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2.1.2. Quanto, poi, alla valutazione del fumus sui capi da a) ad f) dell’ordinanza, si censura l’apparenza della motivazione sul punto, non essendo dato comprendere su quali elementi si basi il tribunale per pervenire alla conferma del sequestro diretto in capo ad (OMISSIS); le affermazioni del tribunale a sostegno sarebbero generiche e prive di qualsiasi collegamento ad (OMISSIS), completandosi con riferimenti altrettanto generali ed astratti (il riferimento e’ ad una decisione relativa ad attivita’ di ricerca petrolifera condotta su piattaforme atlantiche, in cui la sede portoghese e’ stata ritenuta irrilevante; o, ancora, alla nota sentenza resa nel caso “(OMISSIS)” come ad altre decisioni relative a societa’ diverse da (OMISSIS) che abbiano gestione amministrativa in Italia ma residenza fiscale all’estero); difetterebbe, dunque, qualsiasi specifico riferimento all’attivita’ della (OMISSIS), soprattutto in considerazione del fatto che il ricorrente aveva esaurientemente contestato sul piano fattuale l’ipotesi, non riscontrata, secondo cui l’attivita’ amministrativa di (OMISSIS) si sarebbe svolta in tutti gli anni oggetto dell’imputazione; nel richiamare nuovamente gli elementi a sostegno della tesi difensiva (v. supra), il ricorrente si duole del fatto che i giudici del riesame avrebbero omesso di valutarli, richiamando invece precedenti giurisprudenziali eccentrici rispetto al caso concreto, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza sarebbe mancante ed apparente in ordine ai predetti elementi, segnatamente su alcuni di essi; non si sarebbe, infine, nemmeno soffermato sul tema dell’elemento psicologico del reato, che il ricorrente sostiene doversi escludere a fronte di una societa’ che ha sempre assolto i propri obblighi tributari in Slovenia, come sarebbe stato ammesso dallo stesso PM.
2.1.3. Ulteriore profilo di censura investe quella parte dell’ordinanza laddove motiva non adeguatamente sul fatto che il profitto in ogni caso non sarebbe sussistente in quanto l’IVA oggetto dei capi di imputazione da b) ad f), risulta comunque versata dal primo importatore in Italia, cessionario di (OMISSIS), dunque il profitto pari all’evasione IVA in sede di cessione degli autoveicoli agli importatori italiani sarebbe insussistente; sul punto tre sarebbero le ragioni di irrilevanza secondo il tribunale, ossia che non sarebbero documentati i versamenti IVA da parte degli importatori delle autovetture, che, in secondo luogo, quand’anche l’IVA fosse stata effettivamente versata da altri, comunque residuerebbe un profitto per (OMISSIS) e, infine, che in ogni caso sussisterebbe un abbassamento del prezzo degli autoveicoli importati in Italia, con danno all’Erario sul piano della minore base imponibile, defalcata dall’IVA; ciascuna di tali ragioni e’ censurabile secondo il ricorrente, in quanto, con riferimento alla prima, non sarebbe spettato all’indagato documentare il versamento dell’IVA da parte dei diversi importatori in Italia delle vetture, non avendo il PM contestato tale versamento, dando invece atto che gli autoveicoli fatturati da (OMISSIS) alla propria clientela italiana sono pervenuti in Italia e sono stati commercializzati (da qui, dunque, la mancata valutazione da parte del tribunale della gia’ richiamata norma del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 1, comma 9, conv. in L. n. 262 del 2006); la normativa applicabile alle cessioni intracomunitarie per le quali vige il principio del pagamento nel Paese di destinazione ex Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 37, prevede che l’Erario incasso comunque una sola volta l’IVA su tali autoveicoli, e, pertanto non rileva la circostanza che fosse (OMISSIS) a versarla piuttosto che i suoi cessionari, in quanto l’evasione dell’IVA non sussiste, con conseguente esclusione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, e l’inapplicabilita’ del sequestro; quanto, poi, alle due residue ragioni esposte dal tribunale a fondamento del rigetto della tesi difensiva, si osserva come nella specie non sussisterebbe alcuna compressione dell’imponibile IVA sugli autoveicoli importati in Italia, in quanto la presenza o meno dell’IVA nelle fatture di (OMISSIS) non importerebbe alcuna distorsione sul piano del prezzo degli autoveicoli, poiche’ laddove esistente, a parita’ di prezzo, i cessionari l’avrebbero detratta in quanto per essi neutrale, cosi’ parificandosi tale situazione a quella riscontrata dall’autorita’ inquirente, nella quale i cessionari di (OMISSIS) hanno applicato l’IVA su di un imponibile perfino maggiore di quello contestato ad (OMISSIS), avendo tali cessionari applicato il giusto ricarico in sede di rivendita ed avendo cosi’ versato all’Erario l’IVA fatta pagare ai propri clienti; i giudici della cautela avrebbero violato la normativa in tema di cessioni intracomunitarie laddove hanno individuato un profitto di (OMISSIS) che non sussisterebbe, atteso che la normativa esclude l’ipotizzabilita’ di un’IVA a carico sia del cedente che del cessionario che versa l’IVA addebitata alla clientela, stante il principio della neutralita’ dell’IVA sugli operatori commerciali, principio che viene ad essere violato dai giudici del riesame nello sganciare il profitto di (OMISSIS) rispetto al danno erariale qui insussistente.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, in relazione al capo relativo all’omessa dichiarazione di (OMISSIS) ai fini IRES 2014, attesa la nullita’ dell’ordinanza per l’omessa motivazione circa l’irrilevanza penale del fatto.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che al capo a) viene contestata l’omessa dichiarazione a fini IRES da parte dell’ (OMISSIS) per l’anno 2014, cio’ in quanto la soglia di punibilita’ (all’epoca del fatto, individuata in Euro 50.000,00) sarebbe superata trattandosi di un mancato pagamento di imposta pari ad Euro 69.604,00, secondo i calcoli operati dalla GdF; quanto sopra sarebbe invece smentito da parte della stessa Agenzia delle Entrate di Trento, che ha emesso avviso di accertamento per l’anno 2014 determinando la maggiore imposta IRES in Euro 16.701,00, dunque ben al di sotto della predetta soglia di punibilita’; e’ ben vero, si osserva, che il giudice penale puo’ discostarsi dalla determinazione dell’imposta evasa operata dall’Erario, ma occorre un’adeguata motivazione che, nella specie, sarebbe mancante; sul punto vi sarebbe quindi un’omessa pronuncia, con conseguente nullita’ dell’ordinanza in relazione ai fatti contestati al capo a).
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), sotto il profilo della violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 322-ter c.p.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis, attesa la nullita’ dell’ordinanza per l’insussistenza del fumus del delitto di dichiarazione infedele quanto ai capi g) ed h) dell’imputazione relativi alle pretese infedelta’ dichiarative della societa’ svizzera (OMISSIS) per l’anno 2011 e vizio di motivazione apparente quanto al disposto sequestro per equivalente.
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