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Viene denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma non e’ censurata un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da disposizioni di legge, quanto, piuttosto, soltanto allegata un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, causata dalla cattiva valutazione delle risultanze probatorie di causa, la quale inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito. Le denunce ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sono poi conformi al modello riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, in quanto insistono nel segnalare l’omesso esame di elementi istruttori (in particolare, della CTU), il quale non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico (nella specie, la consistenza e l’ubicazione del manufatto) rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, o abbia valutato le stesse in modo diverso da quello piu’ gradito alla parte (Cass. Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053). Ne’ sono configurabili le violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c., in quanto l’inosservanza dell’articolo 115 c.p.c. puo’ essere ipotizzata solo denunciando che il giudice abbia deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ipotizzabile solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892). Al fine di assolvere, inoltre, all’onere di adeguatezza della motivazione, in base all’articolo 132 c.p.c., n. 4, e di non incorrere nel vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva), il giudice di appello non e’ tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione cosi’ da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. Il ricorrente insiste, peraltro, su una circostanza non decisiva, quale quella della realizzazione della piattaforma su uno spazio pubblico e non condominiale. La Corte d’Appello di Roma ha piuttosto dato rilievo, sulla base di accertamento di fatto che non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al dato che la stessa piattaforma di oltre trenta mq, coperta da ombrelloni e delimitata da ringhiere, fosse “ancorata alla parete perimetrale” dell’edificio condominiale, vicino al portone di ingresso, cosi’ modificando la simmetria del fabbricato.
E’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione, seguita dai giudici del merito, per cui, ai fini della tutela prevista dall’articolo 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, ne’ rileva che tale decoro sia stato gia’ gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma e’ sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identita’. La tutela del decoro architettonico – di cui all’articolo 1120 c.c. – attiene a tutto cio’ che nell’edificio e’ visibile ed apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, per cui il proprietario della singola unita’ immobiliare non puo’ mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facolta’ di modificare quelle parti esterne, a prescindere da ogni considerazione sulla proprieta’ del suolo su cui venga realizzata l’opera innovativa (Cass. Sez. 2, 19/06/2009, n. 14455; Cass. Sez. 2, 14/12/2005, n. 27551; Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398). Si configura, in astratto, peraltro, non una violazione dell’articolo 1120 c.c., comma 2, (testo antecedente alle modifiche introdotte con la L. n. 220 del 2012, qui operante ratione temporis), ma dell’articolo 1102 c.c., disposizione invero applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano interventi approvati dall’assemblea e quindi spese ripartite fra tutti i condomini; dovendosi del pari riaffermare che, in tema di condominio, e’ illegittimo l’uso particolare o piu’ intenso del bene comune, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 22/08/2012, n. 14607).
Ne’, ai fini della verifica del danno estetico alla facciata dell’edificio condominiale, determinante agli effetti degli articoli 1102 e 1120 c.c., assume rilievo il fatto che la piattaforma sia stata realizzata “in aderenza” al muro comune. Al riguardo, il ricorrente propone anche una questione di applicabilita’ dell’articolo 877 c.c., questione che pero’ non viene affrontata nella sentenza impugnata, e che risulta quindi inammissibile in questa sede, non essendo stato indicato, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quale atto del giudizio di merito essa venne posta, e trattandosi peraltro di questione di diritto implicante il necessario svolgimento di indagini ed accertamenti di fatto. In ogni caso, per il giudizio sull’alterazione dello stile architettonico della parete esterna di un fabbricato condominiale, e’ privo di decisivita’ il dato che il manufatto ivi realizzato si innesti nel muro comune o coesista con esso, rimanendone autonomo. Del pari privo di significato determinante e’ che il manufatto non impedisse l’accesso allo stabile condominiale ne’ la visibilita’ del suo numero civico (circostanze che la ricorrente assume nel suo quinto motivo come accertate in primo grado e non oggetto di specifica devoluzione al giudice d’appello, e percio’ ormai coperte da giudicato), in quanto gli articoli 1120 e 1102 c.c. individuano, quali limiti per la legittimita’ delle modificazione di uno stabile condominiale, la stabilita’ o la sicurezza del fabbricato, il decoro architettonico dell’edificio, appunto, nonche’ l’uso o il godimento delle parti comuni ad opera dei singoli condomini, limiti operanti, tuttavia, in via pure alternativa e non necessariamente concorrente.
Neppure e’ infine decisiva la doglianza sulla mancata specificazione della diminuzione di valore economico correlata alla modifica, in quanto, avendo la Corte d’Appello accertato una alterazione della fisionomia architettonica dell’edificio condominiale, per effetto della realizzazione di una piattaforma di oltre trenta metri quadrati ancorata alla facciata, il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualita’ del fabbricato, e’ tutelata – in quanto di per se’ meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione (cosi’ Cass. Sez. 2, 31/03/2006, n. 7625; Cass. Sez. 2, 24/03/2004, n. 5899).
Il ricorso va percio’ rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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