luci e vedute3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

ordinanza 25 giugno 2014, n. 14384

Motivi in fatto e diritto

Con ricorso ex art. 703 c.p.c. al tribunale di Ancona V.C. ed E.B., proprietari di locali ad uso cantina compresi nello stabile condominiale sito in Falconara, alla via Matteotti, n. 77, locali dotati sin dal 1986 di aperture per l’aria e la luce praticate sui muri perimetrali condominiali prospicienti il giardino di proprietà di M.M. e M.G.S., esponevano che costoro avevano provveduto nel corso dell’anno 1998 ad ostruire ed occludere le aperture.
Chiedevano di esser reintegrati ovvero di essere manutenuti nel possesso della servitù di luce ed aria e, quindi, che fosse ordinata la rimozione del materiale che occludeva le aperture.
Resistevano M.M. e M.G.S.; chiedevano integrarsi il contraddittorio nei confronti degli altri condomini e, comunque, rigettarsi l’avversa istanza.
Nelle more del giudizio P.M. acquistava l’immobile dei ricorrenti.
All’esito dell’istruttoria con sentenza n. 608/2004 il tribunale di Ancona rigettava il ricorso.
Interponeva appello P.M.
Resistevano M.M. e M.G.S.
Rimanevano contumaci V.C. ed E.B.
Con sentenza n. 456 dei 24.2/14.5.2011 la corte d’appello di Ancona rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Segnatamente la corte territoriale evidenziava che “nella fattispecie la tutela possessoria… non poteva essere riconosciuta perché il possesso della servitù di luce, ipotizzato nel ricorso originario, non era tutelabile, in ragione del fatto che il potere di fatto corrispondente all’esercizio della predetta servitù, è stato esercitato per mera tolleranza degli aventi diritto, i quali non hanno dato alcuna autorizzazione ai ricorrenti per l’esecuzione dei lavori, successivamente oggetto di sanatoria…” (così sentenza d’appello, pag. 8).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.M.; ne chiede la cassazione sulla scorta di un unico motivo.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Disposta ai sensi dell’art. 376, 1° co., c.p.c. l’assegnazione a questa sezione, il relatore designato ha depositato la seguente relazione:
“Con la sentenza in oggetto la Corte di Ancona ha respinto l’appello di P.M. avverso quella n. 608/04 del locale tribunale, che aveva rigettato la domanda, proposta contro M.M. e M.G.S. da V.C. ed E.B., danti causa di esso appellante (che aveva da loro acquistato, nelle more del giudizio, l’immobile interessato nella controversia), per la reintegrazione o manutenzione nel possesso della “servitù di luce”, costituita da alcune aperture munite di grate metalliche e riquadri in vetrocemento, esistenti nel muro perimetrale di un locale, originaria cantina poi trasformata in abitazione, che i convenuti, condomini nel medesimo stabile e proprietari di un giardino antistante, avevano occluso con materiali vari.
I giudici di merito hanno escluso la tutelabilità in via possessoria delle menzionate aperture, ritenendole abusive, in quanto non autorizzate dal vicino, né dal condominio, ma soltanto tollerate, e pertanto inidonee a configurare la servitù, il cui possesso era stato dedotto.
Ricorre il M. con unico motivo, deducente violazione ed errata applicazione degli artt. 1168 e 1171 c.c., contestando segnatamente la ravvisata “tolleranza”, che, implicando la “saltuarietà e transitorietà” degli atti tollerati, nella specie sarebbe stata non compatibile con la lunga risalenza, quanto meno decennale, delle aperture lucifere, tali da configurare, per la loro destinazione di fornire luce ed aria al locale interessato, gli estremi di una servitù prediale, sia pure sul piano possessorio.
Non resistono gli intimati.
Tanto premesso, ritiene il relatore che il ricorso sia manifestamente infondato, ponendosi la dedotta censura in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, costante nell’escludere l’acquisibilità per usucapione e, comunque, la stessa possedibilità, di servitù di luci irregolari, come quelle di specie (di cui non risultano, né sono state dedotte, la conformità ai requisiti di cui all’art. 901 c.c.), “non essendo possibile stabilire dalla irregolarità se il vicino le tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla nel modo stabilito, ovvero la subisca come peso del fondo, quale attuazione del corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima” (v. Cass. n. 11343/04, conf. nn. 71/02, 1803/07, S.U. n. 10285/96). Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.
Fissata con decreto in data 27.2.2014 l’adunanza camerale, il ricorrente ha presentato memoria.
All’esito dell’adunanza la Corte ha riservato la decisione.
Il ricorso è manifestamente infondato alla stregua delle ragioni esplicitate dal relatore, ragioni da aversi puntualmente, ai fini della motivazione della presente ordinanza, per reiterate e trascritte.
Al contempo non rivestono valenza le argomentazioni di cui alla memoria.
Invero va ribadito l’insegnamento per cui le aperture lucifere di un immobile, contiguo al fondo del vicino, quando non abbiano carattere di vedute o di prospetti, sono considerate luci, secondo la previsione normativa dell’art. 902 c.c., anche se non sono state osservate le prescrizioni paradigmatiche dell’art. 901 c.c.; e, mentre da un lato chi le pone in essere esercita poteri e facoltà derivantigli iure proprietatis, dall’altro il vicino può sempre esigere la loro regolarizzazione ovvero occluderle, quando vi concorrano le condizioni che l’ordinamento prevede e disciplina (cfr. Cass. 4.7.1975, n. 2597).
In questo quadro, ovvero al cospetto delle enunciate indubitabili prerogative del vicino, non può che ribadirsi il rilievo (limitatamente al quale cfr. Cass. 17.6.2004, n. 11343) per cui non è, a rigore, possibile stabilire se il vicino semplicemente tolleri, recte abbia semplicemente tollerato le luci irregolari, condotta che, evidentemente, in alcun modo ex art. 1144 c.c. è idonea a consentire l’acquisto di una situazione di possesso, ovvero le subisca, recte le abbia subite come peso del fondo, quale manifestazione dell’alieno possesso di una servitù di luce irregolare.
In questo quadro, ovviamente, a nulla rileva “la lunga durata dell’esercizio della situazione di fatto” (così memoria ricorrente pag. 7), giacché, a rigore, al protrarsi dello stato di fatto può ben essersi contrapposto il protrarsi della tolleranza.
Gli intimati tutti non hanno svolto difese; pertanto, nonostante il rigetto del ricorso, nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per spese.

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