Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 31 gennaio 2018, n.4564. In materia di tutela della riservatezza dei lavoratori ex art. 4, legge n. 300 del 1970

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3.8.Orbene, come anticipato, secondo la giurisprudenza civile di questa Corte, non era soggetta alla disciplina dell’art. 4, comma 2, legge n. 300 del 1970 (cd. Statuto dei lavoratori), l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e riservatezza dei lavoratori, atteso che non corrisponde ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore, in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con sanzione espulsiva, una tutela maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all’impresa (Sez. L, n. 22662 del 08/11/2016, Rv. 641604 – 01; Sez. L, n. 19922 del 05/10/2016, Rv. 641350 -01, secondo cui l’effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per i cd. controlli difensivi trovino applicazione le garanzie dell’art. 4, comma 2, della I. n. 300 del 1970; ne consegue che se, per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può installare impianti ed apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi alla attività lavorativa dei dipendenti, tali dati non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale dei lavoratori medesimi; nello stesso senso Sez. L, n. 16622 del 01/10/2012, Rv. 624112 – 01, nonché Sez. L. n. 4375 del 23/02/2010, Rv. 613412 – 01, secondo cui in tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall’art. 4, secondo comma, della legge n. 300 del 1970 – espressamente richiamato anche dall’art. 114 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e non modificato dall’art. 4 della legge n. 547 del 1993, che ha introdotto il reato di cui all’art. 615-per cod. pen. – per l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai controlli cd. difensivi, ovverosia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei al rapporto stesso, dovendo escludersi che l’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti possa assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore). Più recentemente, Sez. L, n. 10636 del 02/05/2017, Rv. 644091 – 01, ha precisato che la collocazione, da parte dell’azienda, di strumenti di controllo (nella specie, telecamere) all’interno di locali dove si siano verificati dei furti integra un’ipotesi di controllo difensivo a distanza, estraneo all’ambito di applicazione dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori qualora attuato con modalità non invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore di cui si sia, mediante le riprese, accertata la responsabilità dei furti).

3.9.In conclusione, i cd. ‘controlli difensivi’ legittimavano, nel periodo antecedente alle modifiche introdotte con D.Lgs. n. 151 del 14 settembre 2015, l’installazione, non concordata con le organizzazioni sindacali, né autorizzata dalla Direzione provinciale del Lavoro, di impianti e apparecchiature di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori solo se il controllo non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e purché fosse attuato con modalità non invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei lavoratori dipendenti. Tale principio non contrasta con quanto affermato dalle citate sentenze, Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015, Boudhraa, Rv. 262288, Sez. 5, n. 34842 del 12/07/2011, Volpi, Rv. 250947, Sez. 5, n. 20722 del 18/03/2010, Baseggio, Rv. 247588, in nessuna delle quali si era posto il problema della tutela della riservatezza del lavoratore dipendente, posto che i luoghi oggetto di controllo erano costituiti, in quei casi, da esercizi pubblici e non, come nel caso in esame, dall’ufficio nel quale la lavoratrice disimpegnava in piena solitudine la propria attività lavorativa.

3.10. Pur volendo astrattamente ammettere l’esigenza del controllo difensivo dedotto dall’imputato mediante l’allegazione della denunzia di furto di documenti aziendali sensibili necessari all’espletamento delle gare di appalto sporta sei giorni prima, resta il fatto che la telecamera era stata incontestabilmente collocata nel condizionatore posto all’interno dell’ufficio ove la De Pa. lavorava in solitudine, di fronte alla sua scrivania, e che le riprese ne avevano leso la riservatezza, avendo la donna riferito che in quel periodo, poiché infortunata al ginocchio, molto spesso doveva applicare una pomata abbassandosi i pantaloni.

3.11. Tralasciando, per un momento, il fatto che nel caso di specie la dedotta sottrazione di documenti aziendali riguardava la società cooperativa ‘La Vela’, estranea al rapporto di lavoro della De Pa. con la RistorPlus (si rimanda alle considerazioni svolte in sede di esame del secondo e del terzo motivo di ricorso), resta il fatto che la tutela della dignità e della riservatezza di quest’ultima costituisce, come già detto, un limite oggettivo invalicabile all’esercizio incondizionato del diritto del datore di lavoro a tutelare il patrimonio aziendale che, se attuato senza le cautele procedimentali imposte dall’art. 4, legge n. 300 del 1970, nella versione vigente prima delle citate modifiche legislative, rende penalmente illecita la condotta. Il Tribunale ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, avendo correttamente affermato che «qualsiasi finalità del controllo – di tutela dei beni aziendali, di accertamento e prevenzione dei comportamenti illeciti – non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore». Ne consegue che, questa essendo la ‘ratio decidendi’ e fermo restando quanto già detto in ordine alla natura della perizia, la richiesta di quest’ultima non era decisiva.

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