Il giudizio di autenticità di un’opera d’arte è tipicamente tecnico, non costituisce una prova legale ed è sottoposto al libero apprezzamento del giudice
Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 26 maggio 2016, n. 10937
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7996-2011 proposto da:
(OMISSIS), (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS), quest’ultimo in proprio e nella qualita’ di procuratore del fratello (OMISSIS) (anche in proprio), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2304/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/08/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19 agosto 2010, accogliendo l’impugnazione proposta dagli originari attori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro (OMISSIS), ha dichiarato non autentiche quattro opere gia’ attribuite al fratello degli attori, l’artista (OMISSIS).
La corte territoriale, disposta consulenza tecnica d’ufficio ad opera di critico esperto dell’artista, il prof. (OMISSIS), ha condiviso l’accertamento del medesimo in ordine alla non autenticita’ di tutte e quattro le opere oggetto del giudizio, avendo il consulente riscontrato una difformita’ delle opere da quelle analoghe, ma autentiche, anche in ragione della provenienza incerta dei lavori, la quale non corrobora la tesi dell’autenticita’.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione da (OMISSIS) sulla base di quindici motivi. Resistono con unico controricorso gli intimati, depositando altresi’ la memoria di cui all’articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso propone quindici motivi d’impugnazione, che possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione dell’articolo 116 c.p.c., per avere la corte del merito meramente aderito alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, in tal modo attribuendo ad essa la valenza di una prova legale;
2) violazione dell’articolo 132 c.p.c. e articolo 156 c.p.c., comma 2, per avere la corte del merito motivato la decisione in modo apparente ed incomprensibile;
3) violazione dell’articolo 116 c.p.c., per motivazione omessa e insufficiente, essendovi liberta’ valutativa del giudice rispetto agli esiti peritali;
4) violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, e articolo 156 c.p.c., comma 2, mancando le ragioni dell’accoglimento delle conclusioni peritali, non contenendo la sentenza un sillogismo;
5) violazione dell’articolo 116 c.p.c., per motivazione omessa e insufficiente, essendovi contraddizione tra le motivazioni delle due consulenze;
6) violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, e articolo 156 c.p.c., comma 2, perche’ la corte del merito, a fronte di due consulenze rispettivamente in primo e secondo grado non coincidenti, non ha dato conto adeguato della sua decisione;
7) violazione dell’articolo 132 c.p.c. e articolo 156 c.p.c., comma 2, perche’ la motivazione apparente rende nulla la sentenza;
8) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., articoli 115, 116, 132 e 163 c.p.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, con riguardo alla base della presunzione assunta dalla corte territoriale;
9) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169 articolo 2697 c.c., articoli 115, 116, 132 e 194 c.p.c., oltre alla motivazione insufficiente, avendo il giudice demandato al c.t.u. accertamenti in fatto sulla provenienza delle opere;
10) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., articoli 115, 116, 132 e 163 c.p.c., oltre al vizio di motivazione insufficiente ed illogica, con riguardo alla provenienza delle opere;
11) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., articoli 115, 116, 132 e 163 c.p.c., oltre alla insufficiente motivazione, in quanto non vi e’ prova che tutte le opere della medesima provenienza ( (OMISSIS)) siano false;
12) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, articolo 2697 c.c., articoli 115, 116, 161, 163, 191 e 195 c.p.c., per avere il c.t.u. fondato le sue conclusioni sulla relazione del generale (OMISSIS) e sulla denuncia presentata da (OMISSIS) il 6 maggio 1994, mentre la corte del merito non avrebbe dovuto utilizzare tali documenti;
13) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, articolo 2697 c.c., articoli 115, 116, 132 e 163 c.p.c., oltre al vizio di omessa motivazione, perche’ la c.t.u. non puo’ esonerare le parti dall’onere della prova e gli eredi del (OMISSIS) non hanno provato l’autenticita’ delle opere di confronto;
14) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articolo 23 e 169, articoli 115, 116 e 132 c.p.c., oltre al vizio di motivazione omessa ed insufficiente, non avendo la sentenza impugnata risposto alle critiche alla c.t.u. rivolte dal consulente di parte, il quale aveva dimostrato, con accertamenti artistici e tecnico-scientifici, l’autenticita’ delle opere;
15) violazione della L. 2 aprile 1941, n. 633, articoli 23 e 169, e articolo 132 c.p.c., n. 4, articolo 156 c.p.c., perche’ la corte del merito ha operato, quanto all’opera in “tela grinzata”, un mero rinvio alla sentenza di primo grado, che gia’ ne aveva dichiarato la non autenticita’, senza aggiungere autonoma motivazione.
2. – I motivi di ricorso primo, terzo e quinto possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti vertenti sull’adesione della corte territoriale alle risultanze del consulente tecnico d’ufficio, e sono infondati.
Il giudizio di autenticita’ di un’opera d’arte e’ un tipico giudizio tecnico, che solo uno specialista e’ in grado di compiere, onde legittimamente il giudice – salvo il caso in cui sia egli stesso, in ipotesi, intenditore d’arte, o meglio particolarmente addottrinato su quel particolare artista e periodo storico, oltre che dotato degli strumenti tecnici di indagine – si affida per il relativo accertamento al parere di un esperto; ne’ cio’ significa attribuire, come paventa l’attore, alla consulenza tecnica il ruolo di una “prova legale”, nozione tecnico-giuridica da riservarsi ad altre fattispecie (cfr. articoli 2700 e 2702 c.c., articolo 2733 c.c., comma 2).
La consulenza tecnica svolta da un esperto all’uopo nominato resta, invero, sottoposta al libero apprezzamento del giudice, il quale puo’ ritenere di aderirvi, come invece reputarla incompleta o insufficiente.
Tanto e’ quanto ha correttamente compiuto la corte territoriale nella vicenda in esame, onde tali motivi vanno disattesi.
3. – Il quattordicesimo motivo, che parimenti attiene alla c.t.u., e’ infondato.
La consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di alcun valore probatorio, onde il giudice del merito, cosi’ come non e’ tenuto a contrastare tutte le argomentazioni difensive degli avvocati, allo stesso modo non e’ obbligato a rispondere a tutti gli argomenti che siano esposti in una consulenza tecnica di parte.
Ne’, ove vada di contrario avviso, gli e’ imposto di analizzarne e r confutarne il contenuto, e cio’ pur quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con essa incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (Cass. 29 gennaio 2010, n. 2063).
4. – Un insieme di motivi – secondo, quarto, sesto, settimo e quindicesimo – si appuntano sulla motivazione della sentenza impugnata, la quale non risponderebbe ai requisiti prescritti dall’articolo 132 c.p.c. e sarebbe inidonea ad esprimere le ragioni della decisione: cio’, in ragione della sua brevita’, della mera adesione alla consulenza tecnica d’ufficio, della mancanza di un compiuto “ragionamento sillogistico”, del rinvio – per quanto riguarda una delle opere – alla motivazione della sentenza di primo grado.
Sotto quest’ultimo profilo, le Sezioni unite hanno di recente statuito, con riguardo alla sentenza riproduttiva delle argomentazioni di un atto di parte, pur senza niente aggiungervi, che essa non e’ nulla, ove le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro (Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642).
Tale conclusione ben puo’ estendersi all’ipotesi in cui si operi riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, posto che il giudice dell’impugnazione ben puo’ aderire a quella, senza necessita’, ove la condivida, di ripetere necessariamente tutti gli argomenti a sostegno della decisione o di rinvenirne altri.
Quanto esposto vale anche a disattendere tutte le altre censure veicolate dai motivi in esame.
La sentenza impugnata ha riportato le conclusioni della consulenza tecnica espletata, aderendo ad esse e richiamando altresi’, con riguardo ad una delle quattro opere, la condivisa affermazione di non autenticita’, operata gia’ dalla sentenza di primo grado.
In tal modo, il giudice d’appello ha assolto al proprio obbligo di motivare la sentenza pronunciata, a norma dell’articolo 132 c.p.c. e articolo 118 att. c.p.c.; non senza doversi qui osservare come, nell’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e dell’economia processuale, in una con quello del giusto processo, la tendenza del legislatore e’ nel senso di una motivazione concisa che, sia pure nel rispetto dei fini suoi propri ed, in particolare, della completezza e chiarezza, sia tuttavia in grado di esprimere i concetti in modo sintetico, senza inutili ripetizioni e passaggi sovrabbondanti.
La sentenza, invero, prima che un documento giuridico, e’ un documento letterario, del quale deve rispettare i canoni essenziali: onde non sarebbe ben scritta, oltre che rispettosa del disposto delle norme richiamate, una sentenza che ripetesse piu’ volte lo stesso concetto a fini di maggiore chiarezza, costituendo principio di corretta redazione dei testi l’esporre da subito i concetti in modo nitido, senza bisogno, quindi, di ripeterlo piu’ volte nella ricerca di una migliore intelligibilita’.
La sentenza impugnata rispetta in pieno il canone della sinteticita’, unito a quello della chiarezza: laddove, trattandosi di far proprie le risultanze di una consulenza in materia di autenticita’ di opera d’arte, il giudice del merito ha adempiuto correttamente al proprio obbligo motivazionale, richiamando i risultati e le argomentazioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio.
5. – L’ultimo insieme di motivi – dall’ottavo al tredicesimo – mira a contestare il convincimento esposto dal giudice del merito circa l’autenticita’ delle opere quanto alla loro provenienza, nonche’ alla ritenuta autenticita’ delle opere di confronto.
Il giudizio di autenticita’ di opere d’arte contemporanea, quali quelle per cui e’ causa, caratterizzate dall’impiego di materiali, forme, concezioni relativamente agevoli da riprodurre – ed, inoltre, non cosi’ risalenti nel tempo, tanto da renderne parimenti agevole un realistico “invecchiamento” e’ stato svolto dalla corte del merito, come piu’ volte esposto, mediante l’espletamento della consulenza tecnica, dal giudice fatta propria.
Una riproposizione, in questa sede, delle valutazioni e degli apprezzamenti di merito – cui, in fatto, i motivi in oggetto mirano – e’ dunque inammissibile, non trattandosi di questioni esaminabili nel giudizio di legittimita’.
6. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore solidale dei controricorrenti, liquidate in 7.200,00 complessivi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.
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