Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 9 gennaio 2018, n. 273. Esterovestizione in tema di mancato pagamento Iva nel settore auto.


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In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che il con riferimento alle predette imputazioni cautelari, il profitto del reato deriverebbe dalla mancata presentazione della dichiarazione fiscale relativa all’anno 2011 in cui non sarebbero stati indicati presunti redditi della societa’ svizzera (OMISSIS) per la stratosferica cifra di Euro 8.398.900,00, laddove, si deduce, tutto sarebbe stato determinato senza alcun elemento di riscontro; si contesta, a tal proposito, che a parte l’infondata pretesa di attrarre in Italia una societa’ svizzera a tutti gli effetti e da molti anni ivi operante e di considerare il (OMISSIS) come amministratore della stessa essendo solo socio, l’unico accertamento operato dalla PG si sarebbe esaurito nella consultazione di una banca dati privata da cui sarebbe emerso un dato associato a ricavi per oltre 11 min. di dollari, pari ad oltre 8 min. di Euro; detta informazione, del tutto erronea, proverrebbe da una fonte informativa assolutamente non qualificata e che non sarebbe stata in alcun modo verificata dalla PG operante; non si comprenderebbe come una societa’, operante nel settore immobiliare, possa aver generato ricavi per tale importo stratosferico, considerato che il relativo patrimonio immobiliare era stato oggetto di stima ed era risultato assai esiguo rispetto al volume di affari dell’anno 2011, tenuto inoltre conto che la gran parte degli immobili societari erano stati posti a disposizione della famiglia dell’amministratore con conseguente impossibilita’ di realizzo di tale volume di affari; i dati di bilancio attestati dalla societa’ di revisione della (OMISSIS), gia’ depositati in sede di verifica e riprodotti davanti al tribunale del riesame, non sarebbero stati menzionati nel PVC ne’ nella CNR trasmessa alla Procura della Repubblica, ne’ sarebbero stati considerati dal tribunale del riesame che sugli stessi avrebbe reso una motivazione carente, non rispondendo alle doglianze difensive afferenti, da un lato, all’inattendibilita’ delle risultanze della banca dati privata rispetto invece ai dati attestati dalla societa’ di revisione e, dall’altro, all’assurdita’ dell’ipotesi di un volume di affari di oltre 8 milioni di Euro in capo ad una societa’ immobiliare come la (OMISSIS); la risposta del tribunale sarebbe stata generica, richiamando la legittimita’ dell’accertamento induttivo, affermazione questa contestata in ricorso in quanto lo stesso non sarebbe mai stato eseguito dall’Agenzia delle Entrate, ma tutto si fonderebbe sulla trasmissione di dati costruiti su fonti inattendibili e prive di rilevanza ufficiale, con la conseguenza che il tribunale avrebbe omesso di esercitare il potere di controllo sulla legittimita’ del provvedimento di sequestro; infine, si osserva, l’affermazione secondo cui la (OMISSIS) sia una societa’ di puro schermo del patrimonio dell’indagato e che egli ne sia l’amministratore disponendo anche dell’immobile di proprieta’ societaria non sarebbe supportata, mancando quindi qualsiasi motivazione sul punto.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’articolo 322-ter c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis, quanto al confermato sequestro per equivalente nei confronti della societa’ (OMISSIS), con correlata nullita’ dell’ordinanza per mancanza della motivazione.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che il decreto del GIP aveva sottoposto a sequestro per equivalente beni di proprieta’ delle societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS), societa’ di capitale di diritto svizzero e sloveno attratte in Italia sul piano tributario; in quanto persone giuridiche nei paesi ove sono state costituite, sarebbero tali anche nel nostro ordinamento, avendo peraltro la (OMISSIS) regolarmente presentato le dichiarazioni d’imposta all’Agenzia delle Entrate per quanto riguarda i redditi dei fabbricati esistenti in Italia, mentre la (OMISSIS), secondo l’ordinanza, non puo’ considerarsi societa’ schermo e, in quanto tale, aggredibile patrimonialmente per equivalente, proprio in ragione del fatto che ne viene sostenuta l’esterovestizione, e, quindi, il debito d’imposta IRES ed IVA verso il Fisco italiano; il tribunale, per quanto riguarda la (OMISSIS), ha ritenuto trattarsi di una societa’ “schermo” dell’indagato, e quindi aggredibile nei suoi beni perche’ riconducibili all’indagato; l’ordinanza, sul punto, non sarebbe decifrabile, avallando per un verso l’esistenza di debiti della (OMISSIS), mentre dall’altro ne afferma la trasparenza e, quindi, l’aggredibilita’ sul piano patrimoniale, affermazioni del tutto incompatibili su cui il tribunale non prende posizione nonostante la contestazioni specifiche dell’indagato e della societa’ attinta dal sequestro; a cio’ si aggiunge quanto erroneamente affermato dal tribunale del riesame, laddove sostiene che il ruolo di amministratore di una societa’ e l’utilizzo di un bene immobile della stessa ad opera del primo, in guisa di abitazione personale dimostrerebbe la natura cartolare della societa’ di capitali; si tratterebbe di affermazioni censurabili, in quanto e’ la stessa impostazione accusatoria imperniata sull’evasione di imposta da parte di (OMISSIS) e non dell’amministratore che la gestisce come uno schermo, che escluderebbe la natura fittizia della societa’, che invece viene considerata come esterovestita e, quindi, debitrice delle imposte gravanti sulla societa’ di capitali; il patrimonio della (OMISSIS), si conclude, non poteva dunque essere oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, donde l’ordinanza sarebbe nulla per violazione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ inammissibile perche’ proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge e, in ogni caso, perche’ manifestamente infondato.

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