Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3767. L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima

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Tali deduzioni sono quattro, e sono cosi’ riassumibili:
(a) il risarcimento del danno non patrimoniale ha lo scopo di compensare la vittima del dolore sofferto con utilita’ sostitutive; esso dunque dovra’ essere tanto minore, quanto minore sara’ il costo necessario per procacciarsi tali utilita’;
(b) la Corte di giustizia UE, con la sentenza 10.12.2015, in causa C-350/14, Lazar, ha affermato che il danno patito dai prossimi congiunti di una persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituisce una “conseguenza indiretta” di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”); da questo rilievo la controricorrente vorrebbe trarre la conclusione che nella liquidazione del danno si dovrebbe tenere conto del luogo in cui le conseguenze indirette del danno si sono verificate;
(c) “piu’ solidi”, rispetto all’orientamento recente di questa Corte, si sarebbero dovuti ritenere gli argomenti posti a fondamento del contrario orientamento espresso da Sez. 3, Sentenza n. 1637 del 14/02/2000; al contrario, gli argomenti posti a fondamento dell’orientamento piu’ recente sarebbero “privi di adeguato approfondimento”, ed in particolare erronea sarebbe l’affermazione secondo cui il luogo dove la vittima spendera’ il suo denaro e’ estraneo all’illecito, perche’ la misura del risarcimento “non riguarda l’illecito in se'”;
(d) non ridurre il risarcimento ai danneggiati residenti in Paesi poveri -questa la tesi della (OMISSIS) – “costituirebbe una burla per gli italiani”, perche’ “si concede tutto agli stranieri e niente, nella condizione inversa, viene dato agli italiani”.
Dopo avere esposto queste tesi, la controricorrente formula istanza affinche’ il presente ricorso venga rimesso al Primo Presidente, affinche’ ne disponga l’assegnazione alle Sezioni Unite.
1.5. L’argomento riassunto sub (a) nel 5 che precede non puo’ essere condiviso.
Puo’ ammettersi che il risarcimento del danno non patrimoniale abbia una funzione compensativa, ma da cio’ non discende affatto che il pretium doloris sia funzione della residenza del danneggiato. Cio’ sia per una ragione giuridica, sia per una ragione logica.
1.5.1. La ragione giuridica e’ che nella stima di ogni danno non patrimoniale si deve tenere conto delle conseguenze dell’illecito, come si desume dall’articolo 1223 c.c..
Le conseguenze risarcibili dell’illecito consistono nei pregiudizi che la vittima, in assenza del fatto illecito, avrebbe evitato.
I pregiudizi risarcibili vanno stimati in base alla natura ed alla consistenza dell’interesse che li sottende: quel che un tempo si definiva l’id quod interest, secondo la celebre espressione usata dall’imperatore Giustiniano nell’epistola al prefetto del pretorio Giovanni (Codex Iustiniani, VII, XLVII, De sententiis), e che una noto economista defini’ “ofelimita’ “.
Se questa e’ la nozione di “danno” per la nostra legge, il risarcimento che lo monetizza non potra’ mai variare in funzione della residenza del danneggiato:
– sia perche’ il luogo dove la vittima vive non e’ una “conseguenza” del fatto illecito;
– sia perche’ tra le “conseguenze” del danno non rientra l’impiego che la vittima fara’ del denaro dell’offensore;
– sia perche’ un risarcimento in denaro non necessariamente e’ destinato ad essere speso: esso potrebbe essere tesaurizzato od investito, ed in questi casi non e’ affatto vero che nei Paesi piu’ ricchi il capitale investito sia remunerato piu’ proficuamente che nei Paesi poveri (ma anzi e’ vero spesso il contrario, noto essendo che i Paesi meno sviluppati, per attrarre capitali, emettono titoli del debito pubblico remunerati con interessi ben maggiori di quelli offerti dalle economie piu’ solide);
– sia, infine, perche’ col pagamento del risarcimento l’obbligazione si estingue, e tutto quel che avviene dopo e’ un post factum giuridicamente irrilevante. Che il creditore-danneggiato tesaurizzi il suo denaro, lo spenda, lo doni o lo disperda, queste sono circostanze giuridicamente irrilevanti. Al diritto, e tanto meno al giudice, non interessa quel che il creditore fara’ col suo denaro, interessa di che natura ed entita’ fu il pregiudizio causato dal fatto illecito.
1.5.2. Erronea giuridicamente, la tesi propugnata dalla societa’ controricorrente diviene paradossale dal punto di vista della logica formale. Se, infatti, dalla natura compensativa del risarcimento si fa discendere la pretesa di variarlo in funzione della residenza dell’avente diritto, ne seguirebbe che:
(a) la regola dovrebbe valere anche in bonam partem, con la conseguenza che il creditore potrebbe artificiosamente trasferirsi in Paesi dall’elevato reddito pro capite, per pretendere un risarcimento maggiore;
(b) se il risarcimento dovesse davvero variare in funzione della quantita’ di beni materiali che, con esso, il creditore intende acquistare, si perverrebbe all’assurdo che il prodigo andrebbe risarcito piu’ dell’avaro (perche’ il secondo non comprerebbe mai nulla), e lo stoico meno dell’epicureo (posto che solo per il secondo il “sommo bene” e’ la soddisfazione dei bisogni materiali);
(c) se davvero il risarcimento dovesse variare in funzione della quantita’ di beni materiali che, con esso, il creditore puo’ acquistare, si perverrebbe all’assurdo che a parita’ di sofferenza il risarcimento dovrebbe essere piu’ elevato in tempi di rialzo generalizzato dei prezzi, e piu’ modesto in epoche di stagnazione economica; e dovrebbe essere piu’ elevato se la vittima fosse appassionata di automobili di pregio, e meno se la vittima fosse appassionata di piante e fiori.

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