cassazione

Suprema CORTE DI CASSAZIONE

sezione III

SENTENZA 19 marzo 2014, n. 6337

 

Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce ‘violazione di legge – art. 653 c.p.c. art. 2909 c.c.’.
Vi si sostiene: che, una volta proposta opposizione al decreto ingiuntivo dell’8 novembre 1995, notificato il 16 novembre 1995, il Comune ricorrente, dopo uno storno da parte della creditrice della fattura posta a base del decreto e l’emissione di due nuove fatture, aveva eseguito il pagamento in due soluzioni nel giugno 1996, emettendo i relativi mandati di pagamento; che la creditrice non aveva, però, abbandonato il giudizio ed anzi, senza far constare al giudice dell’opposizione il pagamento ed in una situazione in cui il difensore del Comune aveva rinunciato al suo ministero difensionale, in data 21 gennaio 1999 aveva anzi chiesto ed ottenuto la concessione della provvisoria esecutività, sulla base della quale aveva poi precettato il pagamento della somma ingiunta nel decreto; che successivamente l’opposizione al decreto era stata dichiarata inammissibile per difetto del jus postulandi del difensore comunale e la controparte aveva dato corso all’esecuzione sulla base della concessione della provvisoria esecutività.
Sulla base di questo svolgimento della vicenda il ricorrente argomenta, quindi, che, poiché la pronuncia di rigetto dell’opposizione non si sostituisce come titolo esecutivo al decreto, giusta l’art. 653 c.p.c. e, nella specie, l’opposizione era stata dichiarata inammissibile, il decreto stesso sarebbe stato da considerarsi come non opposto e, dunque, il giudicato si sarebbe formato alla data della sua pronuncia o al più al momento in cui era scaduto il termine per la proposizione dell’opposizione, onde i pagamenti effettuati, in quanto avvenuti dopo quel momento non si sarebbero potuti considerare da esso coperti, al contrario di quanto hanno ritenuto sia il primo che il secondo giudice, e si sarebbero potuti dedurre con l’opposizione all’esecuzione. Ciò non diversamente da quanto sarebbe accaduto se essi fossero stati eseguiti dopo la definitività del decreto per mancanza di opposizione.
Viceversa, la sentenza impugnata, pur avendo riconosciuto la verificazione dei detti pagamenti ha rifiutato di dare loro rilievo reputando di applicare il principio per cui con l’opposizione all’esecuzione non possono farsi valere i fatti anteriori alla formazione del titolo, così sostanzialmente identificando la formazione del titolo posto a base dell’esecuzione con il momento della pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità dell’opposizione.
p.2. Il motivo è fondato, anche se sulla base di un percorso in iure, che la Corte può compiere nell’ambito del suo potere di individuare l’esatto diritto applicabile in relazione alla questione proposta dal motivo.
In proposito viene in rilievo il seguente principio di diritto: “In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell’art. 384 cod. proc. civ. (là dove consente la salvezza dell’assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso), deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto”. (Cass. n. 19132 del 2005; n. 6935 del 2007; n. 20328 del 2006; n. 24183 del 2006; n. 4994 del 2008; n. 10841 del 2011).
p.2.1. Va premesso innanzitutto che, quando un’opposizione a decreto ingiuntivo viene dichiarata inammissibile la formazione della cosa giudicata in senso formale e, quindi, l’effetto preclusivo della possibilità di mettere ulteriormente in discussione la situazione giuridica riconosciuta dal decreto ingiuntivo, si verifica allorquando la relativa sentenza passa in cosa giudicata, non è cioè più impugnabile con i mezzi ordinali.
Problema distinto è, invece, ricostruire l’oggetto di tale effetto preclusivo particolarmente riguardo ai suoi riferimenti temporali, cioè rispetto alle vicende del credito riconosciuto nel decreto ingiuntivo che diventano irretrattabili. Cioè, in definitiva, individuare l’ambito temporale con riguardo al quale il modo di essere della situazione creditoria risulta accertato.
p.2.2. Una prima risposta a tale problema potrebbe essere data facendo coincidere tale momento temporale con quello della formazione della cosa giudicata formale.
Una simile risposta potrebbe apparire giustificata per la ragione che, essendo stata la situazione creditoria dedotta nel giudizio di opposizione, tutte le vicende che l’hanno riguardata dovevano esservi dedotte e, dunque, l’esito dell’opposizione, pur nel senso della sua inammissibilità e, quindi, di una pronuncia di rito, definirebbe la vicenda con riguardo ad esse e, dunque, tanto se siano state, quanto se non siano state dedotte, purché esse si collochino prima della formazione del giudicato formale. Con la conseguenza che per tutte non sarebbe più possibile prospettarle nuovamente per mettere in discussione la situazione creditoria.
Nessuna rilevanza avrebbe la circostanza che l’accertamento espresso nella pronuncia che definisce l’opposizione sia in realtà una pronuncia di rito, qual è quella che ha dichiarato inammissibile l’opposizione, come, ad esempio, per la sua tardività oppure, come accaduto nella specie, per essersi ravvisata una ragione di sua nullità per difetto di procura alle liti e, quindi, la conseguenza della inammissibilità in via derivata.
p.2.2. Una seconda risposta, viceversa, potrebbe darsi invece valorizzando, agli effetti della individuazione dell’oggetto del giudicato sostanziale sulla situazione giuridica sotto il profilo temporale e, quindi, del modo di essere in cui essa risulti accertata per effetto dell’inammissibilità dell’opposizione, la natura in rito della pronuncia di inammissibilità dell’opposizione.
Cioè rilevando che essa si limita ad attestare che l’esercizio del potere di contestare l’accertamento sommario contenuto nel decreto ingiuntivo, che, necessariamente era riferito al momento della pronuncia da parte del giudice del decreto, non è avvenuto nell’unico modo consentito dall’ordinamento.
Ne seguirebbe che l’oggetto del giudicato sostanziale sotto il profilo temporale dovrebbe essere limitato al momento della pronuncia del decreto, con la conseguente possibilità che, nonostante il passaggio in cosa giudicata formale della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, resterebbero deducibili da parte del debitore i fatti estintivi, modificativi od impeditivi del modo di essere dei fatti costitutivi della situazione creditoria, che si fossero eventualmente verificati dopo la pronuncia del decreto ingiuntivo. Salvo individuare la sede in ci la deduzione possa avvenire.
p.2.3. Si tratta di individuare quale sia la soluzione corretta, se la prima o la seconda.
In termini meramente descrittivi, è certamente vero in primo luogo che la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, definendo l’opposizione stessa per una ragione di rito che accerta che come rimedio essa non è stata ritualmente esperita, comporta che il giudice dell’opposizione accerti che non è stato messo in discussione l’accertamento del credito avvenuto inaudita parte con il decreto, in quanto il mezzo di impugnazione con cui lo si poteva fare è stato proposto in modo inammissibile.
È anche certamente vero che detta declaratoria si risolve nella preclusione dell’esame delle ragioni poste a fondamento dell’opposizione, fra le quali, evidentemente, vi possono essere sia i fatti che esistevano già al momento della pronuncia del decreto stesso (e che la mancanza del contraddittorio ha impedito fossero fatti constare al giudice richiesto di pronunciare il decreto), sia i fatti sopravvenuti dopo di essa e fino alla scadenza del termine per l’opposizione.
Questione diversa è, però, se detta preclusione impedisca per gli uni e per gli altri la possibilità di ottenerne l’esame in altra sede, eventualmente facendoli valere con l’opposizione all’esecuzione iniziata sulla base del decreto.
p.2.4. Ora, non è certamente dubitabile che, risolvendosi la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione nella sanzione del mancato esercizio del potere riconosciuto dall’ordinamento di reagire contro il decreto e nella conseguenza della formazione della cosa giudicata sul decreto, poiché l’oggetto del giudizio espresso nel decreto è il riconoscimento dell’esistenza della ragione creditoria al momento della pronuncia del decreto stesso, risulterà impedito dalla cosa giudicata la possibilità di porre in discussione altrove e, quindi, anche con l’opposizione all’esecuzione introdotta sulla base del decreto, l’esistenza della ragione creditoria sulla base di fatti che, esistendo già al momento della pronuncia del decreto ingiuntivo, dovevano necessariamente essere dedotti con il mezzo di impugnazione prescritto, cioè con l’opposizione.
p.2.5. Rispetto ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi della situazione creditoria riconosciuta nel decreto ingiuntivo che si siano verificati dopo la sua pronuncia e nelle more del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione, è indubbio che quest’ultima, quando viene proposta, dando luogo, pur congiuntamente all’attivazione di un giudizio impugnatorio del decreto (che concerne l’accertamento da esso effettuato al momento della pronuncia), allo svolgimento sulla situazione creditoria fatta valere con il ricorso monitorio di un ordinario processo di cognizione piena con il ripristino delle regole processuali ordinarie (Cass. sez. un. n. 7448 del 1993, nonché dottrina pressoché unanime), costituisce una sede nella quale detti fatti possono ed anzi debbono certamente farsi valere, eventualmente in aggiunta a fatti estintivi, modificativi od impeditivi della fattispecie costitutiva del credito prospettati come esistenti al momento della sua pronuncia e che, dunque, ove fondati, evidenziano l’illegittimità del decreto già al momento della sua emissione.
Viceversa, poiché l’opposizione serve innanzitutto per impugnare il decreto come pronuncia che accerta l’esistenza del credito e contestare l’esistenza del credito in quanto in essa consacrata e, dunque, al momento in cui il decreto è stato pronunciato, non si può ritenere che, ove il debitore ingiunto si trovi nella condizione di non avere ragioni di contestazione del credito con riferimento al momento in cui il decreto è stato emesso, ma ne abbia solo con riferimento a fatti estintivi, modificativi od impeditivi sopravvenuti, l’opposizione sia il mezzo necessario per farli valere se il creditore non concordi sulla loro verificazione.
Per esemplificare: se il debitore, una volta notificatogli il decreto od anche prima della sua notificazione abbia pagato, non è sostenibile che debba proporre l’opposizione al decreto per ottenere che il relativo fatto estintivo sia accertato e deducibile contro l’accertamento contenuto nel decreto.
La ragione è che la deduzione di tale fatto non integra una contestazione del decreto e, dunque, non giustifica l’opposizione come mezzo previsto per la sua impugnazione, ma suppone che il decreto fosse stato giustamente emesso al momento in cui è stato pronunciato.
Ne segue che il debitore non sarà onerato dell’opposizione ove abbia da far valere solo detti fatti, atteso che costringerlo a proporla non solo significherebbe imporgli un onere di proposizione dell’opposizione senza che vi abbia interesse, allorquando il creditore non contesti in alcun modo che la situazione sia stata definita nelle more della pendenza del termine per l’opposizione.
p.2.6. Bisogna invece domandarsi come il debitore, in presenza della verificazione di fatti estintivi, modificativi od impeditivi successivi alla pronuncia del decreto possa e debba reagire, qualora il creditore sollevi contestazioni e lo faccia durante la pendenza del termine per l’opposizione. La stessa domanda va fatta quanto la contestazione viene svolta dopo la scadenza del termine.
Occorre al riguardo distinguere.
p.2.7. Se le contestazioni si sono verificate – caso per la verità difficile, data la ristrettezza del termine per la proposizione dell’opposizione – nelle more della pendenza di tale termine, certamente il potere del debitore di contestare la pretesa del creditore può estrinsecarsi nella proposizione dell’opposizione al decreto, nella quale si potranno dedurre i fatti de quibus. Questa possibilità di utilizzare l’opposizione per dedurre fatti che si sono verificati dopo la sua pronuncia e, dunque, che non hanno carattere impugnatorio di esso, rappresenta una conseguenza necessaria dell’ambito riconosciuto all’opposizione, cioè della sua natura di giudizio nel quale si controverte non solo sulla legittimità della pronuncia del decreto al momento in cui è stata adottato, ma anche sul modo di essere della situazione giuridica successivamente.
Il punto è se l’opposizione sia in tal caso un mezzo necessario.
La risposta dev’essere negativa, perché l’opposizione è costruita dal legislatore anzitutto come mezzo che dev’essere esperito necessariamente dal debitore per contestare l’accertamento sommario consacrato nel decreto e, dunque, è il profilo impugnatorio che rende necessitata la forma dell’agire del debitore in contestazione della situazione creditoria.
Se tale profilo non ricorre l’opposizione diviene solo il mezzo – non necessario – per provocare la cognizione piena, come un normale giudizio di accertamento negativo dell’esistenza o del modo di essere del credito, sulla base dei fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del decreto.
Si deve, quindi, ritenere che il debitore:
a) possa, ma non debba utilizzare l’opposizione per dedurre fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del decreto e nelle more della pendenza del termine per la sua proposizione, qualora essi siano contestati prima della sua scadenza;
b) in alternativa, ove il termine sia scaduto, possa agire con azione di accertamento negativo dell’esistenza del credito deducendo i fatti sopravvenuti de quibus e ciò senza che il creditore possa opporgli il giudicato nascente dalla mancata proposizione dell’opposizione, perché esso impedisce di dedurre i fatti esistenti al momento della pronuncia del decreto, in quanto essi sono incompatibili con l’accertamento in esso contenuto, ormai divenuto irretrattabile;
c) ove il creditore, scaduto il termine per l’opposizione al decreto, manifesti la sua pretesa o minacciando l’esecuzione con il precetto o iniziandola (essendosi fatto dichiarare esecutivo il decreto per mancata opposizione ai sensi dell’art. 647 c.p.c.), il mezzo di reazione del debitore per far valere i fatti successivi alla pronuncia del decreto potrà essere rispettivamente l’opposizione al precetto e l’opposizione all’esecuzione e ciò senza che si possa sostenere che, essendo l’esecuzione minacciata o iniziata in forza di titolo esecutivo giudiziale, contro di essa non possano dedursi come motivi di opposizione ragioni che si sarebbero potute dedurre con l’opposizione: la ragione è che quelle ragioni non si dovevano dedurre con l’opposizione, perché con essa si dovevano dedurre necessariamente ed in defettibilmente solo le ragioni di contestazione del credito consacrato nel decreto esistenti al momento della sua pronuncia.
p.2.8. Si deve per analoghe ragioni reputare che, ove le contestazioni da parte del creditore dei fatti estintivi, modificativi od impeditivi della situazione creditoria accertata nel decreto, verificatisi durante la pendenza del termine per l’opposizione, si siano, poi, avute dopo la scadenza di detto termine, a maggior ragione il debitore potrà reagire contro di esse agendo in azione di accertamento negativo oppure, se il creditore minacci l’esecuzione o la inizi, avendo ottenuto declaratoria di esecutività del decreto ex art. 647 c.p.c., proponendo rispettivamente opposizione al precetto o all’esecuzione e, parimenti, senza che l’efficacia di giudicato del decreto possa precludere di allegare i fatti de quibus: ciò, sempre per la ragione che essi non sono accertati dal decreto e nemmeno vi era interesse a dedurli, cosa peraltro solo facoltativa, con l’opposizione al decreto, giacché le contestazioni del creditore nemmeno si erano verificate.
p.2.9. Va considerata a questo punto l’ipotesi in cui i fatti estintivi, modificativi od impeditivi della situazione creditoria consacrata nel decreto si siano verificati dopo la scadenza del termine per l’opposizione al decreto ingiuntivo e senza che essa sia stata proposta. Anche in questo caso, ove il creditore ne contesti l’efficacia ed azioni il decreto valgono le stesse soluzioni appena indicate. Il debitore potrà agire in accertamento negativo, oppure con le opposizioni esecutive senza che il giudicato formatosi sul decreto possa essere d’ostacolo alla deducibilità di quei fatti.
p.3. L’ipotesi di cui al paragrafo 2.8. va a questo punto esaminata con riferimento al caso in cui l’opposizione sia stata proposta dal debitore, evidentemente per far valere ragioni di contestazione esistenti al momento della pronuncia del decreto o (facoltativamente, come s’è visto, per queste) verificatesi dopo e prima della scadenza del termine per l’opposizione.
Occorre in tal caso considerare che nel caso in cui un’opposizione al decreto ingiuntivo sia stata proposta, il modo e la sede nella quale possono ed anzi debbono farsi valere fatti estintivi, modificativi, o impeditivi del diritto riconosciuto dal decreto ingiuntivo, che si siano verificati dopo la scadenza del termine di proposizione dell’opposizione, diventa necessariamente il giudizio di opposizione.
La proposizione dell’opposizione, infatti, determina l’apertura di un giudizio di cognizione piena sulla pretesa consacrata nel decreto. Poiché in un giudizio su una situazione giuridica i fatti sopravvenuti possono essere dedotti e tra l’altro senza incorrere in preclusioni, i fatti sopravvenuti pendente l’opposizione, riguardando la situazione giuridica creditoria oggetto del giudizio di opposizione ed essendo essa oggetto del detto giudizio non solo siccome consacrata al momento della pronuncia del decreto, ma anche nel suo successivo divenire, compreso quello verificatosi durante il giudizio, si deve ritenere che il giudizio di opposizione, almeno finché pende con la possibilità di allegare i fatti sopravvenuti sia l’unico modo con il quale essi possono farsi valere.
Ciò, è nient’altro che un portato della circostanza che la proposizione dell’opposizione ha determinato una contestazione in giudizio della pretesa consacrata nel titolo e del fatto che, quando una situazione giuridica sostanziale diventa oggetto di discussione in giudizio, la discussione fra le parti la riguarda non solo per quanto attiene ai fatti giuridici ad essa relativi che ne segnavano il modo di essere al momento dell’introduzione del giudizio, ma anche per quel che riguarda quelli che si verifichino con riferimento ad essa nel corso del giudizio. La ragione è che la situazione giuridica è oggetto del giudizio, dell’azione in giudizio, non già siccome cristallizzata al momento dell’inizio dell’azione, ma anche nel suo divenire in corso di esso.
p.3.1. Ne segue che, in pendenza dell’opposizione al decreto, i fatti sopravvenuti alla sua proposizione non possono che farsi valere se non nell’ambito del giudizio di opposizione, restando escluso che il debitore li possa dedurre con altro mezzo e, quindi, con una diversa azione di accertamento negativo o con l’opposizione al precetto o con l’opposizione all’esecuzione. Se si ritenesse altrimenti si consentirebbe al debitore di esercitare lo stesso potere di agire in accertamento negativo due volte, con situazione di litispendenza fra l’opposizione al decreto e l’eventuale azione di accertamento negativo e di continenza rispetto alle opposizioni esecutive (dato che esse hanno anche come petitum l’illegittimità dell’esecuzione minacciata o iniziata). D’altro canto se i fatti si verifichino durante la pendenza dell’opposizione in primo grado, la tutela che con le opposizioni esecutive si potrebbe ottenere in punto di sospensione dell’esecutività del titolo o dell’esecuzione, la si può ottenere ai sensi dell’art. 649 c.p.c.. Il rimedio dell’opposizione all’esecuzione sarà esercitato ove, nonostante la sospensione ex art. 649 c.p.c., il creditore minacci, inizi o prosegua l’esecuzione.
Va considerato che, nel caso l’opposizione sia stata rimessa in decisione oppure penda il termine per l’impugnazione della sentenza che l’ha decisa o l’opposizione si trovi in sede di impugnazione e la sopravvenienza dei fatti si verifichi dopo tali momenti, si può, invece, ammettere che di fronte alla minaccia dell’esecuzione o all’inizio dell’esecuzione sulla base del decreto, il rimedio esperibile siano le opposizioni esecutive al fine di ottenere la sospensione dell’esecutività o dell’esecuzione, dato che i rimedi degli artt. 283 e 373 non sono utilizzabili. E semmai i giudizi oppositivi andranno, poi, sospesi ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c. quanto alla fase a cognizione piena, dato che il diritto di procedere all’esecuzione dipende dall’accertamento che si avrà nel giudizio di opposizione.
p.4. A questo punto ci si deve interrogare sul valore degli esiti del giudizio di opposizione al decreto rispetto ai fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la proposizione dell’opposizione.
L’interrogativo riguarda sia il caso in cui essi siano stati introdotti, sia il caso in cui il debitore abbia omesso di introdurli.
Fermo che, se l’opposizione viene accolta, la situazione è regolata dall’art. 653 c.p.c. e l’ipotesi qui non interessa, occorre domandarsi cosa accada nel caso di rigetto dell’opposizione.
Se l’opposizione viene rigettata con una pronuncia sul merito, cioè che accerti l’esistenza del credito, è palese che l’esistenza del medesimo non potrà essere contestata facendo valere i fatti de quibus altrove (e, quindi, anche con le opposizioni esecutive), tanto se dedotti, quanto se non dedotti nel giudizio di opposizione, perché nel primo caso evidentemente il loro rilievo è stato valutato o, se si è omesso di valutarlo, occorreva reagire, se impugnabile, contro la pronuncia di rigetto, dolendosi dell’omessa pronuncia, mentre nel secondo caso, tenuto contro che i fatti dovevano necessariamente essere allegati nel giudizio di opposizione, il giudicato di rigetto, una volta formatosi, copre il dedotto ed il deducibile (mentre in sede di impugnazione, ove la sentenza venga impugnata, i fatti che non si erano introdotti non possono più dedursi, per l’operare delle preclusioni).
p.4.1. Se l’opposizione viene invece definita con una pronuncia di rito e, dunque, avendo l’opposizione un profilo impugnatorio, con una pronuncia di inammissibilità dell’opposizione, può presentarsi il caso in cui i fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del decreto siano stati non solo dedotti ma anche posti a base di una domanda di accertamento positivo della loro incidenza sul credito, a prescindere dalla ritualità dell’opposizione, in ipotesi contestata dal creditore o dal giudice ufficio.
In tal caso la situazione sarà risolta perché il giudice dell’opposizione che dichiari inammissibile l’opposizione dovrà provvedere su detta domanda, con la conseguenza che avrà luogo una pronuncia di accertamento positivo o negativo dell’esistenza del credito in forza di essi.
p.4.2. Di norma, tuttavia, il debitore opponente si limita ad introdurre i fatti sopravvenuti alla pronuncia del decreto come fatti rilevanti per la decisione sull’opposizione, cioè senza proporre domanda di accertamento del modo di essere della situazione creditoria per il caso di inammissibilità dell’opposizione.
In tal caso il giudice che rilevi l’inammissibilità dell’opposizione si limita a pronunciare su di essa.
Così, se l’opposizione è stata proposta tardivamente oppure (nel regime dell’art. 182 c.p.c. ante riforma della l. n. 69 del 2009) con procura nulla, come nella specie, la pronuncia si limiterà a dichiarare inammissibile l’opposizione, senza esaminare l’esistenza dei fatti estintivi, modificativi od impeditivi sopravvenuti alla pronuncia.
Ebbene, poiché la pronuncia ha natura di rito e si limita a dichiarare che il mezzo di reazione contro il decreto, cioè contro la pronuncia di accertamento del credito effettuata dal giudice che lo emise, non è stato esperito in modo rituale, ciò che diviene incontestabile è l’accertamento del modo di essere della situazione creditoria consacrato nel decreto e, dunque, che il credito era esistente a quel momento.
Il giudicato riguarda, cioè, oltre che la ragione di rito, la situazione di merito, ma in ragione di quanto emergente dalla statuizione di rito.
Poiché la statuizione di inammissibilità dell’opposizione implica che non è stato esercitato ritualmente il potere di impugnare il decreto, l’effetto che consegue è che non potrà essere posto in discussione ciò che dispone il decreto e, dunque, avendo esso accertato la situazione creditoria come esistente al momento della sua pronuncia, l’esistenza del credito a tale momento.
Il giudicato emergente dal decreto non potrà riguardare, pertanto, i fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la sua pronuncia, perché, ancorché essi fossero stati dedotti nel giudizio di opposizione e fossero stati oggetto di accecamento, non sono stati accertati né negativamente né positivamente, essendovi stata pronuncia di rito.
Se si ritenesse altrimenti si attribuirebbe alla pronuncia di rito un’efficacia preclusiva meramente sanzionatoria di un errore in rito che non riguardava l’azione in giudizio riguardo ai fatti sopravvenuti e si avallerebbe un’idea dell’efficacia della pronuncia in rito diversa da quella che regola le pronunce di rito sull’azione esercitata per le vie normali, dove non si dubita che se il processo viene definito con una pronuncia di rito che accerti che fin dall’inizio è stato male introdotto sotto il profilo della legge processuale, il giudicato sulla situazione giuridica sostanziale è insussistente.
Ne segue che la deducibilità dei detti fatti non è coperta dal giudicato derivante dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione al decreto, che preclude al debitore solo di dedurre fatti estintivi, modificativi od impediti esistenti al momento della pronuncia del decreto.
Ne segue ancora che il debitore, a parte la prospettiva di agire in accertamento negativo per ottenere che sia accertata l’estinzione, la modificazione o il venire meno per fatto impeditivo del credito successivamente alla pronuncia del decreto, ove il creditore, conseguita la declaratoria di esecutività ex novo o in forza di una esecutività concessa già nella pendenza dell’opposizione, una volta dichiarata inammissibile l’opposizione e passata in giudicato la relativa decisione, minacci l’esecuzione o la inizi sulla base del decreto ed invocando la declaratoria della sua inammissibilità, il debitore deve ritenersi legittimato a far valere i fatti estintivi, modificativi od impeditivi successivi alla pronuncia del decreto con i rimedi dell’opposizione al precetto e dell’opposizione all’esecuzione. Ciò, in quanto detti fatti non sono in alcun modo coperti dalla combinazione del titolo esecutivo giudiziale rappresentata dal decreto e dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione.
p.4.3. Se si ritenesse altrimenti si precluderebbe al debitore di dedurre tali fatti non già perché coperti dall’accertamento emergente da tale combinazione, che, come s’è veduto riguarda il credito come era stato accertato al momento della pronuncia del decreto e l’inammissibilità dell’opposizione, bensì come ingiustificata sanzione discendente dall’inammissibilità dell’opposizione.
In definitiva verrebbe ad essere sanzionata l’omessa proposizione della domanda di accertamento del loro verificarsi e l’essere stati essi dedotti solo come eccezioni per resistere alla pretesa creditoria di cui al decreto, ancorché non esaminata nel merito.
Il che sarebbe del tutto ingiustificato, specie qualora l’irritualità dell’opposizione (per tardività o per difetto di procura) fosse incontestabile.
p.5. Il principio di diritto che in base alle complessive considerazioni svolte allora si deve affermare è il seguente: “qualora nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo vengano introdotti con l’opposizione fatti estintivi, modificativi od impeditivi dell’esistenza del credito di cui al decreto verificatisi dopo la sua pronuncia e prima della scadenza del termine per l’opposizione oppure qualora nel corso del giudizio di opposizione vengano introdotti fatti di quella natura verificatisi dopo la proposizione dell’opposizione, nell’ipotesi in cui il debitore non abbia formulato domanda di accertamento della verificazione dei detti fatti (nella quale su di essa vi dovrà essere pronuncia), la pronuncia di inammissibilità dell’opposizione per ragioni di rito, come la tardività o il difetto di procura (nel regime anteriore alla l. n. 69 del 2009), una volta passata in cosa giudicata, non preclude la possibilità di dedurre quei fatti o con azione di accertamento negativo o, se sia minacciata o iniziata l’esecuzione sulla base del decreto, rispettivamente con l’opposizione al precetto e con l’opposizione all’esecuzione”.
La stessa conseguenza, rileva il Collegio, si verifica se, nella descritta situazione, il giudizio di opposizione viene dichiarato estinto, perché l’effetto estintivo riguarda l’opposizione al decreto in quanto ha accertato il credito al momento della sua pronuncia e, per quanto attiene alla prospettazione dei fatti concernenti al situazione giuridica nel corso del processo, esso non estingue il potere di azione.
p.6. Le svolte considerazioni evidenziano a questo punto che il primo motivo dev’essere accolto, in quanto l’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo determinava il formarsi della cosa giudicata solo sull’esistenza del credito al momento della sua pronuncia e non al momento del passaggio in giudicato della sentenza declaratoria di inammissibilità dell’opposizione.
Conseguentemente il fatto estintivo del credito verificatosi nel giudizio di opposizione, che vi era stato introdotto, bene poteva essere dedotto con l’opposizione all’esecuzione ed avrebbe dovuto e potuto considerarsi dai giudici di merito.
D’altro canto parte resistente non ha in alcun modo contestato nel suo controricorso l’affermazione della sentenza, ammesso che non dovesse comunque proporre ricorso incidentale.
Né ha resistito l’altro soggetto già coinvolto nell’originaria associazione temporanea di imprese.
L’accoglimento del motivo a questo punto evidenzia l’esistenza di una situazione nella quale è possibile decidere nel merito con l’accoglimento dell’opposizione, atteso che nella sentenza impugnata si trova affermato – quale ragione per compensare le spese – che effettivamente il pagamento in corso di giudizio di opposizione era avvenuto e che ad esso non si poteva dare rilievo solo per la (inesistente, come s’è veduto) preclusione del giudicato.
Pronunciando nel merito dell’appello, in accoglimento di esso, dev’essere dunque accolta l’opposizione all’esecuzione e dichiarato inesistente il diritto di procedere all’esecuzione.
p.7. Il secondo motivo a questo punto resta assorbito.
p.8. L’oggettiva incertezza delle questioni esaminate induce a compensare le spese di tutto il giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Pronunciando nel merito accoglie l’opposizione e dichiara inesistente il diritto di procedere all’esecuzione. Compensa le spese dell’intero giudizio.

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