010, n. 15353; Cass., sez. lav., 23 maggio 2008, n. 13373), per cui “l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; sicché è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico”.
Non fornisce, infatti, la ricorrente alcuna spiegazione circa il rilievo ad essa favorevole che potrebbe rivestire una eventuale cassazione del capo della sentenza impugnata che ha deciso su un motivo di gravame – con il quale si denunciava l’inesistenza o la nullità del decreto ingiuntivo opposto per vizio della procura dell’ingiungente – oggetto di rinuncia successiva alla sua proposizione, per di più statuendo in modo sfavorevole a quanto si intendeva postulare con il motivo rinunciato e, dunque, assecondando la stessa prospettiva che, alla luce di un giudizio di normale plausibilità, si deve ritenere abbia guidato l’appellante nella sua decisione di addivenire alla rinuncia.
4. – Con il terzo mezzo è prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 40, 10, 12, 34, 36, 99, 112, 116, 117, 183, 184, 230, 312, 321, 342 cod. proc. civ. e degli artt. 1136, 1137, 2697 e 1421 cod. civ., del’art. 63 disp. att. cod. civ., nonché degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 2 e 5, cod. proc. civ.; vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia, nonché vizio di motivazione riconducibile ad omesso esame di documenti.
La ricorrente si duole che il Tribunale, in ragione della insufficiente istruttoria delle controversia, abbia trascurato l’esame “di specifiche ragioni e risultanze probatorie della causa” medesima, tra le quali, anzitutto la mancata ammissione, sia in primo che in secondo grado, dell’interrogatorio formale della D.A. su circostanza di fatto rilevanti, cui si va ad aggiungere la trascuratezza del giudice di appello nella complessiva disamina dei documenti di causa. Sicché, quanto all’eccezione di incompetenza, essa era da ritenersi ritualmente proposta con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, posto che le relative conclusioni facevano riferimento alla nullità delle delibere assembleari connesse all’ingiunzione di pagamento, con ciò stesso eccependo l’incompetenza per valore del giudice di pace, “in quanto insorta causa pregiudiziale da risolvere con efficacia di giudicato”, cioè quella sull’accertamento sulla validità, o meno, delle delibere condominiali per gli esercizi 1995/96 e 1996/97, entrambe riferibili alle somme portate dal decreto ingiuntivo, con la conseguenza che l’adito giudice avrebbe dovuto rimettere l’intera causa alla cognizione del Tribunale.
Il giudice di appello avrebbe invece limitato le ragioni della decisione alla domanda riconvenzionale risarcitoria, eludendo la questione fondamentale della “incompetenza assoluta per ragioni di valore in ordine all’intera controversia, non potendosi ravvisare, nel caso di specie, una competenza funzionale del primo giudice”.
Ulteriore profilo di censura è dedotto in relazione al fatto che la sentenza avrebbe errato nel non considerare che “individuazione del giudice competente per valore, nella fattispecie, andava stabilita per motivi di connessione di cui agli artt. 34, 36, 40 cod. proc. civ.”, dovendosi decidere con efficacia di giudicato la questione pregiudiziale “in relazione alla postulata declaratoria di nullità della deliberazione condominiale”, sicché la competenza era quella del Tribunale, con esclusione di quella funzionale del giudice di pace.
4.1. – Il motivo è inammissibile per assoluta genericità della prospettazione là dove lamenta la mancata ammissione, da parte del giudice del gravame, dell’interrogatorio formale della parte convenuta, di cui assume la reiterazione in appello, senza per nulla specificare in che termini e rispetto a quali circostanze tale reiterazione è stata effettuata nell’atto di impugnazione, posto che nel motivo si esplicitano soltanto le circostanze oggetto della richiesta di prova avanzata dinanzi al giudice di primo grado. In mancanza della richiesta necessaria specificità della doglianza è impedito al Collegio – che non può avere accesso agli atti come giudice del fatto processuale, giacché sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione e non già quello di error in procedendo – ogni congruente apprezzamento sull’effettiva decisività, in termini di certezza e non solo di probabilità, della prova di cui si assume la mancata ammissione (tra le altre, Cass., sez. III, 17 maggio 2007, n. 11457).
4.2. – Quanto poi ai profili di censura che concernono la questione di competenza per valore del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo sulla domanda di accertamento incidentale della nullità delle delibere assembleari connesse a detto decreto, è sufficiente rilevare – a prescindere da ogni altra considerazione (a cominciare da quella che un’eccezione in tal senso, come si evince chiaramente dallo stesso motivo di ricorso, non è stata mai sollevata dall’opponente, né poteva del resto essere, giacché in contraddizione con la pretesa da esso stesso svolta al fine di conseguire l’accertamento della nullità) – che la loro inconsistenza è dimostrata già per il solo fatto che le doglianze medesime tendono a conseguire uno spostamento dell’intera causa dinanzi al giudice asseritamente competente per valore, contrastando con il principio per cui “in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza ha carattere funzionale e inderogabile, stante l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione, per cui rimane insensibile alle situazioni di connessione delineate dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 cod. proc. civ., e dall’art. 40 in relazione alle cause in cui è competente il giudice di pace” (cosi, tra le altre, Cass., sez. II, 17 marzo 2006, n. 6054; si veda anche Cass., sez. III, 20 settembre 2006, n. 20324).
5. – Con il quarto mezzo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1173, 2072, 2697 cod. civ., nonché degli artt. 112, 216 e 384 cod. proc. civ.; vizio di omessa pronuncia in ordine all’avvenuto pagamento di lire 1.113.104 effettuato in data 14 maggio 1998 da M.G..M. in S. in favore del Condominio “(omissis) “, correlato al decreto ingiuntivo n. 7193/98 e notificato dopo il pagamento stesso.
La ricorrente sostiene di aver espressamente riproposto in sede di gravame – sia con l’atto di impugnazione, sia con la comparsa conclusionale e le note di replica a quella di controparte (dei quali atti riporta in ricorso ampi stralci) – la questione erroneamente decisa dal Giudice di pace in ordine all’esclusione dell’avvenuto pagamento del credito di lire 1.113.104 vantato dal Condominio “(omissis) “, oggetto del decreto ingiuntivo opposto.
Inoltre, si deduce esser stata sollevata anche l’ulteriore eccezione sul difetto delle condizioni di emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 633 cod. proc. civ., essendo in esso state incorporate parte delle spese relative all’esercizio 1995/96, senza fornire la relativa documentazione (delibera assembleare e relativi allegati) comprovante il credito condominiale.
Ciò malgrado, il Tribunale di Roma avrebbe “completamente dimenticato di adottare la necessaria statuizione di accoglimento o di rigetto in ordine al capo di domanda principale, avente ad oggetto il decreto ingiuntivo opposto n. 7193/98”; di qui, il vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata.
5.1. – Il motivo è inammissibile.
La ricorrente denuncia un vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata – per aver essa “completamente dimenticato” di statuire sulla domanda di revoca o annullamento del decreto ingiuntivo opposto per l’effettuato pagamento del credito da esso recato – ma (diversamente, peraltro, da quanto prospettato con altri motivi con i quali parimenti si duole di un’omessa pronuncia) deducendo la violazione o falsa applicazione di norme diritto, talune sostanziali ed altre processuali (tra cui l’art. 112 cod. proc. civ.) e non già denunciando un error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
La deduzione è, dunque, in contrasto con il principio – che costituisce ormai diritto vivente, giacché corroborato di recente dalla pronuncia delle Sezioni Unite civili n. 8077 del 22 maggio 2012) – per cui “l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione” (Cass., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1701; ma, nello stesso senso, anche: Cass., sez. III, 11 novembre 2005, n. 22897; Cass., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12952; Cass., sez. II, 17 dicembre 2009, n. 26598; Cass., sez. V, 18 maggio 2012, n. 7871).
Ciò in quanto la denuncia di un error in iudicando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., o per vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., “presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata”; sicché, tale censura non può riguardare “l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, la quale postula la denuncia di un error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale” (Cass., sez. I, 22 novembre 2006, n. 24856; le esplicitate ragioni sono poi sviluppate in motivazione dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 8077 del 2012).
Del resto, l’impossibilità di scrutinare il fatto processuale non è, nella specie, senza rilievo sostanziale, posto che con il motivo in esame si deduce di aver posto la questione dell’adempimento del credito ingiunto, ma si manca del tutto di puntualizzare il tenore della domanda formulata dinanzi al giudice di primo grado, la quale, come emerge dallo stesso ricorso per cassazione (p. 17), era imperniata sulla revoca del decreto ingiuntivo “previa declaratoria di nullità delle delibere assembleari ad esso connesse”, con ciò palesandosi una astratta incompatibilità con la rilevanza, in termini di effettiva pretesa e non già solo di argomentazione a sostegno della domanda, che si assume attribuita all’adempimento stesso (giacché esplicante effetti che prescindono del tutto dalla questione di invalidità delle delibere), che, per l’appunto, soltanto l’esame degli atti avrebbe potuto chiarire.
6. – Con il quinto mezzo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1123, comma 3, 1136, 1137, 1138, 2697 cod. civ., “ed ogni altra norma applicabile”, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.d. proc. civ.; “nullità radicale della delibera assembleare del 31 dicembre 1997 e di quella con essa connessa del 9 ottobre 1996, per contrarietà a norme imperative”.
Si espone anzitutto che il Condominio “(omissis) ” è composto da tre distinti edifici – palazzine XXXXXX (relativa ad essa ricorrente), XXXXXXX, XXXXXXX costituenti “condomini separati, autonomi ed indipendenti sotto i profili strutturale, funzionale e gestionale”, legati al complesso immobiliare “(omissis) ” soltanto in relazione al servizio di portierato e alla centrale termica per il riscaldamento e l’acqua sanitaria, versandosi così in ipotesi di “supercondominio”. Sicché, mentre le spese relative al servizio di portierato ed a quelle della centrale termica devono essere deliberate dai condomini di tutti i fabbricati, “nessun diritto (o interferenza) può essere esercitato dai condomini delle Palazzine (omissis) , al di fuori delle proprie ed autonome gestioni, attinenti ai singoli condomini, atteso che ogni deliberazione da adottare spetta in via esclusiva al gruppo dei venti o più comproprietari di ciascun edificio”.
Argomentando diffusamente, la ricorrente adduce, quindi, che il credito oggetto del decreto ingiuntivo opposto concerneva spese condominiali non riconducibili al condominio XXXXXX, con conseguente nullità delle delibere che le avevano approvate in danno dei coniugi S. -M. , condomini della palazzina XXXXXX. E – si precisa nel ricorso – tale nullità, di carattere assoluto, era stata eccepita pregiudizialmente in sede di gravame (assumendosi che “i rendiconti annuali… sono stati illegittimamente approvati senza tener conto delle effettive spese sostenute da ciascuna palazzina in base al criterio della proprietà separata, in violazione degli artt. 1136 e 1123, terzo comma, cod. civ.), là dove il giudice di appello non avrebbe neppure tenuto conto che i diritti spettanti a ciascun condomino in base agli atti di acquisto sulle parti comuni di un singolo condominio (nella specie, quello della palazzina XXXXXX), “non possono essere oggetto di delibere assembleari approvate a maggioranze diverse da quelle stabilite dall’art. 1136 cod. civ.”.
6.1. – Il motivo è inammissibile.
Va anzitutto rammentato – alla stregua dell’orientamento prevalente di questa Corte (Cass., sez. II, 8 agosto 2000, n. 10427; Cass., sez. II, 24 agosto 2005, n. 17206; Cass., sez. II, 31 gennaio 2008, n. 2305; Cass., sez. II, 20 luglio 2010, n. 17014; argomenti in tal senso anche da Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26629 e, in motivazione, da Cass., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421) – che l’amministratore del condominio può promuovere il procedimento monitorio per la riscossione degli oneri condominiali e l’eventuale opposizione da parte del condomino ingiunto potrà riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non può estendersi alla nullità o annullabilità della delibera avente ad oggetto l’approvazione delle spese condominiali, che dovranno invece essere fatte valere in via separata con l’impugnazione di cui all’articolo 1137 cod. civ., dal momento che l’attualità del debito non è subordinata alla validità della delibera, ma solo alla sua perdurante efficacia.
A tal riguardo, si è precisato (dalla citata Cass., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421) che il legislatore, “onde consentire il tempestivo adempimento del condizionante dovere di riscossione dei contributi condominiali, ha attribuito all’amministratore, con l’art. 63 disp. att. c.c., il potere di chiedere decreto ingiuntivo, al quale ha anche riconosciuto il carattere dell’immediata esecutività, nei confronti dei condomini morosi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea senza neppure necessità d’autorizzazione alcuna da parte del detto organo deliberante (e pluribus, Cass. 9.12.05 n. 27292, 5.1.00 n. 29, 29.12.99 n. 14665, 15.5.98 n. 4900); correlativamente, nel riservare, con l’art. 1137 c.c., ad autonomo giudizio ogni controversia sull’invalidità delle deliberazioni assembleari, ha anche escluso che qualsivoglia questione al riguardo possa essere sollevata nell’ambito dell’eventuale opposizione al provvedimento monitorio, l’oggetto di tale giudizio rimanendo, in tal modo, circoscritto all’accertamento dell’idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione e della persistenza o meno dell’obbligazione dedotta in giudizio (Cass. 8.8.00 n. 10427, 29.8. 1994 n. 7569)”.
Sicché, non avrebbe potuto l’opponente proporre dinanzi al giudice di pace la domanda di accertamento incidentale con efficacia di giudicato della nullità delle delibere assembleari asseritamente connesse al decreto ingiuntivo opposto e il giudice adito ovvero il tribunale investito dell’impugnazione della sentenza di primo grado avrebbero dovuto dichiarare improponibile la domanda stessa, senza entrare nel merito della questione che essa poneva. Tuttavia, posto che il dispositivo della sentenza di appello si limita a rigettare il gravame ed a confermare le sentenze impugnate (non definitiva e definitiva) e che nel dispositivo della sentenza definitiva emessa dal giudice di primo grado (come riportato in ricorso: p. 8) non vi è espressa statuizione sulla avanzata domanda di accertamento (confermandosi il decreto ingiuntivo con rigetto dell’opposizione), si può pervenire, in forza dei poteri di cui all’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ., a correggere la motivazione della sentenza impugnata nel senso anzidetto, rimanendo fermo il dispositivo che statuisce unicamente in ordine al profilo della debenza dell’importo creditorio recato dal decreto ingiuntivo opposto.
Ne consegue che la censura proposta dalla ricorrente, ancor prima che infondata, è priva del necessario supporto dell’interesse attuale ad impugnare.
7. – Con il sesto mezzo è dedotto vizio di omessa pronuncia correlato alla violazione degli artt. 1362 e segg., 1394 cod. civ. e dell’art. 65 disp. att. cod. civ., nonché degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in relazione al’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
La ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul capo di domanda concernente la “riconvenzionale, volta ad ottenere l’annullamento del contratto di appalto con conseguenti danni”, formulata sull’assunto della situazione di conflitto di interessi, occultata ai condomini, riguardante l’amministratrice D.A. , giacché socia della Società 3D di Crescenzo Enrico e C. s. n. e. con la quale aveva stipulato l’anzidetto contratto.
La cognizione di tale domanda riconvenzionale, proposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fu rimessa dal Giudice di Pace di Roma al giudice competente, senza peraltro provvedere alla nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 65 disp. att. cod. civ. in ragione della sussistente situazione di conflitto di interessi, peraltro concernente anche il difensore che aveva assunto contemporaneamente la difesa del Condominio “(omissis) ” e del suo amministratore. Sicché, deduce la ricorrente, il Tribunale, nonostante avesse l’obbligo di decidere sulla domanda riconvenzionale, si sarebbe limitato ad affermare che la stessa, avendo il Giudice di pace correttamente “dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla questione sollevata in via riconvenzionale”, essa “non può essere esaminata in questa sede”, con ciò violando l’art. 112 cod. proc. civ., mancando “una statuizione di accoglimento o di rigetto in ordine a tale capo di domanda”.
7.1. – Il motivo è infondato.
Non sussiste, infatti, la denunciata omissione di pronuncia da parte del giudice di appello, posto che la sentenza impugnata non ha statuito sull’accoglimento o sul rigetto della domanda riconvenzionale proposta dall’opponente a decreto ingiuntivo in quanto ha deciso per l’incompetenza del giudice dell’opposizione a pronunciarsi su di essa, spettando la relativa cognizione, ratione valoris, al Tribunale e non già all’adito Giudice di pace.
E ciò ha fatto confermando sul punto la congruente e corretta decisione assunta dallo stesso giudice di primo grado, in conformità ai principi che governano l’attribuzione di competenza funzionale al giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, che in precedenza sono stati già richiamati.
8. – Il rigetto del ricorso comporta, di per sé, la reiezione della domanda di responsabilità aggravata avanzata, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., nei confronti dell’amministratore del Condominio “(omissis) “.
Le spese del grado, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del grado in favore del controricorrente Condominio “(omissis) ” di via (omissis) , che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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