L’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’eliminazione delle cause delle immissioni – che rientra tra quelle negatorie, natura reale, a tutela della proprieta’ – deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta ad accertare in via definitiva l’illegittimita’ delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse, e che cumulativamente ad essa puo’ essere introdotta l’azione per la responsabilita’ aquiliana prevista dall’articolo 2043 c.c., per ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni stesse.
In materia di immissioni intollerabili, allorche’ stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c. per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi carico di terzi.
Nel caso di specie ritenuto corretto il comportamento dei proprietari che erano piu’ volte intervenuti presso il conduttore per indurlo a evitare le immissioni fino al punto di chiudere definitivamente il lucernario per impedirne l’uso improprio di fuoriuscita di fumi e di cattivi odori provenienti dalla cucina.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 15 novembre 2016, n. 23245
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27843-2011 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1384/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso (sent. 11125/15) condanna spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 Con atto 27-28.4.2000 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e l’avvocato (OMISSIS), rispettivamente proprietari (i primi tre) e usuario (il quarto) di porzioni di un immobile sito in (OMISSIS), convennero davanti al locale Tribunale i vicini (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) domandando che, previo accertamento dell’intollerabilita’ immissioni acustiche, di fumi e di altre sostanze nocive (protratte ininterrottamente dall'(OMISSIS)) e provenienti dall’immobile di proprieta’ dei convenuti (concesso in locazione e adibito a discoteca dal conduttore), costoro fossero condannati al pagamento, in favore di ciascuno degli attori, della somma di Lire 50.000.000 titolo di danno biologico) altre somme di danaro a titolo di danno morale, ravvisandosi gli estremi dei reati di cui agli articoli 674, 659, 666 e 681 c.p.. Chiesero inoltre la condanna dei convenuti al pagamento di una ulteriore somma a titolo risarcitorio, da accertarsi a mezzo CTU, corrispondente al danno per deprezzamento del loro immobile per effetto delle nocive immissioni, con rivalutazione e interessi su tutte le somme.
I convenuti si opposero alla domanda deducendone l’infondatezza e spiegarono domanda riconvenzionale lamentando una serie di opere che avevano privato i loro immobili di aria, luce e vista gli immobili.
2 La domanda fu respinta dal Tribunale con sentenza n. 52/2004, successivamente confermata – per quanto ancora qui interessa – dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza 1384/11 del 30.3.2011, in base al rilievo della natura aquiliana dell’azione proposta e al fatto che l’accertamento era limitato ad un preciso arco temporale, essendo cessate le immissioni. La Corte da merito ha poi ritenuto che le immissioni riscontrate dal CTU fossero addebitabili al conduttore dei locali e che il dovere di vigilanza spettante al proprietario non puo’ essere inteso come permanente e risolversi cosi’ in una sorta di responsabilita’ oggettiva, ma deve essere valutato in relazione alle circostanze del caso. Ha poi rilevato che i proprietari erano piu’ volte intervenuti per indurre il conduttore a evitare le immissioni.
3 Contro tale pronuncia i (OMISSIS) e l’avvocato (OMISSIS) (quest’ultimo in proprio e quale erede di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio di merito) hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, a cui resistono con controricorso i (OMISSIS) e il (OMISSIS).
I ricorrenti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. e documenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1-1 Col primo motivo si denunzia la nullita’ della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.c. anche in relazione agli articoli 132 e 156 etc. c.p.c.: sostengono i ricorrenti che la Corte di merito, per una evidente svista, non avrebbe neppure sfiorato il primo dei motivi di appello con cui si lamentava l’omessa pronuncia sulla prima e principale “domanda reale di inibitoria delle intollerabili immissioni”, da inquadrare nello schema della negatoria servitutis di cui all’articolo 949 c.c., essendosi pronunciata sulla sola domanda “obbligatoria” relativa a indennizzo-risarcimento.
Lamentano altresi’ l’omessa pronuncia sull’indennizzo “immobiliare”, anch’esso di natura reale, spettante per il diminuito valore del cespite.
1-2 Col secondo motivo denunziano la violazione dell’articolo 949 c.c. in relazione all’articolo 844 e agli articoli 31 e 33 c.p.c. nonche’ violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c.. Secondo la tesi dei ricorrenti, la Corte d’Appello non avrebbe risposto ad alcuno degli argomenti dello specifico motivo di appello che si appuntava alla mancata considerazione del rapporto oggettivo tra le due azioni esperite dagli attori. Ci si duole altresi’ del mancato riconoscimento della responsabilita’ per culpa in vigilando, desumibile anche dal comportamento processuale dei convenuti.
1-3 Col terzo ed ultimo motivo infine si denunzia omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Osservano i ricorrenti che la motivazione e’ solo apparente, come dimostra peraltro l’uso delle locuzioni “non sembra “non pare” e la mancata risposta agli argomenti prospettati nei sei sub-motivi di appello, avendo la Corte di merito limitato la propria risposta ai limiti di vigilanza del proprietario del fondo. Ritengono irrilevante la avvenuta cessazione delle immissioni dopo la notifica della citazione, dovendosi ritenere la attualita’ e potenzialita’ delle immissioni stesse nonche’ la responsabilita’ dei proprietari congelata alla data di notificazione dell’atto introduttivo. Si dolgono dell’esonero di responsabilita’ dei convenuti fondato sulla ritenuta disponibilita’ degli impianti da parte del conduttore e rimproverano alla Corte d’Appello di avere sottovalutato l’inerzia dei proprietari e la loro diretta immissione nella gestione loro dire, ne avrebbe comportato la responsabilita’. Si soffermano poi a censurare anche le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado.
2 Questi tre motivi, che ben possono essere accorpati nell’esame devoluto al Collegio – sono infondati.
Va chiarito subito che con il ricorso per cassazione non possono essere proposte, e vanno, quindi, dichiarate inammissibili, le censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado (Sez. L, Sentenza n. 6733 del 21/03/2014 Rv. 630084; Sez. L, Sentenza n. 5637 del 15/03/2006 Rv. 587584): le censure contenute nel terzo motivo e direttamente rivolte alla sentenza del Tribunale, esulano pertanto dal presente giudizio.
Cio’ premesso, e passando alle critiche rivolte direttamente ai giudici di appello, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di legittimita’ va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poiche’ l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimita’ va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 7932 del 18/05/2012 Rv. 622562; Sez. 1, Sentenza n. 15603 del 07/07/2006 Rv. 592485; Sez. 3, Sentenza n. 16596 del 05/08/2005 Rv. 584751).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Roma non incorsa nel denunziato vizio di omesso esame di domande perche’ dopo avere elencato, tra i motivi di appello, quello riguardante “l’omessa pronuncia sulla prima e principale domanda di declaratoria della intollerabilita’ delle immissioni, di carattere reale proposta ai sensi del combinato disposto degli articoli 844 e 949 pag. 3) si e’ poi confrontata con tale censura osservando, da una parte, che il primo giudice si era pronunciato sulla intollerabilita’ delle pur cessate immissioni, ritenendola sussistente sulla base e nei limiti dell’accertamento tecnico preventivo; e, dall’altra, che nella fattispecie non “sembra essere stata proposta una domanda avente carattere di realita’, intesa, cioe’ a conseguire l’eliminazione delle cause delle immissioni volta a fare accertare in via definitiva l’illegittimita’ delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare ma solo una domanda di risarcimento per responsabilita’ aquiliana sulla base dell’accertamento di una pregressa illecita attivita’ di immissione e cio’ non solo perche’ tale accertamento era limitato preciso periodo di tempo (dall'(OMISSIS)) ma anche perche’ le immissioni erano cessate e non pare che i convenuti abbiano eccepito un qualsiasi loro diritto a produrle per il passato e a proseguirle per il futuro)” pag. 5).
Come appare evidente, una argomentata risposta alla doglianza vi e’ stata (soddisfacente o meno che sia, rispetto alle aspettative degli appellanti) ed allora il problema si sposta sul piano dell’interpretazione della domanda giudiziale avanzata dagli attori, ma su tale tematica, in applicazione dell’esposto principio di diritto, la critica non coglie nel segno perche’ la motivazione si rivela priva di vizi logici oltre che giuridicamente corretta: come puntualizzato dalle sezioni unite nel 2013, l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’eliminazione delle cause delle immissioni – che rientra tra quelle negatorie, natura reale, a tutela della proprieta’ – deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta ad accertare in via definitiva l’illegittimita’ delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse Sez. U, Sentenza n. 4848 del 27/02/2013 Rv. 625170, meglio in motivazione nella trattazione del terzo motivo, nonche’ Sez. 2, Sentenza n. 2598 del 23/03/1996 Rv. 496547), e che cumulativamente ad essa puo’ essere introdotta l’azione per la responsabilita’ aquiliana prevista dall’articolo 2043 c.c., per ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni stesse (Cass. S.U. 15-10-1998 n. 10186; Cass. 2-6-2000 n. 7420).
Nel caso in esame, la Corte di merito, come si e’ visto, con tipico apprezzamento in fatto (partendo proprio dalla assenza di una richiesta di eliminazione delle cause delle immissioni e di esecuzione di modifiche strutturali del bene, cioe’ dall’assenza di quegli elementi caratterizzanti l’azione reale cosi’ come delineata dalle sezioni unite), ha escluso la proposizione di una domanda di natura reale, inquadrandola invece nel diverso alveo personale meramente risarcitorio d’altro canto, il ricorso, nella lunga esposizione, pecca di difetto di autosufficienza perche’ omette di riportare proprio il dato decisivo nel presente giudizio, cioe’ l’esatto contenuto dell’atto di citazione davanti al Tribunale di Rieti, limitandosi a riportarne solo conclusioni e a dare per scontato cio’ che scontato non e’ affatto, cioe’ la proposizione di una azione di natura reale.
Piuttosto, dalla lettura dell’atto di citazione dell’aprile 2000 (che la Corte Cassazione e’ certamente abilitata a compiere in considerazione del vizio procedurale dedotto col primo motivo) risulta chiaramente che gli attori proposero un’azione personale di risarcimento danni (biologici, morali e per deprezzamento commerciale del bene: v. punti 2 e ss e/ conclusioni atto introduttivo), addebitando ai proprietari una omessa vigilanza e custodia pagg. 5 e 6) sui locali concessi in locazione dai quali provenivano le immissioni ormai cessate e di cui chiedevano unicamente l’accertamento della intollerabilita’ per il pregresso periodo (“dall'(OMISSIS) ad oggi”: v. punto 1 delle conclusioni).
La motivazione della Corte d’Appello appare dunque corretta.
Venendo al dedotto vizio di motivazione, secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite, la deduzione di un tale vizio della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorieta’ della medesima, puo’ legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).
Nel caso di specie, come si e’ visto, tali ipotesi estreme non e’ dato riscontrare, e dunque la decisione non e’ censurabile neppure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (aggiungendosi che l’espressioni “sembra” e “pare” non assumono alcun rilievo decisivo nell’economia generale del ragionamento dei giudici di appello sicche’ non si giustifica il rilevantissimo peso ad esse attribuito dai ricorrenti per demolire le argomentazioni della Corte distrettuale).
Stesse osservazioni valgono per le critiche sul mancato riconoscimento dell’indennizzo per deprezzamento dell’immobile (in citazione, si legge testualmente “risarcimento del danno al diritto di proprieta’ in considerazione del deprezzamento commerciale del bene nonche’ per le immissioni moleste”: v. punto 7 conclusioni) e sul mancato riconoscimento di un danno da cose in custodia per culpa in vigilando (secondo motivo di ricorso), critiche infondate in diritto e consistenti in una rivisitazione di tipici accertamenti in fatto, quindi prive di fondamento, avendo peraltro la Corte di merito verificato che le immissioni (derivanti da improprio uso del lucernario e malfunzionamento dell’impianto di filtraggio) erano ascrivibili al conduttore, affermando che al proprietario non puo’ richiedersi una vigilanza permanente tale da imporgli continui interventi o da risolversi in responsabilita’ oggettiva, ma tale vigilanza va valutata in relazione alle circostanze del caso. La Corte di merito ha aggiunto in proposito – sempre con apprezzamento in fatto qui non sindacabile – che i proprietari erano piu’ volte intervenuti presso il conduttore per indurlo a evitare le immissioni fino al punto di chiudere definitivamente il lucernario per impedirne l’uso improprio di fuoriuscita di fumi e di cattivi odori provenienti dalla cucina pag. 6 sentenza). Al riguardo e’ il caso di ricordare che in materia di immissioni intollerabili, allorche’ stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c. per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi carico di terzi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 11125 del 28/05/2015 Rv. 635612).
In conclusione, il ricorso, totalmente infondato e per un verso anche privo di autosufficienza (per avere omesso di indicare, come gia’ detto, l’esatta impostazione dell’atto di citazione, assolutamente determinante per la soluzione della questione devoluta alla Corte di Cassazione), va respinto con addebito delle ulteriori spese relative al giudizio di legittimita’ a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge
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