banca

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 9 febbraio 2016, n. 2535

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione notificato il 2 agosto 2004, B.S. e C.D. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Intesa Sanpaolo s.p.a. (già Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.) chiedendo dichiararsi la nullità di due contratti di investimento in obbligazioni Cirio, stipulati con il Banco Ambrosiano Veneto in data 18 maggio 2000 e 1 febbraio 2001, con condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme versate per l’acquisto di tali titoli, o – in subordine – al risarcimento dei danni subiti, quantificati in Euro 320.000,00 (Euro 260.000,00 per la prima operazione di investimento ed Euro 60.000,00 per la seconda). Il Tribunale adito, con sentenza n. 8552/2005, depositata il 20 luglio 2005, rigettava la domanda, condannando gli attori alle spese di lite.
2. Avverso taie decisione proponevano appello il B. e la C. , con atto di citazione notificato il 4 settembre 2006. Il gravame veniva accolto dalla Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1947/2009, depositata il 6 luglio 2009. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure – in riforma dell’impugnata sentenza – riteneva di dover ravvisare nella condotta dell’appellata la violazione degli obblighi di informazione sulla medesima incombenti ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e degli artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998. La Corte condannava, pertanto, Intesa Sanpaolo s.p.a. a pagare ai signori B. e C. la minor somma, rispetto all’ammontare complessivo dell’investimento, di Euro 260.000,00, oltre agli interessi legali ed alle spese processuali dei due gradi del giudizio.
3. Per la cassazione della sentenza n. 1947/2009 ha proposto, quindi, ricorso Intesa Sanpaolo s.p.a. nei confronti di B.S. e di C.D. , affidato a sei motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
4. I resistenti hanno replicato con controricorso.

Considerato in diritto

Con il primo, secondo e terzo motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – Intesa Sanpaolo s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 58 del 1998, 28, comma 2 e 29, comma 3, del Regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis).

1.1. La ricorrente si duole, anzitutto, del fatto che – in violazione del disposto di cui agli artt. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, 28 e 29 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998 – la Corte di Appello abbia applicato all’obbligo di adeguatamente informare il cliente circa la natura ed i rischi dell’investimento che si accinge a fare, sancito dall’art. 28 del Regolamento succitato, la disciplina dettata per il diverso obbligo di segnalazione per iscritto dell’inadeguatezza dell’operazione, previsto dall’art. 29 del medesimo Regolamento.

1.2. Il giudice di appello avrebbe, inoltre, interpretato erroneamente il contenuto dell’obbligo di adeguatamente informare il cliente circa la specifica operazione di investimento, ritenendo, in primo luogo, che tale informativa dovesse essere fornita per iscritto, laddove l’art. 28 cit. non prevede affatto tale onere di forma, e ritenendo, in secondo luogo, che detta informativa debba essere ‘specifica’, laddove [”adeguatezza’ delle informazioni, unico parametro della correttezza dell’operato dell’intermediario finanziario preso in considerazione dal legislatore, non sarebbe esclusa per il fatto che esse siano fornite in modo sintetico, o addirittura generico, purché la loro essenzialità sia idonea – e lo sarebbe nel caso concreto, ad avviso della ricorrente – a fornire all’investitore i dati indispensabili per effettuare scelte consapevoli.

1.3. Sul piano motivazionale, la Corte territoriale non avrebbe, infine, valutato che l’avvertimento circa la ”mancanza di garanzia di conservazione del capitale’ sarebbe stato accompagnato, nella specie, dalla segnalazione scritta – operata dall’istituto di credito – che l’operazione doveva considerarsi inadeguata, ai sensi dell’art. 29 cit., atteso che i clienti non avevano fornito le informazioni sul loro profilo finanziario, e che – nondimeno – i medesimi avevano confermato la loro intenzione di dare corso all’operazione di investimento. Ed inoltre, nel ritenere sussistente la violazione dei predetti obblighi informativi, il giudice di seconde cure non avrebbe considerato che l’elevato esperienza finanziaria dei B. , dimostrata dalla notevole quantità di investimenti mobiliari in titoli “a rischio’, era comunque tale da evidenziare ‘un profilo finanziario speculativo-dinamico dei clienti’ e, di conseguenza, la loro assoluta capacità di rendersi conto dei profili di rischio dell’operazione che andavano a compiere.

1.4. le censure suesposte sono infondate.

1.4.1. L’art. 21, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevede, in via generale, che: ‘1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; (…..)’. Dispone, poi, l’art. 28 del Regolamento CONSOB n. 1522 del 1998 (abrogato con decorrenza dal 2 novembre 2007 dall’art. 113 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007 n. 16190, con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, ma applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis), che: ‘1. (….). 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento’.

Il successivo art. 29 del medesimo Regolamento stabilisce, infine, che: “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, Io informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute’.

1.4.2. Orbene, il suesposto quadro normativo di riferimento evidenzia, senza ombra di dubbio, che la pluralità degli obblighi facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) – al contrario di quanto sostenuto dalla banca istante – convergono verso un fine unitario: segnalare all’investitore la non adeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere (c.d. suitability rule). Alla base di siffatta finalità sta, invero, la considerazione secondo cui ogni investitore razionale è avverso al rischio, sicché il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio ed, a parità di alea, quello più redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio.

La scelta tra differenti opportunità di investimento è, quindi, essenzialmente un problema di raccolta e di valutazione di informazioni, ovvero di ogni dato sulla natura dello strumento finanziario, sul suo emittente, sul suo rendimento e sull’economia nel suo complesso, compresa l’informativa circa l’eventuale sussistenza, con riferimento alla singola operazione da porre in essere, di una situazione di c.d. grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo ed il rating del prodotto finanziario nel periodo in considerazione, o – addirittura – di una situazione di imminente default economico dell’ente o dello Stato emittente. Ed è evidente che, essendo le informazioni finanziarie complesse e costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a disposizione degli investitori, o da essi acquisibili. Da tali considerazioni discende, dunque, la necessità che – come si dirà in prosieguo – l’operato della banca o dell’intermediario finanziario sia, nell’evidenziare l’eventuale non adeguatezza dell’operazione, altamente professionale, prudente e diligente.

1.4.3. Nel senso dell’unitaria finalizzazione degli obblighi dei soggetti autorizzati a compiere le operazioni in parola a consentire la c.d. suitability rule, depone, del resto, il richiamo che l’art. 29, comma 2, del Regolamento n. 11522 del 1998 opera al precedente art. 28, sancendo che “ai fini di cui al comma 1′ – ossia per stabilire se l’operazione sia, o meno, adeguata, dovendo in caso di inadeguatezza dell’operazione l’intermediario astenersi dal compierla – “gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati’. È di chiara evidenza, pertanto, che l’obbligo di informazione (art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e art. 28 del Regolamento n. 11522 del 1998) e l’obbligo di segnalare la non adeguatezza dell’operazione e di indicare ‘le ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione’ (art. 29 del Regolamento cit.), confluiscono nell’unitario obbligo di diligenza, di correttezza e di trasparenza dell’intermediario finanziario, sancito dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998.

1.4.4. In tal senso si è, peraltro, già da tempo espressa la giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che, in tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore ‘un’informazione adeguata in concreto’, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010). A tal fine, si è – tuttavia – osservato che la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca (nella specie in obbligazioni Cirio) e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può – di certo – costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, al più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015). 1.4.5. Tutto ciò premesso, nel caso di specie dall’esame degli atti si evince, per contro, che l’allora Banco Ambrosiano Veneto (oggi Intesa Sanpaolo s.p.a.) si era limitato – come accertato dalla sentenza di appello (p. 5) – alla generica dichiarazione, rivolta agli investitori, secondo cui ‘non esiste alcuna garanzia di mantenere invariato il valore dell’investimento’, e che, a fronte della segnalazione scritta che l’operazione doveva considerarsi inadeguata (art. 29 del Regolamento), i medesimi avrebbero dichiarato: ‘malgrado sia stato avvisato che la disposizione di cui sopra è stata giudicata non adeguata a seguito del rifiuto da me espresso di fornire informazioni confermo comunque la mia intenzione di dare corso a detta operazione’. Orbene, è di tutta evidenza che detta segnalazione di inadeguatezza dell’operazione non contiene indicazione alcuna delle eventuali specifiche avvertenze ricevute dalla banca, circa la natura ed alle caratteristiche del titolo, il suo emittente, il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione, ed eventuali situazioni di grey market o di default dell’emittente, ai fini suindicati. E tali informazioni economiche erano, nella specie, tanto più necessarie in quanto il crollo delle obbligazioni Cirio era imminente, al momento in cui l’ordine di acquisto veniva emesso dai clienti.

1.4.6. Né può ritenersi che all’operatività di detto obbligo di diligenza e di trasparenza – diretto a consentire all’investitore di compiere un’operazione adeguata e consapevole – sia di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perché ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob. Ed invero, nella specifica materia dei contratti di intermediazione finanziaria, la qualità di operatore qualificato ha un preciso contenuto tecnico giuridico, espressamente disciplinato dall’art. 31, comma 2, del regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522, che non può, pertanto, essere integrato dal mero riferimento all’entità del patrimonio dell’investitore ed alle sue attitudini imprenditoriali (Cass. 17333/2015).

1.4.7. E neppure il comportamento della ricorrente può ritenersi giustificato dal fatto che, a fronte della segnalazione di inadeguatezza dell’operazione – peraltro, come dianzi detto, del tutto prova di riferimenti alle informazioni date ai clienti – questi ultimi avevano ribadito per iscritto la loro volontà di effettuare l’operazione.

1.4.7.1. Va, difatti, osservato, al riguardo, che – secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte ed alla quale si intende dare continuità – in tema di gestione di patrimonio mobiliare, è configurarle la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso. La professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone, invero, di valutare comunque l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3 e 1727, comma 1, cod. civ., qualora non ravvisi tale adeguatezza.

È bensì vero, infatti, che, a differenza della legge n. 1 del 1991, art. 8, lett. e), (‘il cliente può impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare salvo il diritto di recesso della società ai sensi dell’art. 1727 c.c.’), l’art. 24, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 58 del 1998 – nel testo vigente ratione temporis, precedente la novella introdotta dall’art. 4 del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 – non ha fatto espressamente salvo il diritto di recesso del gestore ai sensi dell’art. 1727 c.c.. Tuttavia – come hanno concordemente osservato la migliore la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte – ciò non significa che le istruzioni del cliente siano in ogni caso vincolanti, posto che deve tenersi conto del più ampio diritto di recesso attribuito all’intermediario dall’art. 24, comma 1, lett. d), (nel testo vigente ratione temporis), esercitabile anche in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’art. 1727, comma 1, c.c. (cfr. Cass. 7922/2015; 12262/2015).

1.4.7.2. E, del resto, come si è in precedenza rilevato, la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, quand’anche – ipotesi non ricorrente nel caso concreto – il medesimo dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della compieta valutazione del ‘grado di rischiosità’, non può essere comunque qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte, che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio. Siffatta dichiarazione è, peraltro, altresì inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dagli artt. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. 11412/2012).

1.4.8. A tutto quanto suesposto va, dipoi, soggiunto che è certamente significativo dell’intento di accentuare i profili di responsabilità degli intermediarti finanziari, il fatto che l’evoluzione legislativa – per l’influenza di determinazioni assunte a livello comunitario – si sia posta nell’ottica di ampliare notevolmente i parametri di valuta-zione della correttezza informativa, da parte degli operatori del settore, da fornirsi ai clienti in sede di conclusione delle operazioni di investimento finanziario. Basti citare in proposito – ma una ben più lunga, dettagliata ed analitica indicazione degli specifici obblighi informativi è contenuta negli articoli successivi – l’art. 27 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007, n. 16190, con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, a norma del quale “1. Tutte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti. Le comunicazioni pubblicitarie e promozionali sono chiaramente identificabili come tali. 2. Gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all’impresa di investimento e ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziari e alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento; c) alle sedi di esecuzione, e d) ai costi e oneri connessi’. Si è evidentemente in presenza di una presa di coscienza, da parte del legislatore nazionale – sulla scorta di sollecitazioni di rango Europeo -, dell’estrema delicatezza e complessità delle operazioni di investimento che si vanno a compiere da parte di soggetti che, nella quasi totalità dei casi, sono scarsamente consapevoli dei rischi, spesso assai elevati, che possono incontrare nell’investire i propri risparmi nell’acquisto di titoli non affidabili.

1.4.9. Nel caso concreto, la banca intermediaria – ad onta di tutte le carenze informative e comportamentali suesposte – si è, nondimeno, determinata a compiere l’operazione, sebbene – come risulta dalla stessa sentenza impugnata – si fosse in presenza di un investimento ad alto rischio, concernente un’emittente in situazione di imminente default economico, avente ad oggetto una somma molto elevata, e – per di più – sulla base di una indicazione di rischio del tutto generica.

1.5. Per tutte le considerazioni che precedono, i motivi di ricorso in esame non possono, pertanto, trovare accoglimento.

Con il quarto motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., nonché l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ..

2.1. Avrebbe errato la Corte di Appello nel ritenere comprovato il nesso causale tra l’inadempimento della banca agli obblighi informativi per cui è causa – anche a volerlo ritenere sussistente, in via di mera ipotesi – ed il danno sofferto dai coniugi B. , laddove il consistente numero di acquisto di titolo ad alto rischio posto in essere dai medesimi avrebbe dovuto indurre il giudice di seconde cure a ritenere che gli investitori avrebbero comunque effettuato l’operazione a prescindere dall’informativa sulla rischiosità del titolo, ovverosia quand’anche i B. fossero stati correttamente informati della rischiosità dell’investimento che andavano a porre in essere.

2.2. Senonchè, va – per contro – osservato al riguardo che, nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può fermarsi alla constatazione della mancanza della prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. In mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (art. 23, ultimo comma, del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà, pertanto, tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore (Cass. 18039/2012), che devono, di conseguenza, considerarsi – in difetto di prove di segno contrario da parte dell’intermediario – in nesso di causalità con la predetta condotta inadempiente. Pertanto, ai fini della risarcibilità del danno subito, è sufficiente che l’investitore alleghi da parte della banca o dell’intermediario finanziario l’inadempimento delle obbligazioni poste a loro carico dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 (integrato dalla normativa secondaria) e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento, incombendo, per contro, sull’intermediario l’onere di dimostrare d’aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 22147/2010; Cass. 4620/2015).

2.3. Orbene, nel caso concreto, la Corte di Appello, dopo avere accertato la sussistenza di una condotta inadempiente della banca, ha altresì affermato che il danno risarcibile sofferto dai coniugi B. era da ascriversi alla stessa (‘deve conseguentemente essere accolta (….) stante l’accertato inadempimento dell’intermediario agli obblighi comportamentali previsti a suo carico (….) la domanda di condanna della banca appellata al risarcimento del danno’). Sicché deve ritenersi in concreto accertata la riconducibilità, sul piano causale, del pregiudizio subito dagli investitori all’inadempimento da parte della banca ai suindicati obblighi sulla medesima incombenti.

2.4. Questa Corte ha, peraltro, altresì affermato, in proposito, che, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, e questi non rientri – come nel caso di specie – in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è neppure configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno per non essersi egli stesso informato tramite la stampa della rischiosità dei titoli acquistati. Ed infatti, lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo che non può essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte (Cass. 29864/2011).

2.5. Per tali ragioni, dunque, il mezzo in esame deve essere rigettato.

Con il quinto motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo s.p.a. denuncia l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis).

3.1. Il giudice di seconde cure avrebbe, invero, condannato la banca ricorrente al risarcimento dei danni anche con riferimento alla seconda operazione di investimento, operata dai coniugi B. in data 1 febbraio 2001, sebbene la motivazione dell’impugnata sentenza fosse tutta incentrata sulla prima di dette operazioni, effettuata il 18 maggio 2000.

3.2. La censura è infondata.

3.2.1. Dall’esame dell’impugnata sentenza si evince, infatti, che la Corte di Appello ha liquidato il danno – a fronte della maggiore richiesta degli attori di Euro 320.000,00 – in misura corrispondente all’importo perduto a seguito del primo investimento (Euro 260.000,00), detraendo le cedole incassate ed i rimborsi percepiti dai clienti, così come dedotto dall’appellato istituto di credito, e sulla base della ritenuta configurabilità dell’inadempimento della banca in relazione solo al primo investimento.

3.2.2. La sentenza di appello ha, di conseguenza, del tutto escluso – contrariamente all’assunto della ricorrente – la risarcibilità anche del secondo investimento di Euro 60.000,00, operato dai B. in data 1 febbraio 2001.

3.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.

Con il sesto motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo s.p.a. denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis).

4.1. La ricorrente deduce che la Corte di Appello avrebbe dovuto detrarre dall’ammontare del risarcimento, oltre alle cedole incassate ed ai rimborsi percepiti, anche i titoli ancora detenuti in portafoglio dai clienti, e che ammonterebbero ad Euro 38.900,00.

4.2. La censura, a fronte della quantificazione del danno operata dalla Corte territoriale sulla scorta degli elementi desunti dagli atti di causa, implica – peraltro – un accertamento di fatto in ordine all’esistenza ed all’ammontare di eventuali titoli detenuti in portafoglio dagli odierni resistenti, non operabile – com’è del tutto evidente – in sede di legittimità (Cass. S.U. 24148/2013).

4.3. Il mezzo va, pertanto, disatteso.

Per tutte le ragioni suesposte, il ricorso proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. deve, di conseguenza, essere integralmente rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge.

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