SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 9 febbraio 2016, n.2539
Ritenuto in fatto
La Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città di ammissione allo stato passivo della L.C.A. Tirrena Assicurazioni SpA (d’ora innanzi solo Tirrena) del credito vantato dalla Banca CARIGE SpA, la quale aveva chiesto alla LCA, in via chirografaria – senza successo -, l’ammissione dell’importo risultante dall’esposizione debitoria dell’IFI SpA, come portato dal DI rilasciato verso la stessa debitrice principale, ma «garantito da una fideiussione» rilasciata dalla Compagnia di Assicurazioni.
2.Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora importa e rileva in questa sede, il Tribunale, respinta ogni altra eccezione, avrebbe correttamente ammesso la Banca allo stato passivo della LCA in quanto, la lettera di patronage, esclusa ogni ipotizzata indeterminatezza di contenuto, era pienamente valida, contenendo un impegno a informare immediatamente la Banca, che aveva concesso un finanziamento alla controllata IFI SpA, in caso di mutamento della composizione delle partecipazioni sociali e a «porre la società in condizioni di provvedere alla copertura dei crediti » bancari, in caso di perdita del controllo amministrativo sulla società finanziata.
2.1. Infatti, la lettera di patronage in discussione, avrebbe avuto un contenuto «forte» in quanto il patrocinante non si sarebbe limitato ad esternare la propria posizione di influenza ma avrebbe assunto un vero e proprio impegno, così generandosi un’obbligazione negoziale avente per oggetto un facere, con finalità di garanzia.
3.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Tirrena SpA in LCA, con due motivi, illustrati anche con memoria.
4. La Banca resiste con controricorso e memoria illustrativa
Motivi della decisione
1.Con il primo mezzo di impugnazione (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1324 e 1333 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), la ricorrente ha posto a questa Corte il seguente quesito di diritto:
-«se in applicazione dell’art. 1362 c. c. e del principio in claris non fit interpretatio, la formulazione testuale della lettera di patronage con la quale il patronnant si impegna ad informare immediatamente il creditore dei mutamenti del rapporto di controllo maggioritario della società sovvenuta e a «porre la predetta società in condizione di provvedere .. alla copertura dei vostri crediti», per la sola ipotesi che « si verificasse la perdita da parte nostra, per qualsiasi ragione, del suo controllo amministrativo», possa esse interpretata come
assunzione di una obbligazione di garanzia».
1.1.Anzitutto la Corte, pur nella corretta qualificazione dell’impegno come nascente da una lettera di patronage, avrebbe errato nel fraintendere un dato testuale inequivoco leggendo il suo contenuto come avente sostanza fideiussoria.
1.2.Secondo la ricorrente, nel caso in esame, non potendosi far ricorso alla comune intenzione delle parti, si sarebbe comunque superato il criterio interpretativo per cui all’atto non può essere dato un significato diverso da quello reso palese dal significato letterale delle espressioni usate (criterio dell’interpretazione letterale delle parole).
1.3. Orbene, l’impegno assunto dalla Compagnia controllante non sarebbe stato subordinato all’inadempimento ma alla mera perdita del controllo amministrativo sulla controllata, circostanza che non si sarebbe mai accertata né verificata.
1.4. Il giudice distrettuale, invece, avrebbe limitato la sua motivazione alla riproduzione del testo della massima di questa Corte, (il precedente n. 10235 del 1995) ma senza dare contenuto concreto all’atto esaminato.
Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1936 e 1338 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), la ricorrente ha posto a questa Corte il seguente quesito di diritto:
-«se una mera lettera di patronage, ovvero la dichiarazione con la quale applicazione il patronnant informa il creditore della sua posizione di influenza nei confronti del debitore e si obbliga a «porre» il sovvenuto «in condizione di adempiere» qualora tale posizione di controllo cessi, possa essere qualificata quale fideiussione al fine di parificarne e/o assimilarne in tutto e per tutto gli effetti giuridici a quelli tipici del predetto istituto ».
2.I. Secondo la ricorrente, nel caso in esame, il giudice distrettuale avrebbe – senza alcuna convincente motivazione – assimilato, sotto il profilo degli effetti giuridici derivanti per il patronnant, la stipulazione di una lettera di patronage con l’assunzione di una garanzia fideiussoria, che esige rigorosi oneri di forma.
2.2. Orbene, poiché nell’ultima parte della motivazione della sentenza impugnata si parla di prova dell’entità del danno subito dalla Banca, sorgerebbe una evidente contraddizione tra l’assimilazione dell’impegno alla fideiussione e l’accertamento di un credito da danno per responsabilità.
Il primo mezzo di ricorso è infondato.
3.1. Nella motivazione della sentenza impugnata è chiaro il ragionamento volto alla identificazione ed alla qualificazione del documento, in termini di lettera di patronage, della Compagnia a favore della Banca, senza che si possa fondatamente parlare di un travisamento del suo tenore testuale.
3.2. Invero, la Corte territoriale afferma che tale garanzia, avrebbe un contenuto «forte» in quanto, con essa, il «patrocinante» non si sarebbe limitato ad esternare la propria posizione di influenza ma avrebbe assunto un vero e proprio impegno, così generandosi un’obbligazione su base negoziale, avente per oggetto un facere e una finalità di garanzia.
4.3. Tale motivazione, per quanto succinta e riecheggiante l’espressione di una massima elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, contiene comunque la necessaria qualificazione dell’atto di autonomia privata e le connesse conseguenze giuridiche, che – come esposto dai giudici di merito – non possono essere ricondotte semplicisticamente a quella della garanzia fideiussoria (come afferma la ricorrente) ma a una forma di garanzia sostanziale, costituita dalla volontà – giuridicamente vincolante – di assicurare l’adempimento dell’obbligazione del terzo, in una delle molteplici forme possibili in cui è possibile addivenire ad esso (ad es. mettendo a disposizione della debitrice la provvista per l’adempimento).
I1 secondo motivo, perciò, è del pari infondato, atteso che nella sentenza impugnata la qualificazione dell’atto come lettera di patronage è ricostruita con piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione dei relativi impegni, onde la coerente conclusione circa l’accertamento dell’esistenza di un danno potenziale (la cui entità e sussistenza non sono state censurate dalla ricorrente).
6.In conclusione il ricorso, è infondato alla luce del principio di diritto secondo cui:
«con riguardo alle cosiddette lettere di ‘patronage’, che una società capogruppo o controllante indirizzi ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata, l’indagine diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie sulla situazione del gruppo o sul rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in condizione di valutare adeguatamente l’opportunità di riconoscere detto credito, ovvero implichino anche l’assunzione di garanzia fideiussoria per i debiti della società controllata, si traduce in un accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, se correttamente ed adeguatamente motivato» (Cass., sez. 1, 9 maggio 1985, n. 2879).
6.1. Esso perciò deve essere respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi e 5.200,00, di cui e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.
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