Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 2 marzo 2017, n. 5345

Manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 803 c.c., in relazione agli artt. 3, 30 e 31 Cost., nella parte in cui la norma subordina la possibilità di revocazione delle donazioni al solo caso in cui il donante non ha o ignori di avere figli o discendenti all’epoca della donazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 2 marzo 2017, n. 5345

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 25 luglio 2001, C.B. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la moglie separata E.R.I. , per sentire revocare la donazione indiretta dell’immobile sito in (omissis) , risalente al 1991, e compiuta in costanza di matrimonio, sul presupposto della sopravvenienza di altri figli in epoca successiva alla donazione.
Nella resistenza della convenuta, il Tribunale con la sentenza n. 26751 del 2004 rigettava la domanda, e la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 252 del 17 gennaio 2012 confermava il rigetto della domanda.
Rilevava la Corte distrettuale che la donazione indiretta risaliva al (…), allorquando era già nata la figlia Y. , e che successivamente nel (…) era nata una seconda figlia C. . Quindi, intervenuta la separazione tra i coniugi, l’attore aveva poi avuto un terzo figlio, nato dall’unione con un’altra donna, ed a seguito di tale nascita l’istante aveva deciso di chiedere la revocazione della donazione a suo tempo effettuata.
Secondo la sentenza d’appello la questione di legittimità costituzionale prospettata dall’appellante non poteva avere seguito, dovendosi escludere che l’interpretazione offerta della norma di cui all’art. 803 c.c., secondo cui la revocazione presuppone l’assenza di figli all’epoca della donazione, non contrasti con l’art. 3 della Costituzione, posto che l’esigenza di tutelare i figli consentendo un ripensamento al donante era già presente alla data della donazione, sicché la tesi sostenuta dall’appellante porterebbe invece ad una disparità di trattamento tra la situazione dei figli già nati alla data della donazione, che resterebbero privi di tutela, e quella dei figli sopravvenuti, che invece potrebbero beneficiare della revocazione.
La circostanza che la legge esiga il duplice presupposto dell’assenza di figli all’epoca della donazione e della sopravvenienza di un figlio ovvero di un discendente legittimo, risponde alla finalità di assicurare un equo bilanciamento degli interessi dei soggetti coinvolti, ivi inclusi quelli del donatario che non può essere sacrificato per il solo fatto di avere beneficiato della donazione.
In particolare il donatario che accetta la donazione allorquando il donante aveva già prole o discendenti, ha la consapevolezza, a differenza dell’ipotesi in cui il donante sia senza discendenti, della sicurezza del proprio acquisto che non può essere vanificato dal sopraggiungere di eventuali altri figli.
La conclusione del rigetto della domanda attorea non poteva essere confutata nemmeno facendo richiamo alla previsione di cui all’art. 804 c.c., che regola il termine per la proposizione della domanda di revocazione posto che la norma de qua si limita non già a prevedere un nuovo termine di prescrizione, ma contempla un termine di decadenza, destinato a riaprirsi ogni volta che sopravvengano nuovi figli, ma senza inficiare la necessità che sussista a monte il presupposto dell’assenza di figli o discendenti alla data della donazione.
Per la cassazione di tale sentenza C.B. ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
E.R.I. ha resistito ai soli fini della discussione orale.
A seguito di proposta di definizione della causa ex art. 380 bis c.p.c., la Sesta sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 12706/2016 rimetteva la causa alla pubblica udienza, ritenendo che non sussistessero i requisiti dell’evidenza decisoria.

Motivi della decisione

1. Con un unico motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 803 ed 804 c.c., nonché il mancato accoglimento della questione di legittimità costituzionale delle norme in esame, in relazione agli artt. 3 e 30 della Costituzione, nonché in relazione alla normativa Europea ed internazionale, ed alla luce della riforma della disciplina della filiazione.
Si rileva che l’interpretazione offerta delle norme dai giudici di merito e che subordina la possibilità di revocazione delle donazioni, per l’ipotesi di sopravvenienza di figli, al presupposto che alla data della donazione il donante non avesse o ignorasse di avere figli o discendenti legittimi, sicché non ne sarebbe possibile l’applicazione nel caso in cui, pur essendovi figli alla data dell’atto di liberalità, ne sopravvengano altri, contrasta con i suddetti principi costituzionali, occorrendo in primo luogo verificare la possibilità di addivenire ad una diversa interpretazione costituzionalmente orientata delle norme codicistiche. In pratica, e come si rileva anche dal tenore delle memorie depositate in replica alla relazione del consigliere relatore ex art. 380 bis c.p.c., l’art. 803 c.c. si presta ad essere letto nel senso che, anche laddove vi siano dei figli alla data della donazione, il sopraggiungere di altri discendenti giustificherebbe la revocazione della donazione, come peraltro si ricava anche dalla previsione dell’art. 804 c.c. che nel differire il termine per la proposizione della relativa domanda, al sopraggiungere dei successivi discendenti, appare comprensibile e dotata di razionalità solo nella diversa prospettiva, auspicata dal ricorrente, per la quale il diritto di revocazione va riconosciuto in conseguenza della nascita di ogni successivo discendente, indipendentemente dal fatto che già ve ne fossero all’epoca della donazione.
Trattasi peraltro di interpretazione che scongiura il pericolo di discriminazioni tra discendenti e soprattutto previene l’irrazionalità della tradizionale esegesi dell’art. 804 c.c., che legata alla tesi della necessità del presupposto negativo dell’assenza di figli al momento della donazione, rende il donatario continuamente esposto, e per tutta la vita del donante, al rischio che quest’ultimo intenda esperire l’azione di revocazione.
Viceversa ben più razionale sarebbe l’interpretazione suggerita dalla parte in base alle quale la norma di cui all’art. 804 c.c. si giustifica per il fatto che la nascita o la scoperta di figli, anche laddove un figlio fosse già in vita all’epoca della donazione, consente al donante di esperire l’azione di cui all’art. 803 c.c.
2. La fattispecie si presenta assolutamente nitida nei suoi connotati fattuali, essendo infatti controversa unicamente la corretta risoluzione in diritto delle problematiche poste dalla domanda del ricorrente.
Reputa tuttavia il Collegio di dover condividere le valutazioni a suo tempo espresse nella relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., dovendosi appunto tenere ferma la tradizionale interpretazione della norma di cui all’art. 803 c.c., non palesandosi meritevoli di seguito le denunzie di illegittimità costituzionale mosse dal C. al complesso delle norme suscettibili di trovare applicazione alla fattispecie.
Come si ricava dalle motivazioni dei numericamente esigui precedenti che si sono occupati della fattispecie, (cfr. da ultimo Cass. n. 6761/2012) la ratio dell’istituto deve essere individuata come già affermato da Corte Costituzionale nella sentenza n. 250/2000, nell’esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione già disposta a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza. Tale esigenza si pone in quanto con l’instaurazione di un nuovo rapporto di filiazione sorgono in capo al genitore donante nuovi doveri di mantenimento, istruzione ed educazione per il cui adempimento egli deve poter disporre di mezzi adeguati. Proprio a tal fine il legislatore consente al donante di valutare se per la sopravvenienza di figli e per l’adempimento dei menzionati doveri sia necessario recuperare le precedenti attribuzioni patrimoniali. In sostanza l’interesse tutelato dal legislatore attraverso l’istituto della revocazione della donazione per sopravvenienza di figli è quello di consentire al genitore donante di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli.
La norma si spiega per la complessità della psiche umana, presumendo il legislatore che il donante non può avere valutato adeguatamente l’interesse alla cura filiale, allorquando non abbia ancora figli, e quando quindi non ha ancora provato il sentimento di amor filiale con la dedizione che esso determina ed il superamento che esso provoca di ogni altro affetto.
È quindi evidente che, nell’ottica privilegiata dal legislatore, finalizzata ad assicurare rilevanza giuridica a quella che viene ritenuta essere una innata connotazione della psiche umana, la preesistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo alla data della donazione, escluda il fondamento applicativo della previsione, dovendosi infatti ritenere che l’atto di liberalità sia stato compiuto da chi già aveva avuto modo di provare l’affetto filiale, e che quindi si è determinato a beneficiare il donatario pur nella consapevolezza degli oneri scaturenti dalla condizione genitoriale.
In tal senso si pone anche la giurisprudenza di questa Corte che nella sentenza n. 2031 del 1994, nel ribadire l’individuazione della ratio della norma in esame come sopra esplicata, ha chiarito che l’art. 803 cod. civ., nel regolare la revocabilità della donazione per sopravvenienza di figli o discendenti legittimi (si continua ad utilizzare tale aggettivo in conformità della previsione normativa, ma dovendosi ritenere la stessa ormai superata per effetto delle modifiche di cui alla legge n. 219/2012, che hanno ormai privato di rilievo giuridico la qualificazione in passato adottata dal legislatore) del donante ovvero della conoscenza dell’esistenza degli uni o degli altri, istituisce fra le due categorie una relazione disgiuntiva, dimostrativa dell’intento del legislatore di considerarle in via alternativa e di esclusione, tale cioè che – atteso il vincolo meno stretto dei discendenti col donante – la sopravvenienza o conoscenza dell’esistenza di figli, se non fatte valere ai fini della revoca, precludono la possibilità della revoca stessa in relazione a sopravvenienza o conoscenza di discendenti legittimi.
In tale prospettiva si è precisato che la norma risponde ad un principio logico: gli ulteriori discendenti non possono ricevere lo stesso trattamento dei figli essendo meno stretto il loro rapporto di parentela col donante.
L’individuazione dell’interesse tutelato in quello dello stesso donante, a poter fruire di un’opportunità di rivalutare, sebbene alla luce di un evento sopravvenuto, il proprio operato negoziale ed il compimento di atti dispositivi del proprio patrimonio a cui non sia conseguito alcun arricchimento, la previsione di un meccanismo che consente la perdita di efficacia della donazione, non già in via automatica, come nel caso in parte omologo di cui all’art. 687 c.c., l’ulteriore considerazione per la quale, una volta intervenuta la revocazione, il bene donato rientra appieno nella disponibilità del donante che può nuovamente disporne come meglio creda, senza quindi determinarsi un immediato effetto incrementativo del patrimonio dei figli, inducono a ritenere che la norma non tuteli direttamente l’interesse dei figli, ma solo in via mediata ed eventuale.
La dottrina più avveduta ha giustamente rimarcato che la possibilità che il donante possa nuovamente disporre dei beni recuperati come meglio ritiene, e senza che tali scelte possano essere immediatamente sindacate, restando la tutela dei figli confinata nella successiva esperibilità dell’azione di riduzione, pone evidentemente in crisi l’argomento fondamentale speso dalla difesa del ricorrente per sollecitare una diversa interpretazione delle norme de quibus, ovvero in alternativa per spingere a sollevare un incidente di costituzionalità, dovendosi escludere che la previsione di cui all’art. 803 c.c., nella parte in cui preclude la revocazione, in presenza di un figlio già esistente all’epoca della donazione, determini una ingiustificata disparità di trattamento ed una lesione del diritto dei figli sopravvenuti.
D’altronde è proprio la differente situazione in fatto che ricorre nel caso in esame, rispetto a quella astrattamente contemplata dalla norma (assenza di figli o discendenti) ad escludere altresì la violazione dell’art. 3 della Costituzione, essendosi sopra rilevato come sia proprio l’assenza in assoluto di discendenti a legittimare il rimedio accordato dal legislatore al donante, al fine di assecondare l’emersione nel campo giuridico di un intimo e profondo sentire dell’essere umano.
Né la norma può essere tacciata di incoerenza, a voler seguire il tradizionale approccio interpretativo, nella parte in cui l’art. 803 c.c. prevede che la donazione possa essere revocata da chi non aveva o ignorava di avere non solo figli ma anche discendenti legittimi, sul presupposto che per esservi discendenti legittimi, è comunque necessario avere prima dei figli (osservazione questa che nella prospettazione del ricorrente suggerirebbe di aderire alla diversa soluzione per la quale ogni sopravvenienza di figli o discendenti consentirebbe di agire ex art. 803 c.c.) posto che, ribadito quanto sopra affermato da questa Corte in tema di distinzione tra sopravvenienza di figli e di discendenti (Cass. n. 2031/1994 cit.), la norma potrebbe trovare applicazione in coerenza con quanto sinora affermato, nel caso in cui sopravvenga alla donazione la scoperta di un figlio che risulti però premorto, avendo tuttavia lasciato a sua volta dei discendenti, la cui scoperta appunto legittima la decisione del donante di avvalersi della revocazione.
Neppure incide sulla condivisibilità della costante interpretazione delle norme in esame la diversa lettura che il ricorrente offre dell’art. 804 c.c., volta a sostenere che in realtà il fatto che l’azione di revocazione debba essere proposta entro cinque anni dal giorno della nascita dell’ultimo figlio o discendente legittimo o dalla notizia dell’esistenza del figlio o discendente, ovvero dell’avvenuto riconoscimento del figlio naturale, conforterebbe la tesi della insorgenza di un autonomo diritto alla revocazione in seguito al sopravvenire di ogni discendente, e ciò anche laddove vi fossero già un figlio o un discendente all’epoca della donazione.
Depone in senso contrario la tradizionale lettura della norma che, a mente della dottrina più attenta, deve essere nel senso che quello di cui all’art. 804 c.c. costituisce un termine di decadenza, e non già di prescrizione, e precisamente un termine previsto per l’esercizio di un diritto potestativo, mediante il quale il donante, con una dichiarazione unilaterale, sebbene integrata dal controllo del giudice, toglie efficacia alla donazione, senza la necessità di alcuna condotta da parte del donatario.
La previsione, in riferimento alla decorrenza del termine nell’ipotesi di sopravvenienza di altri figli o discendenti, va intesa nel senso che il termine de quo si riapra di volta in volta, e ciò anche laddove l’azione si fosse già estinta per il decorso del termine quinquennale dal sopravvenire del precedente discendente, di guisa che la donazione raggiunge la sua irrevocabilità soltanto con la morte del donante.
Ma la disposizione non appare però incompatibile con il presupposto fondante l’azione de qua, costituito dalla totale assenza di figli o discendenti alla data della donazione, ben potendosi giustificare la riapertura del termine con l’esigenza di tenere conto delle modificazioni determinate, sia sotto l’aspetto patrimoniale sia dal punto di vista affettivo, dalle successive nascite (trattasi infatti di un’azione di impugnativa contrattuale).
L’inidoneità delle critiche mosse dal ricorrente all’esegesi delle norme in tema di revocazione delle donazioni per sopravvenienza di figli, fondate essenzialmente sull’erronea individuazione dell’oggetto della tutela da parte del legislatore (l’interesse immediato dei figli, anziché, come deve correttamente ritenersi, l’interesse del donante ad una rimeditazione delle proprie scelte dispositive) rende evidente che la previsione di cui all’art. 804 c.c. si ponga come strumento volto a rafforzare la tutela già accordata dalla legge, senza invece deporre necessariamente per la diversa lettura auspicata.
Peraltro il pericolo che la donazione effettuata dal donante allorquando era privo di figli, resti esposta, anche dopo il sopravvenire di un primo discendente, al rischio della revocazione per tutta la vita del donante (in ragione della possibilità che sopravvengano altri discendenti), così come prospettato nel punto b1) a pag. 10 della memoria di parte ricorrente del 12 novembre 2015, pone un problema di eventuale tutela dell’affidamento del donatario che anche laddove si dubiti della compatibilità con i principi della Costituzione, non si pone nel caso in esame, per la più volte richiamata assenza del presupposto negativo per l’operatività della revocazione ex art. 803 c.c., essendo quindi l’eventuale questione di costituzionalità della norma priva di rilevanza nella fattispecie in esame.
In definitiva, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 803 c.c., in relazione agli artt. 3, 30 e 31 Cost., nella parte in cui la norma subordina la possibilità di revocazione delle donazioni al solo caso in cui il donante non ha o ignori di avere figli o discendenti all’epoca della donazione.
Per l’effetto, avendo la Corte di merito deciso conformemente a quanto previsto dall’art. 803 c.c., il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
4. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controparte che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13

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