Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 9 gennaio 2018, n. 273. Esterovestizione in tema di mancato pagamento Iva nel settore auto.


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In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che con le ipotesi di reato di cui ai capi da a) ad f) della rubrica viene contestata la presunta “esterovestizione” della societa’ slovena (OMISSIS), che secondo il PM, pur avendo sede in (OMISSIS), avrebbe dovuto presentare la dichiarazione IVA degli anni dal 2010 al 2014 in Italia, cosi’ come quella IRES per l’anno 2014; detta tesi trae spunto dal PVC redatto dalla GdF in data 12.10.2016, da cui emerge che tale societa’ sarebbe stata di fatto amministrata in Italia dall’indagato, che l’avrebbe gestita dall’Italia in relazione alle attivita’ commerciali della stessa, il cui oggetto principale e’ il commercio degli autoveicoli reperiti sul mercato sloveno o Europeo; tale assunto era stato contestato sul piano fattuale e giuridico, producendo e riproponendo i motivi svolti davanti alla CTP di Trento avverso gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per gli anni 2010 e 2011, motivi ritenuti fondati dalla CTP che aveva disposto la sospensione degli stessi con ordinanza allegata agli atti; il ricorrente passa poi ad esaminare le ragioni rilevanti per escludere la contestata omissione dichiarativa della societa’ slovena (OMISSIS) (svolgimento dell’attivita’ commerciale sin dal 2004 mediante struttura operativa effettivamente operante in loco; la contestazione di esterovestizione e’ stata operata in violazione degli articoli 26 e 27 della Convenzione Italia-Slovenia ratificata e resa esecutiva con I. 76/2009, nonche’ in violazione dell’articolo 117 Cost. e articolo 10, St. contrib.; effettivita’ e realta’ della residenza e dell’attivita’ commerciale in Slovenia della societa’; esistenza da sempre di autonomia gestio-nale, contrattuale e finanziaria della struttura di (OMISSIS), rendendo possibile sui mercati sloveni ed esteri nel reperimento degli autoveicoli oggetto dell’attivita’, con pagamento in Slovenia, Paese membro dell’UE, di ogni imposta su di essa gravante, IVA compresa; la circostanza per cui (OMISSIS) vendeva gli autoveicoli commercializzati a clienti esteri o italiani ed anche a societa’ italiana ad essa collegata, (OMISSIS), ma a quest’ultima solo in misura minoritaria; la circostanza per cui le Autorita’ fiscali slovene hanno sempre verificato l’attivita’ di (OMISSIS) e ne hanno confermato la residenza slovena, con assoggettamento a tassazione in tale Paese anche ai fini IVA, il cui scomputo non sarebbe stato operato in sede di accertamento, in violazione dell’articolo 165 TUIR e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19; la circostanza per cui sicuramente le operazioni di vendita degli autoveicoli su cui e’ stata calcolata l’IVA addebitata ad (OMISSIS) sono state effettuate in Slovenia, ivi sussistendo fisicamente gli autoveicoli immatricolati in tale Paese, poi spediti alla clientela da (OMISSIS), difettando dunque il presupposto dell’imponibilita’ IVA e comunque non venendo riconosciuta l’accusa la detrazione dell’IVA assolta da (OMISSIS) in acquisto o comunque quella versata all’Erario italiano dai primi cessionari di (OMISSIS), che per rendere possibile l’immatricolazione e targatura degli autoveicoli, altrimenti impossibile per specifica previsione normativa, furono assoggettati al pagamento dell’IVA); si duole, in particolare, il ricorrente che i giudici della cautela non avrebbero tenuto conto del disposto del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 1, comma 9, conv. in L. n. 286 del 2006, per cui solo gli autoveicoli per i quali venga versata la giusta imposta possono essere ammessi all’immatricolazione nel PRA ed alla conseguenza targatura, condizione per l’utilizzo degli autoveicoli; in tal senso, si osserva, ove non sia esibita dal primo importatore la ricevuta di pagamento dell’IVA a mezzo mod. F24, non e’ infatti possibile procedere alla targatura del mezzo ed alla relativa immatricolazione da parte degli uffici MCTC, con la conseguenza che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe autorizzato sicuramente l’immatricolazione dei veicoli ceduti da (OMISSIS) alla clientela italiana in mancanza dell’assolvimento degli obblighi IVA sugli stessi gravanti, risultando quindi insussistente il profitto del reato ipotizzato a carico di (OMISSIS) sul piano IVA; sarebbe poi irrilevante che l’IVA fosse stata assolta da (OMISSIS) in sede di cessione alla clientela italiana o da quest’ultima all’atto dell’importazione intracomunitaria, in quanto cio’ non muterebbe i termini della questione, avendo l’Erario comunque incassato l’IVA su tali autoveicoli e non sussistendo in capo ad (OMISSIS) l’evasione d’imposta richiesta dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5.
2.1.1. Si censura, poi, il fatto che il decreto di sequestro preventivo, quanto alla pretesa amministrazione dall’Italia di (OMISSIS), motivi genericamente riportandosi a controlli amministrativi di cui al verbale 12.10.2016 iniziati il 27.10.2014 ed eseguiti con frequenza bisettimanale i quali lascerebbero arguire che la residenza estera dichiarata dall’indagato sia appunto fittizia; si duole il ricorrente del fatto che tali verifiche non siano mai state documentate, risultando del tutto indimostrate le suggestive circostanze evidenziate al fine di attrarre in Italia la residenza dell’indagato e della societa’ (OMISSIS); nonostante dette censure, i giudici del riesame si sarebbero limitati ad annullare il solo sequestro per equivalente in applicazione delle note Sezioni Unite Gubert, mentre avrebbero confermato il sequestro diretto del denaro “che si dovesse rinvenire nella disponibilita’ di (OMISSIS) in relazione a i capi da a) ad f); a tale ultima statuizione, i giudici del riesame sarebbero giunti, secondo il ricorrente, mediante alcune “eccentriche e disordinate affermazioni”, a partire da quella secondo cui in casi analoghi caratterizzati dal profitto coincidente con il risparmio di imposta, sarebbe d’obbligo sequestrare tutte le poste attive del patrimonio sociale, affermazione, questa, che contrasterebbe apertamente con le conclusioni cui perviene il tribunale medesimo, laddove annulla il sequestro per equivalente nei confronti della societa’ (OMISSIS), dunque escludendo ogni aggressione al relativo patrimonio sociale; tuttavia, si osserva, se la predetta affermazione del tribunale fosse ritenuta autonoma rispetto al dispositivo, la sentenza (rectius, l’ordinanza) avrebbe violato la legge (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis) come interpretata dalle Sezioni Unite Gubert, poiche’ il patrimonio societario non potrebbe essere aggredito da alcun sequestro che sarebbe disposto per equivalente; si duole, poi, il ricorrente dell’affermazione dei giudici del riesame circa i limiti del proprio ambito cognitivo che sarebbe limitato alla verifica astratta della corrispondenza del fatto con la fattispecie penale, affermazione che non terrebbe conto dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, con la conseguenza che il tribunale del riesame si sarebbe dovuto misurare con gli elementi concretamente presenti nel fascicolo processuale, che appunto erano stati contrastati con l’indagato con specifiche argomentazioni e produzioni.

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