Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza del 6 maggio 2014, n. 9730
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8006/2012 proposto da:
ALFA S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ALFA S.R.L., in persona del Curatore Dott. M.M., domiciliata
in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FOGGIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 139/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 20/02/2012;
Svolgimento del processo
La ALFA s.r.l. proponeva reclamo a norma della L. Fall., art. 18, avverso la sentenza depositata il26 luglio 2011 con la quale il Tribunale di Foggia, dopo che con Decreto 22 giugno 2011 (avverso il quale era stato proposto distinto reclamo poi rigettato dalla Corte d’appello) aveva dichiaratoinammissibile il concordato preventivo proposto dalla società stessa, ne aveva dichiarato, surichiesta del Pubblico Ministero, il fallimento.
La reclamante lamentava la violazione della L. Fall., art. 15, in quanto la dichiarazione di fallimento era stata emessa senza una previa audizione di essa debitrice.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 139/12 resa pubblica il 20 febbraio 2012, rigettava il reclamo ritenendo non necessaria una nuova convocazione della società in apposita udienza camerale, dopo il rigetto della proposta concordataria e in vista di una possibile richiesta del P.M. a seguito della prescritta trasmissione degli atti, della quale il debitore è informato.
Avverso tale sentenza la Alfa s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, cui resiste la Curatela del fallimento Alfa s.r.l. con controricorso, illustrato anche da memoria. L’intimato Pubblico Ministero presso il Tribunale di Foggia non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di cui al combinato disposto della L. Fall., art. 162, comma 2 e art. 15, addebitandosi alla Corte d’appello di aver escluso la violazione del diritto di difesa della debitrice pur avendo omesso il Tribunale di convocarla in camera di consiglio per interloquire specificatamente in ordine alla richiesta di fallimento espressa dal P.M..
La doglianza è priva di fondamento.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare più volte (cfr. Sez. 1 n. 13817/11; n. 18546/13; n. 2130/14) come, a conclusione del procedimento di revoca della ammissione al concordato preventivo, la sentenza di fallimento possa essere emessa, sussistendone i presupposti processuali e sostanziali, senza ulteriori adempimenti procedurali. Tale assunto, riferito al disposto della L. Fall., art. 173, che pure prescrive espressamente il rispetto delle forme di cui alla L. Fall., art. 15, ancor più si giustifica in relazione alla ipotesi – qui ricorrente – disciplinata dalla L. Fall., art. 162, che non contiene (neppure nel testo modificato con il D.Lgs. n. 169 del 2007, qui da applicare) tale espresso Centrale invero appare il rilievo, valevole per entrambe le ipotesi suddette, che il sub-procedimento diretto alla declaratoria del fallimento si apre nell’ambito di una procedura unitaria nella quale il debitore ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale, il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento deve essergli noto sin dal momento della proposizione della domanda di concordato, ed ancor più dopo aver preso conoscenza dell’emissione del decreto con cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta e trasmette gli atti al P.M.. In tale contesto – come condivisibilmente si osserva nella sentenza impugnata – la mancanza di una apposita istruttoria prefallimentare non preclude di per sè al debitore l’espletamento dei mezzi di difesa più adeguati al caso, tenuto conto delle esigenze proprie dei procedimenti concorsuali (presentazione di memorie, istanze di convocazione personale e simili), per contrastare l’eventuale richiesta di fallimento. Vero è che il P.M. potrebbe addurre, in sede di richiesta, elementi ulteriori rispetto a quelli già acquisiti al procedimento, a dimostrazione dello stato di insolvenza.
Tuttavia non è la astratta possibilità, bensì solo il concreto apporto di tali elementi ulteriori, a giustificare la necessità di costituire il contraddittorio al riguardo (cfr. Cass. Sez. 1 n. 22089/13): il reclamo che, come nella specie, si limiti a denunciare la violazione del diritto di difesa senza specificare gli eventuali elementi ulteriori dei quali il tribunale abbia tenuto conto non merita dunque accoglimento.
Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controparte costituita, che si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di
Cassazione, il 7 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2014
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