Sussiste l’aggravante del bene esposto per necessità o consuetudine alla pubblica fede nel caso di furto di autovettura parcheggiata sulla pubblica via o in luogo privato accessibile al pubblico, anche nell’ipotesi in cui la stessa non ha le portiere chiuse con le chiavi e queste ultime sono inserite nel cruscotto del veicolo.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 25 settembre 2017, n.44019 – Pres. Bruno – est. Michelli
Ritenuto in fatto
Il difensore di C.G. ricorre per cassazione avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 19/06/2015, nei confronti del suo assistito, dal Tribunale di Milano. Il C. risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia in ordine a un addebito ex artt. 624 e 625 n. 7 cod. pen.: secondo l’ipotesi accusatoria, egli si sarebbe impossessato di un furgone lasciato momentaneamente in sosta sulla pubblica via, con il motore acceso, dal soggetto che lo utilizzava per il trasporto e la consegna di merci. Già il giudice di primo grado, avuto riguardo alla contestazione iniziale, aveva escluso le ulteriori circostanze di cui agli artt. 61 n. 5 e 625 n. 2 cod. pen., valutando equivalente l’aggravante residua – dovuta alla esposizione del bene alla pubblica fede – rispetto alle attenuanti generiche (concesse al C. in virtù della sua condotta collaborativa).
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 625 n. 7 cod. pen., facendo presente che – perché una cosa possa intendersi esposta, per consuetudine o necessità, alla pubblica fede occorre ‘una pratica di fatto ripetitiva e notoria in un ampio arco temporale, rientrante negli usi e nelle abitudini sociali, o dovuta a necessità reiterate nel tempo. È il caso delle automobili parcheggiate nella pubblica via, naturalmente a motore spento e con la serratura chiusa, o di altri mezzi di locomozione protetti da un qualsiasi congegno di sicurezza. Non è pertanto il caso che ci occupa, che riguarda un furgone lasciato addirittura con il motore acceso, mentre il conducente effettuava delle consegne, evidentemente per essere più veloce’. La fattispecie concreta, dunque, sarebbe sovrapponibile a quella in cui il proprietario lasci in sosta una bicicletta, senza mezzi di protezione, laddove la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la ravvisabilità dell’aggravante de qua.
Considerato in diritto
Il ricorso non può trovare accoglimento.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, ‘l’autovettura parcheggiata sulla pubblica via o in luogo privato accessibile al pubblico è cosa esposta alla pubblica fede, anche se ha le portiere aperte’ (Cass., Sez. IV, n. 41561 del 26/10/2010, Taamam, Rv 248455); tale indirizzo risulta recentemente confermato in un caso sostanzialmente sovrapponibile a quello oggi sub judice, essendosi ribadito che ‘sussiste l’aggravante del bene esposto per necessità o consuetudine alla pubblica fede nel caso di furto di autovettura parcheggiata sulla pubblica via o in luogo privato accessibile al pubblico, anche nell’ipotesi in cui la stessa non ha le portiere chiuse con le chiavi e queste ultime sono inserite nel cruscotto del veicolo’ (Cass., Sez. V, n. 22194/2017 del 06/12/2016, B., Rv 270122).
In vero, la circostanza in esame non presuppone che venga predisposto un qualsiasi mezzo peculiare di difesa avverso eventuali azioni criminose, risultando invece fondata su elementi obiettivi comunemente noti o subito percepibili dall’esterno (quali la consuetudine o la necessità): ergo, laddove un autoveicolo venga lasciato in sosta in area non riservata l’aggravante non può che sussistere, sia pure se – per qualsivoglia motivo, ivi compresa la distrazione di chi la utilizza – presenti gli sportelli aperti e/o le chiavi nel blocchetto di accensione.
Né sembra dirimente, in chiave difensiva, il riferimento alle decisioni intervenute in tema di furto di biciclette lasciate incustodite: infatti, le sentenze che hanno inteso escludere, in tali ipotesi, la configurabilità dell’aggravante affrontano il solo profilo della consuetudine, per la ritenuta impossibilità di intendere quale ‘radicata abitudine del ciclista’ quella di lasciare la propria bicicletta sulla pubblica via senza avere cura di assicurarla mediante l’utilizzo della chiave di chiusura in originaria dotazione ovvero della catena antifurto ordinariamente commercializzata come accessorio’ (Cass., Sez. IV, n. 38532 del 22/09/2010, Catone); non esaminano invece il problema della – comunque imprescindibile – necessità di sistemare in area pubblica un velocipede utilizzato per spostarsi da un luogo ad un altro, a prescindere dal ricorso a sistemi di protezione ed antifurto. Si è infatti osservato che ‘nel caso di una bicicletta (…), non è un comportamento più o meno consolidato negli usi delle persone a giustificarne l’esposizione alla pubblica fede, quando il detentore l’abbia impiegata come mezzo di trasporto per raggiungere una destinazione diversa dalla propria abitazione e relative pertinenze (…), bensì la pratica necessità che egli la lasci lungo la pubblica via, essendo certamente impossibilitato a portarsela dietro. Può esservi o non esservi consuetudine, semmai, nell’apprestare sistemi di tutela contro il furto, appunto per impedire che altri se ne impossessino: ma ciò non implica conseguenze di sorta sull’indefettibile e presupposta necessità che il veicolo rimanga esposto alla pubblica fede, non già perché esiste una consolidata abitudine in tal senso, bensì perché non sarebbe possibile fare altrimenti, quanto meno per elementare ragionevolezza (un ciclista potrebbe anche sollevare la sua bici da corsa o mountain bike e salire le scale di un palazzo, ma si tratterebbe di condotta francamente assurda)’ (Cass., Sez. V, n. 3196/2013 del 28/09/2012, De Santis; v. anche Cass., Sez. IV, n. 4200/2017 del 20/10/2016, Ribaga).
Per completezza di esposizione, va segnalato infine che in fattispecie come quella oggetto della presente vicenda processuale non sarebbe comunque configurabile la diversa aggravante della destrezza, avendo le Sezioni Unite di questa Corte recentemente dato risposta negativa al quesito se, nel delitto di furto, la circostanza aggravante prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., sia configurabile quando il soggetto agente si limiti ad approfittare di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa (Cass., Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017, Quarticelli).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del C. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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