Nel contratto di locazione e in caso di inadempimento da parte del conduttore, il locatore – in presenza di una pattuizione per una parte fatta in nero – non può pretendere che le venga restituito anche ciò che resta fuori dal contratto ufficiale
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Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 11 ottobre 2016, n. 20395
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21979/2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1563/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato nel settembre 2008, (OMISSIS) intimo’ sfratto per morosita’ a (OMISSIS), in relazione a porzioni immobiliari che assumeva di avere ad essa locato con contratto verbale del (OMISSIS), lamentando che la conduttrice non aveva versato il canone dal (OMISSIS).
L’intimata si oppose alla convalida e propose domanda riconvenzionale per la restituzione di quanto aveva indebitamente versato dal (OMISSIS) a titolo di importi aggiuntivi rispetto al canone previsto da una scrittura privata del (OMISSIS).
Il Tribunale di Lodi pronuncio’ sentenza non definitiva (n. 90/10) con cui ritenne non provata la conclusione del contratto verbale (atteso che le porzioni che si assumevano oggetto di tale contratto costituivano pertinenze delle porzioni locate con la scrittura privata ed erano – quindi – in essa, comprese); disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari del complesso ( (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), il Tribunale pronuncio’ sentenza definitiva (n. 1162/10) con cui rigetto’ la domanda del (OMISSIS) e lo condanno’, unitamente agli altri comproprietari, a restituire alla (OMISSIS) la somma di oltre 29.267,00 Euro.
Pronunciando sul gravame proposto avverso entrambe le sentenze, la Corte di Appello di Milano ha revocato la condanna nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (in quanto risultati non comproprietari dell’immobile) ed ha confermato, per il resto, le pronunzie di primo grado.
Ricorrono per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), affidandosi a tre motivi; resiste la (OMISSIS) a mezzo di controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo (che deduce 1a violazione dell’articolo 112 c.p.c.), i ricorrenti censurano la Corte per avere omesso di pronunciarsi sull’impugnazione proposta avverso la sentenza n. 90/2010 e assumono che i motivi di impugnativa riferiti a tale sentenza “non sono stati oggetto del benche’ minimo vaglio avendo la Corte di merito omesso la necessaria e ineludibile statuizione richiesta e cio’ sia nel dispositivo che nella parte motiva”.
1.1. Il motivo e’ infondato.
Sebbene in modo assai sintetico, la Corte ha mostrato di avere esaminato la sentenza, dando atto di essa nello “svolgimento del processo” e dichiarando – in motivazione – che “per tutto il resto”, e quindi anche in relazione alla prima sentenza, l’appello era infondato.
Per di piu’, la Corte ha specificamente esaminato i profili evidenziati nel motivo di appello 2.2. (concernente proprio la sentenza parziale e trascritto in ricorso), laddove – a pag. 3 – ha dato atto delle deduzioni degli appellanti circa il fatto che l’effettivo canone pattuito era “stato provato, sia documentalmente sia testimonialmente, ed anche in virtu’ delle dichiarazioni rese” dalla (OMISSIS) “in sede di interpello”.
2. Il secondo motivo (che deduce la violazione degli articoli 2033 e 2697 c.c. e della L. n. 392 del 1978, articolo 79) censura la Corte perche’, dopo avere respinto la domanda di risoluzione del contratto verbale (avente ad oggetto – secondo la prospettazione attorea – due box, due magazzini e un cortile in terra battuta) sul rilievo che l’intero compendio immobiliare era ricompreso nel contratto di locazione del (OMISSIS) e nella successiva scrittura del (OMISSIS), non aveva ritenuto comunque operante la pattuizione circa il canone complessivo (concordato in misura doppia rispetto a quello risultante dalla scrittura privata); evidenziano che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la pattuizione di un canone maggiore di quello dichiarato a fini fiscali non incorre nella sanzione di nullita’ di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 79, dovendo avere effetto fra le parti il negozio dissimulato, e che, “di contro nessun elemento di qualsivoglia valenza probante e’ stato offerto in giudizio per supportare l’assunto che il c.d. canone extra sia stato “imposto” dalla figlia del locatore per consentire l’esercizio dell’attivita’ commerciale e non quale corrispettivo del godimento del compendio locato”.
2.1. Col terzo motivo (che deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., n. 4, degli articoli 2730 e 2697 c.c. e della L. n. 392 del 1978, articolo 79), i ricorrenti si dolgono che la Corte abbia affermato che l’integrazione mensile del canone ufficiale costituiva una dazione di denaro non giustificata dal sinallagma negoziale e, in quanto tale, era da considerare “priva di una causa giustificatrice sotto il profilo economico sociale”; evidenziano che gli elementi istruttori raccolti (compresa la dichiarazione confessarla della (OMISSIS)) deponevano nel senso che le parti si erano accordate per la corresponsione di un canone doppio di quello risultante dalla scrittura (da corrispondere – per meta’ – “in nero”) ed assumono che la Corte avrebbe dovuto dichiarare dovuto il canone effettivamente pattuito e non il minor importo risultante dal contratto scritto.
2.2. I motivi sono – a tacer d’altro – inammissibili, essendo volti a sostenere la tesi che il doppio canone era comunque dovuto in quanto voluto dalle parti per effetto di un accordo simulatorio che non incideva sulla efficacia del contratto dissimulato (ancorche’ non regolare sotto il profilo fiscale), che e’ tuttavia estranea all’oggetto originario della controversia.
Deve considerarsi – infatti – che tale tesi presuppone l’affermazione della unicita’ del contratto, che e’ invece esclusa espressamente sia nell’atto introduttivo che nell’atto di appello (come riprodotto in ricorso), in cui la parte locatrice ha agito unicamente per la risoluzione di un contratto verbale distinto (e diverso per oggetto) rispetto a quello scritto; di talche’ i due motivi tendono – inamissibilmente – a modificare l’originario thema decidendum, pretendendo di recuperare il canone “verbale” sulla base di una prospettazione del rapporto diversa da quella iniziale (cui era estraneo il tema dell’inadempimento del contratto scritto); ne’ gli odierni ricorrenti hanno provato di avere idoneamente e tempestivamente modificato la domanda proponendo una richiesta di risoluzione del contratto scritto e di accertamento della spettanza dell’intero canone concordato (non essendo a cio’ sufficiente l’affermazione di avere dedotto, con memoria integrativa ex articolo 426 c.p.c., che, anche a voler ravvisare un unico contratto per tutti gli immobili locati, “il canone dovuto dalla conduttrice e’ comunque quello pattuito, e non il minor importo risultante dal contratto scritto”).
3. Le spese di lite seguono la soccombenza.
4. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna ricorrenti, in solido, a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso delle spese forfetarie e accessori di legge.
Al sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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