Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 31 gennaio 2018, n.4564. In materia di tutela della riservatezza dei lavoratori ex art. 4, legge n. 300 del 1970

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3.3.In ogni caso, come anticipato, la prova richiesta non è decisiva.

3.4.L’art. 4 (impianti audiovisivi), legge n. 300 del 1970 (cd. Statuto dei lavoratori), nella versione vigente all’epoca dei fatti, così recitava: «1. E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. 2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti. 3. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. 4. Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale». Il divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è stato ribadito dall’art. 114, d.lgs. n. 196 del 2003, e la sua violazione è sanzionata dall’art. 171, stesso decreto, in continuità normativa con quanto prevedeva l’art. 38, legge n. 300 del 1970 (Sez. 3, n. 40199 del 24/09/2009, Masotti, Rv. 244902).

3.5.Attualmente, a seguito delle modifiche introdotte, da ultimo, con d.lgs. n. 185 del 24/09/2016, la norma così recita: «1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. 3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».

3.6.La ‘tutela del patrimonio aziendale’, quale fatto giustificativo della installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, è stata espressamente codificata dall’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151 del 2015 – cd. Jobs act – che ha interamente riscritto l’art. 4, St. Lav.. In precedenza non si era mai dubitato che si ponessero fuori dell’ambito applicativo della norma i cd. ‘controlli difensivi’, volti ad accertare condotte illecite del lavoratore che non si traducano in meri inadempimenti della prestazione lavorativa (Sez. L. n. 10855 del 27/05/2015, Rv. 635531 – 01; Sez. L. n. 2722 del 23/02/2012, Rv. 621115 – 01; Sez. L. n. 4746 del 03/04/2002, Rv. 553469 – 01; nonché, oltre la giurisprudenza citata più avanti, Cass. pen., Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015, Boudhraa, Rv. 262288; Cass. pen., Sez. 5, n. 34842 del 12/07/2011, Volpi, Rv. 250947; Cass. pen. Sez. 5, n. 20722 del 18/03/2010, Baseggio, Rv. 247588). Nell’ambito dei ‘controlli difensivi’ rientravano certamente, nei limiti di cui oltre si dirà, anche quelli volti a tutelare il patrimonio aziendale da condotte illecite e infedeli di lavoratori dipendenti: chiaro, al riguardo, il principio tralaticiamente affermato dalle sezioni penali si questa Corte con le sentenze appena citate secondo il quale «sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio». Anche per tale ragione, questa Corte ha affermato il principio (che deve essere qui ribadito) secondo il quale sussiste continuità di tipo di illecito tra la previgente fattispecie, prevista dagli artt. 4 e 38, comma primo, I. 20 maggio 1970 n. 300 (cd. Statuto dei lavoratori) e 114 e 171 del D.Lgs. n. 196 del 2003, e quella attuale rimodulata dall’art. 23, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 (attuativo di una delle deleghe contenute nel cd. Jobs Act), avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4, cit. è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38, cit. (Sez. 3, n. 51897 del 08/09/2016, Bommino, Rv. 268399).

3.7.L’inserimento della tutela del patrimonio aziendale tra le ragioni che legittimano l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori solo previo accordo sindacale ovvero autorizzazione della competente Direzione territoriale del lavoro, amplia le garanzie a favore di questi ultimi rendendo penalmente illecita l’installazione non autorizzata di tali impianti. In precedenza, come detto, i cd. ‘controlli difensivi’ giustificavano, nei limiti di cui oltre si dirà, l’installazione non concordata, né autorizzata, di impianti e strumenti di controllo a distanza.

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