Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 21 marzo 2014, n. 6754
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10 marzo 2010 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza in data 20 luglio 2005 con la quale il Tribunale della stessa città, pronunziando la separazione personale dei coniugi D.E. e P.A. , aveva determinato in Euro 800,00, a decorrere dall’aprile del 2005, l’assegno dovuto dal primo alla seconda. In particolare, e per quanto ancora interessa, la Corte di appello rigettava la richiesta del D. di sospendere il processo, in attesa della delibazione della sentenza ecclesiastica che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario tra le parti, affermando che non sussisteva tra le cause un rapporto di pregiudizialità, atteso che il matrimonio, ancorché impugnato, continua a produrre i suoi effetti in pendenza del giudizio di nullità.
D.E. propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. P.A. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 295 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale, innanzi alla quale pendeva oltre al giudizio di appello anche quello di delibazione della sentenza ecclesiastica, erroneamente aveva rigettato la richiesta di sospensione del primo giudizio, considerato che la sospensione, da un lato, non avrebbe sospeso le obbligazioni economiche derivanti dalla sentenza di separazione impugnata e, dall’altro, avrebbe consentito di evitare una contraddizione tra la sentenza delibativa della nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico, cui conseguiva l’ablazione di ogni obbligazione maritale di ordine economico, e la sentenza impugnata, pubblicata successivamente, che aveva confermato l’assegno di mantenimento a carico del marito.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 143 ss. c.c., lamentando che erroneamente la sentenza impugnata, nel motivare il rigetto della richiesta di sospensione, aveva affermato che la sentenza delibativa della sentenza ecclesiastica non avrebbe esaurito i rapporti economici tra le parti, essendo necessario un ulteriore procedimento “per l’accertamento del venir meno, per effetto di tale declaratoria, degli obblighi di contenuto economico derivanti dalla sentenza di separazione”, contraddicendo così il principio secondo cui la declaratoria di nullità del matrimonio ha una efficacia ablativa ex se dei conseguenti obblighi economici.
Con il terzo motivo si deduce la contraddittorietà tra la sentenza impugnata, confermativa della misura dell’assegno di mantenimento, e la sentenza delibativa del provvedimento ecclesiastico.
Il primo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati. La Corte di appello, rigettando la richiesta di sospensione del processo, ha esattamente applicato alla pendenza del giudizio di delibazione il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “tra il giudizio relativo alla nullità del matrimonio civile o concordatario (ovvero concernente la nullità della relativa trascrizione), e quello riguardante la separazione personale tra i coniugi (ovvero avente ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, atteso che trattasi di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi e che, anche in pendenza del giudizio di nullità, i coniugi continuano ad essere trattati dalla legge come tali, seguitando il matrimonio, ancorché impugnato, a produrre i suoi effetti” (e plurimis Cass. s.u. 4 ottobre 1974, n. 2602; Cass. 9 giugno 2000, n. 7865; Cass. 19 settembre 2001, n. 11751; Cass. 10 dicembre 2010, n. 24990). Invero, tale principio spiega i suoi effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di delibazione; solo in tale momento, infatti, la declaratoria di nullità acquista efficacia nell’ordinamento nazionale (Cass. 12 gennaio 1981, n. 259) e vengono meno gli obblighi economici a carico dei coniugi in virtù di un matrimonio che sino a quel momento continua a produrre i suoi effetti (art. 128, primo comma, e. e, in tema di matrimonio putativo, la cui disciplina è richiamata dall’art. 18 della legge n. 847 del 1929). Ne consegue che la pendenza del giudizio di delibazione non è relativa, ad “una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa” (art. 295 c.p.c.) e che, prima del passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio, non sussiste alcuna possibilità di contraddizione tra detta sentenza e quella che determina l’assegno di mantenimento in sede di separazione.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto non attiene al decisum e rappresenta un mero obiter dictum l’affermazione della sentenza impugnata circa la necessità di altro giudizio per accertare, a seguito della delibazione della sentenza ecclesiastica, il venire meno degli obblighi di contenuto economico derivanti dalla sentenza di separazione. Nulla sulle spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 196/03.
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