Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 31 gennaio 2018, n.4564. In materia di tutela della riservatezza dei lavoratori ex art. 4, legge n. 300 del 1970

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4.Il secondo ed il terzo motivo sono infondati.

4.1. Gli argomenti oggetto del terzo motivo sono già stati affrontati in sede di esame del primo.

4.2. Quanto al ruolo del ricorrente (che eccepisce la propria estraneità al rapporto di lavoro intrattenuto dalla De Pa. con la RistorPlus, di cui era legale rappresentante la moglie), osserva il Collegio che le doglianze difensive sono intrinsecamente contraddittorie, supportate da inammissibili deduzioni fattuali ed in ogni caso manifestamente infondate.

4.3. Dalla sentenza impugnata risulta che la De Pa. aveva lavorato «come segretaria alle dipendenze della società del Ma., la ‘RistorPlus S.r.l.’ e di essere stata, altresì, socia insieme al medesimo della società cooperativa ‘La Vela’». Vero è che lo stralcio del controesame dibattimentale della De Pa. allegato al ricorso (non nella sua interezza) sembra deporre per il contrario, ma è altrettanto vero che dalla sentenza risulta che il Ma. era stato l’interlocutore diretto della De Pa. per tutte le richieste attinenti al suo rapporto di lavoro riguardanti la retribuzione, la modifica dell’orario di lavoro, le mansioni da svolgere. L’imputato eccepisce il travisamento della prova in ordine alla sua qualifica di ‘datore di lavoro’ ma egli non solo non contesta di aver assunto nei confronti della De Pa. il ruolo tipico del datore di lavoro assegnatogli dalla sentenza in base alle dichiarazioni trascritte della testimone, ma deduce a sua volta comportamenti tipici del datore di lavoro che contraddicono la tesi difensiva: tra questi, l’iniziativa di far installare la videocamera nell’ufficio ove la De Pa. disimpegnava esclusivamente le prestazioni di lavoratrice dipendente della ‘RistorPlus’, così dimostrando il pieno dominio anche dei luoghi nei quali veniva attuato il rapporto di lavoro del quale predica l’estraneità.

4.4. Il travisamento consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore ‘revocatorio’, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Nel caso di specie, la qualifica dell’imputato quale datore di lavoro della De Pa. costituisce il frutto di un giudizio che si alimenta delle dichiarazioni di quest’ultima, sopra richiamate e trascritte in sentenza. Il Tribunale, dunque, non ha travisato il contenuto di tali dichiarazioni: ne ha tratto argomento per affermare la qualifica di datore di lavoro dell’imputato. Si tratta di un giudizio, non di un travisamento della prova. Né l’imputato ha allegato l’intero verbale dell’esame della De Pa. dal quale risulti, in ipotesi, la non corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto trascritto. Ne ha solo selezionato una parte, prodotta in stralcio. Così facendo egli tenta un dialogo diretto con questa Corte in ordine al contenuto delle prove a suo dire travisate e selezionate senza prendere posizione alcuna sulle condotte a lui attribuite dalla lavoratrice, correttamente utilizzate dal Tribunale per attribuirgli la qualifica di datore di lavoro della De Pa..

4.5.In ogni caso, a prescindere dall’esistenza o meno di una delega formale da parte della legale rappresentante della ‘RistorPlus’ a favore del Ma., è certo che questi si identifica nell’autore materiale della condotta posta in essere per esigenze (controllo difensivo) che il ricorrente rivendica come proprie. Ed è qui che si annida la contraddittorietà della tesi difensiva; l’imputato deduce la necessità di un controllo difensivo relativo alla società cooperativa La Vela del tutto estranea al rapporto di lavoro della De Pa. con la RistorPlus (la donna, si ricorda, era solo socia della cooperativa), ma nel far ciò installa telecamere nel luogo nel quale quest’ultima espletava le proprie mansioni lavorative a favore della RistorPlus. Sicché, nella dichiarata finalità di tutelare il patrimonio aziendale della società cooperativa La Vela, vengono installati impianti che controllano direttamente la prestazione lavorativa disimpegnata dalla De Pa. a favore di altro datore di lavoro e proprio nell’unico luogo di lavoro a ciò deputato. Il fatto che l’imputato abbia potuto disporre in modo esclusivo del luogo nel quale quest’ultima lavorava dimostra ulteriormente il proprio dominio sull’azione, sufficiente a configurare la responsabilità per il reato a lui attribuito che può essere commesso da chiunque, non necessariamente, né in via esclusiva dal datore di lavoro, tanto meno previo rilascio di una specifica delega.

4.6.E’ sufficiente che la condotta venga posta in essere con l’assenso anche tacito del datore di lavoro, nel suo interesse e per le specifiche ragioni indicate nella norma, sussistendo, in caso contrario, il ben più grave delitto di cui all’art. 615-bis, cod. pen., non escluso dalla disponibilità del luogo anche da parte dell’autore della indebita interferenza (in questo senso, Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015, Rv. 264196; sul concetto di ‘privata dimora’, si veda, da ultimo, l’autorevole arresto di Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076, secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale).

5.L’ultimo motivo è inammissibile.

Come precisato da Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Capelli, Rv. 186722, il provvedimento con il quale il giudice di merito nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. Residua a favore del condannato la possibilità chiedere la sospensione della condanna nei limiti previsti dall’art. 612, cod. proc. pen.. (Rv. 268180).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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