Cassazione 3

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

ORDINANZA 21 gennaio 2016, n.1081

Motivi della decisione

– Il ricorrente propone avverso la sentenza impugnata due motivi di censura, che possono essere così riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli art. 83, 125, 156 e 638 c.p.c., in quanto il difensore sottoscrittore dell’atto e certificante l’autografia era senza alcun dubbio quello munito della procura, mentre l’indicazione di un diverso difensore quale mandatario nella procura fu mero lapsus calami: l’atto era idoneo a realizzare il suo scopo tipico, che è quello di fornire alla controparte la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta al sottoscrittore;

2) violazione e falsa applicazione degli art. 86, 125, 163 e 638 c.p.c., per avere la corte del merito affermato che l’anomalia iniziale predetta non è stata mai sanata, determinando un equivoco sulla persona del procuratore: laddove invece la parte stessa aveva presenziato alle udienze e, dopo la revoca del mandato in data 20 settembre 2006, aveva dichiarato di assumere la propria difesa personale.

– Il ricorrente ha omesso di depositare la copia notificata della sentenza impugnata, provvedendo tempestivamente a produrne solo la copia autentica.

Peraltro, la copia notificata della sentenza d’appello si trova nel fascicolo del controricorrente e da essa risulta che il ricorso è stato proposto entro il termine breve, decorrente dalla notificazione stessa.

2.1. – Dal mancato deposito ad opera del ricorrente, il quale ha reso la Corte edotta dell’avvenuta notificazione della sentenza impugnata, della copia notificata della medesima deriverebbe, secondo il principio da ultimo sancito dalle S.U. della Corte nel 2009, la declaratoria di improcedibilità del ricorso.

Il rilievo dell’improcedibilità ex art. 369 c.p.c. deve essere operato d’ufficio, stante il carattere perentorio del termine e non potendo la suddetta violazione ritenersi sanata in forza della sola circostanza che la parte resistente abbia notificato il proprio controricorso senza sollevare eccezione di improcedibilità (cfr. Cass. 18 gennaio 2006, n. 888, in motivazione; sulla rilevabilità d’ufficio della mancata produzione della copia autentica della sentenza, Cass., sez. un., 25 novembre 1998, n. 11932, ed altre; con riguardo all’omesso deposito del ricorso, Cass., ord. 8 ottobre 2013, n. 22914 e 26 gennaio 2006, n. 1635).

2.2. – Rileva il Collegio come la questione dell’improcedibilità del ricorso per il mancato deposito della copia notificata della sentenza impugnata, pur quando essa risulti dal fascicolo del controricorrente, sia stata oggetto di un dibattito risalente nella giurisprudenza di legittimità, nel cui ambito si è pronunciata due volte la Corte a Sezioni unite, in entrambi i casi essendo prevalso l’orientamento più rigoroso (Cass., sez. un., 25 novembre 1998, n. 11932; 16 aprile 2009, nn. 9004-9005).

In queste decisioni, la Corte ha affermato che va data un’interpretazione letterale all’art. 369 c.p.c., riguardando la norma anche l’ipotesi in cui sia stata depositata in giudizio la copia notificata della sentenza impugnata ad opera della parte controricorrente, deposito che non vale ad escludere la sanzione dell’improcedibilità, dalla legge comminata per la mera inosservanza dell’adempimento formale.

Tale conclusione, quanto alla specifica ipotesi all’esame, potrebbe forse essere rimeditata. Le ragioni di seguito esposte traggono spunto dalle conclusioni già raggiunte da questa Corte, anche a Sezioni unite, in altre fattispecie, per taluni versi non dissimili dalla presente, quanto ai valori sottesi oggetto di bilanciamento.

Giova procedere dall’analisi degli argomenti che le S.U. avevano esposto nelle sentenze gemelle del 2009.

2.2.1. – Secondo un primo argomento letterale, nel senso dell’improcedibilità, secondo le Sezioni unite, milita anzitutto la lettera della norma dell’art. 369, 2 comma, n. 2, c.p.c., la quale non si presta a dubbi interpretativi di sorta, collegando la sanzione alla mancanza di deposito ‘insieme col ricorso’ della ‘copia autentica… con la relazione di notificazione’.

Per la verità, sebbene anche la prima di queste espressioni appaia del tutto inequivoca, al riguardo le S.U. del 2009 hanno compiuto un’apertura, affermando che il deposito della copia notificata può avvenire non solo con il ricorso, ma ‘anche – a norma del secondo comma dell’art. 312 c.p.c., applicabile estensivamente ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso – separatamente, ma comunque entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c.’: ciò, in difformità dalla mera lettera della legge, compiendo dunque un’interpretazione teleologica.

Quanto alla seconda previsione, invece, l’interpretazione delle Sezioni unite nelle sentenze menzionate è letterale.

Ma la possibilità di una lettura che, sia pure nel rispetto della norma, proceda lungo direttrici che permettano l’interpretazione del dato testuale alla stregua della complessiva ricostruzione ermeneutica della medesima, naturalmente, non mancano nella giurisprudenza di questa Corte, a sezioni semplici o unite, pur dopo il 2009, sia con riguardo alla norma in discorso, sia ad altre disposizioni processuali.

Le stesse sentenze affermano che, se il ricorso per cassazione viene proposto nel termine di sessanta giorni dal deposito del provvedimento, non rileva se sia stato depositato il provvedimento stesso notificato: a dimostrazione del fatto che dall’adempimento, in taluni casi, è possibile ed è logico prescindere, e il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile (nello stesso senso, Cass., ord. 10 luglio 2013, n. 17066).

Così, con riguardo al n. 2 dell’art. 369, 1 comma, c.p.c., in ipotesi di notificazione della sentenza impugnata a mezzo posta, si afferma che basta il deposito della copia autentica della sentenza con la mera ‘attestazione dell’ufficiale giudiziario della spedizione dell’atto’ (Cass. 19 settembre 2014, n. 19750; sez. un., 12 maggio 2010, n. 11429), con orientamento ancora di recente ribadito (Cass. 4 marzo 2015, n. 4299).

Si noti che la decisione Cass. 19 settembre 2014, n. 19750 ha, in tal modo, in parte superato il diverso orientamento espresso dalle S.U. del 2009, interpretandone la portata ‘limitatamente ai casi di notificazione della sentenza a mezzo del servizio postale ad opera della parte non ricorrente’, in virtù di ‘considerazioni… ispirate ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame, che eviti, in ossequio anche al principio del giusto processo, oneri tali da rendere particolarmente difficoltosa la tutela giurisdizionale’.

Nello stesso senso, si è affermato che l’incompletezza della copia autentica della sentenza non comporta l’improcedibilità dell’intera impugnazione, impedendo soltanto lo scrutinio dei motivi relativi alle parti mancanti della sentenza impugnata (Cass. 19 dicembre 2013, n. 28460) e solo quando neppure dal fascicolo della controparte o d’ufficio si rinvenga la copia integrale il ricorso è improcedibile (Cass. 21 gennaio 2015, n. 1012).

Con riguardo, poi, alla fattispecie di cui al n. 4, 1 comma, dell’art. 369 c.p.c., la quale impone, a pena d’improcedibilità, il deposito, insieme al ricorso, degli atti processuali, documenti, contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, si è più volte affermato dalle Sezioni unite che l’onere è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, anche mediante la produzione del fascicolo di parte nel quale gli atti processuali e i documenti sono contenuti o addirittura mediante il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726; in quell’occasione, la causa era stata rimessa alle Sezioni unite da Cass., ord. 7 aprile 2011, n. 8027, in quanto oggetto di contrasto giurisprudenziale e costituente una questione di massima di particolare importanza), in tal modo decisamente superando, quindi, le Sezioni unite nel 2011 il dettato letterale della disposizione.

La decisione, invero, appare qui di particolare rilievo, in quanto palesa che le stesse Sezioni unite sono già tornate a riconsiderare la speciale rigidità anteriormente espressa.

Si legge, infatti, in tale sentenza, che l’orientamento più restrittivo si affidava appunto alla ‘lettura del dato testuale’ dell’innovazione introdotta nell’art. 369, 1 comma, n. 4, c.p.c., considerata ‘adempimento funzionale all’ineludibile esigenza (non solo certificativa) che la Corte abbia comunque in sua disponibilità, all’occorrenza, le complessive risultanze processuali dei gradi di merito del giudizio’, ossia ‘di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione… di potenziare la capacità decisionale della Corte, per fronteggiare il progressivo aumento delle sopravvenienze, attraverso l’incremento delle decisioni nelle più snelle forme di cui agli artt. 315 e 380 bis c.c.’; si rimarcava altresì, sempre dalla tesi più severa, come dovesse ‘la ragione della previsione del deposito di documenti già presenti nel fascicolo di causa ravvisarsi innanzitutto ed essenzialmente nella diversità dei tempi di disponibilità per la Corte dei suddetti documenti (posto che, mentre il fascicolo di causa sarà trasmesso successivamente, il deposito della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato unitamente al deposito del ricorso medesimo consente subito un primo screening dell’impugnazione, funzionale ad una immediata catalogazione ed organizzazione delle sopravvenienze)’ (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726, che così riferisce della tesi poi disattesa).

Ebbene, tutto ciò non ha impedito alle Sezioni unite di accogliere l’opposto orientamento, affermando che ‘il menzionato principio di strumentante e le esigenze e la finalità da ultimo richiamate facciano premio, in sede ermeneutica, sul vantaggio per la Corte di cassazione di disporre immediatamente degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda e che siano già contenuti nel fascicolo d’ufficio, comunque destinato a pervenire nella sua disponibilità una volta richiestane la tempestiva trasmissione da parte del ricorrente. Che, a ben vedere, l’alternativa sarebbe costituita dalla gravissima sanzione della declaratoria di improcedibilità del ricorso (ex art. 387 c.p.c., non più riproponibile) per non avere la parte prodotto atti di cui la Corte già normalmente dispone nel momento in cui esamina il ricorso, o di cui può agevolmente disporre’. Aggiungendo ancora: ‘Va, comunque, recisamente escluso che le esigenze o le disfunzioni organizzative degli uffici giudiziari possano giustificare decadenze non espressamente previste dalla legge. E va osservato che il principio della ragionevole durata del processo è stato bensì costituzionalizzato, ma con la previsione che è la legge ad assicurarla (art. 111 Cost., comma 2) ed è sempre la legge a regolare il giusto processo (art. 111 Cost., comma 1)’ (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726).

L’orientamento è seguito, in particolare, con riguardo all’adempimento dell’onere di depositare a pena di improcedibilità gli accordi o contratti collettivi, per i quali si afferma appunto come sia sufficiente riportare, nel corpo del ricorso stesso, la sola norma contrattuale su cui si fondano le doglianze principali, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato depositato nei precedenti gradi di giudizio e dall’elenco dei documenti depositati con il ricorso per cassazione risulti che la parte ha formulato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio (Cass., sez. un., ord. 7 novembre 2013, n. 25038; e, tra le sezioni semplici, Cass. 7 luglio 2014, n. 15437; 30 agosto 2010, n. 18854).

Ma ancora più rilevante è quanto hanno affermato le Sezioni unite, sempre in merito all’art. 369, 1 comma, n. 4, c.p.c. ed in epoca di poco successiva alle due sentenze gemelle del 2009, laddove hanno escluso che la sanzione dell’improcedibilità riguardi i contratti collettivi di diritto pubblico, per il fatto che essi sono immediatamente conoscibili grazie alla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (Cass., sez. un., 4 novembre 2009, n. 23329; sez. un., ord. 12 ottobre 2009, n. 21558; sez. un., ord. 12 ottobre 2009, n. 21560), andando in contrario al diverso orientamento (Cass. 6 luglio 2009, n. 15815).

Con riguardo al mancato deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, di cui all’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nel termine fissato per il deposito del ricorso per cassazione, cioè entro venti giorni dalla notificazione, si era, del resto, già da tempo affermato che ciò determina l’improcedibilità del ricorso soltanto se l’esame di quel fascicolo risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità (Cass., sez. un., 11 giugno 2001, n. 7869; e poi Cass. 3 marzo 2011, n. 5108).

2.2.2. – Alla stregua dell’argomento teleologico, la tesi restrittiva richiama lo scopo dell’art. 369 c.p.c. di consentire la verifica della tempestività dell’atto d’impugnazione (Sez. un., n. 11932 del 1998): ma qui, pare agevole replicare che proprio quella verifica permette la sentenza notificata prodotta dalla parte controricorrente.

Si fa leva, inoltre, sulla specifica ratio della disposizione, volta a permettere alla S.C. la verifica tempestiva dell’eventuale inammissibilità, appunto ponendo un autonomo requisito di procedibilità.

Ma tale argomento potrebbe cedere, a fronte della considerazione secondo cui è ben più celere il deposito della copia notificata da parte del controricorrente, rispetto al momento in cui la Corte esaminerà il ricorso (vuoi pure presso la VI Sezione), onde l’esigenza esposta sarebbe soddisfatta se, in tal modo, risultasse l’avvenuta proposizione del ricorso entro il termine breve decorrente da quella notificazione.

2.2.3. – Ulteriore argomento, di pari natura, sviluppato dalle Sezioni unite del 2009 attiene all’esigenza di celerità ed ai caratteri di specialità del processo di Cassazione, la prima ricollegata al principio del giusto processo, la seconda alla funzione nomofilattica del giudice di legittimità.

Al riguardo sembra, peraltro, di poter affermare che il principio del giusto processo implica, con almeno pari dignità, l’esigenza di tutelare l’esercizio del diritto di difesa, allorquando l’interesse per favorire il quale si giunga alla sua compressione sia stato comunque soddisfatto, nella specie permettendo la copia prodotta nel fascicolo di controparte il controllo del rispetto del termine per impugnare.

D’altro canto, la funzione di legittimità certamente esige l’individuazione (più ancora di quanto sinora sia stato tentato) di criteri selettivi d’accesso, al pari delle omologhe Corti Europee. Epperò, tale selezione non sembra ragionevole sia compiuta sulla base di un evento accidentale e del tutto sganciato (non diciamo dalla meritevolezza, ma) da qualsiasi connotato oggettivo concernente il ricorso come tale: quali l’entità o la delicatezza dell’oggetto; l’esigenza di dettare una regola nomofilattica per i casi avvenire; ed anche l’essere incorso il ricorrente in irrimediabile decadenza.

Non sembra rispondere, invece, alla medesima ratio lo sbarramento in rito comminato, si noti, non quando il ricorso sia intempestivo, ma quando invece lo sia; e, al contrario, lasciarne permanere la procedibilità e l’attitudine a pervenire alla pronuncia decisoria, laddove in ipotesi semplicemente il ricorrente nulla abbia dedotto circa la data di notificazione della sentenza impugnata, evenienza in cui la S.C. dovrebbe considerare il ricorso senz’altro proposto nel termine lungo ed astenersi dal pronunciare qualunque inammissibilità.

2.2.4. – Argomento ulteriore a sostegno della tesi restrittiva, che esclude la rilevanza dell’eventuale deposito della copia notificata da parte del controricorrente, fa riferimento alla funzione dell’adempimento in quanto volto all”ordinato svolgimento del giudizio di cassazione’ (Cass. 1 ottobre 2004, n. 19654, che parimenti esclude la rilevanza dell’eventuale deposito della copia notificata da parte del controricorrente): alquanto indeterminato, però.

2.2.5. – Quanto al rischio di porre ‘la sorte del giudizio di cassazione nelle mani del controricorrente, dalla cui decisione di produzione della suddetta copia con la relata dipenderebbe la procedibilità’ (così, in motivazione, ancora Cass. n. 19654 del 2004), la situazione non sembra, poi, così distante da ogni altra ipotesi in cui, pure in presenza di un’eccezione in senso lato, sia proprio la controparte sovente a sollevare la questione, come per la mancanza di quesito di diritto, ovvero per il difetto di procura, ecc.

Anzi, sono proprio le S.U., nelle sentenze gemelle del 2009, a dar peso all’eccezione del controricorrente pur nell’ambito del giudizio di procedibilità del ricorso: laddove, invero, affermano, sulla scia di pronunce precedenti (fra cui la ora menzionata Cass. n. 19654 del 2004) e poi seguite da altre decisioni (Cass. 31 marzo 2014, n. 7469), che è proprio l’eventuale eccezione del controricorrente sull’avvenuta notificazione ad imporre alla Corte, pur quando il ricorrente nulla abbia dedotto circa la notifica della sentenza, di rilevare – e solo allora – l’omissione, sanzionandolo con la declaratoria d’improcedibilità.

Piuttosto, in tal caso spesso, all’opposto, il deposito della copia notificata da parte del controricorrente è involontariamente causa dell’effetto salvifico per il ricorrente, evitandogli la declaratoria di improcedibilità. È quanto nella sostanza rilevato da una decisione (Cass. 18 gennaio 2006, n. 888), la quale afferma che si introdurrebbero allora ‘nel sistema elementi di alea ed imprevedibilità che sarebbero gravemente pregiudizievoli del principio della certezza del diritto, finendo con il far dipendere il giudizio sull’osservanza delle forme e dei termini, e l’esito stesso del giudizio, da circostanze casuali ed imponderabili’.

Ma, anche qui, l’argomento non sembra decisivo, perché l’effetto di scongiurare l’improcedibilità conseguirebbe all’oggettivo deposito fattuale in giudizio della copia notificata: proprio come la speculare omissione da parte del ricorrente non viene valutata affatto sotto il profilo soggettivo della sua colpevolezza.

2.3. – Occorre ancora osservare come l’interpretazione restrittiva possa presentare profili di problematicità con riguardo ai principio interno e sovranazionale della c.d. ‘effettività’ della tutela giurisdizionale.

Per ‘principio di effettività’ si intende l’esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale.

Com’è noto, il principio di tutela giurisdizionale effettiva trova le sue fonti negli art. 6 e 13 Cedu e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali Ue, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, derivando esso dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri.

Ha ricordato la Corte di Strasburgo (Corte eur. DU 18 gennaio 2011, ric. n. 2555/03, Guadagnino c. Italia e Francia, punto 55) che le garanzie procedurali sancite dall’art. 6 in relazione all’equità, alla pubblicità ed alla celerità risulterebbero prive di senso, qualora non fosse tutelato il presupposto di tali garanzie, ossia l’accesso al giudice.

Esso, insito nell’art. 111 Cost. ove menziona il diritto al ‘giusto processo’ (così Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931), è dunque anche un principio generale del diritto dell’Unione (Corte giustizia Unione Europea, 28 novembre 2013, n. 280/12 P; 28 febbraio 2013, C-334/12 RX-II, Arango Jaramillo e. BEI, punti 40, 42; 13 marzo 2007, n. 432/05).

Orbene, è vero che il ricorso per cassazione è mezzo a critica limitata basato su motivi tipizzati e strutturato come processo di mera legittimità, in cui sono previsti requisiti di procedibilità ed ammissibilità: e, tuttavia, occorre pur sempre interpretarli in modo che essi non si pongano in contrasto con il ricordato principio di effettività.

Già nel risolvere la questione, su cui si era determinato un contrasto giurisprudenziale di legittimità tra varie pronunzie, con riguardo all’ammissibilità del ricorso per cassazione in presenza di un’errata indicazione della norma violata o del vizio ex art. 360, 1 comma, c.p.c., le Sezioni unite hanno avuto occasione di ricordare: ‘la Corte di Strasburgo reputa che nell’interpretazione ed applicazione della legge, in particolare di quella processuale, gli stati aderenti, e per essi i massimi consessi giudiziari, devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale sopra menzionato’ (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931).

La notazione appare del tutto pertinente nel caso in esame, come pure le significative pronunzie della Corte di Strasburgo ivi segnalate (Corte eur. DU 24 aprile 2008, ric. n. 17140/08; 21 febbraio 2008, ric. n. 2602/06; 8 giugno 2005, ric. n. 74328/01).

Ad esse occorre aggiungere la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale afferma che – pur non essendo il diritto di accesso assoluto e permettendo limitazioni interne di ricevibilità del ricorso ‘queste restrizioni non possono limitare l’accesso disponibile alla parte in causa in maniera o a un punto tali che il suo diritto a un tribunale venga leso nella sua stessa sostanza ; infine, esse si conciliano con l’articolo 6 § 1 soltanto se tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (…). In effetti, il diritto di accesso ad un tribunale viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente (Corte eur. DU 16 giugno 2015, ric. n. 20485/06, punto 39).

La sentenza ricorda pure che ‘l’art. 6 della Convenzione non costringe gli Stati contraenti a creare delle corti drappello o di cassazione. Tuttavia, uno Stato che si dota di giurisdizioni di tale natura ha l’obbligo di vigilare affinché le parti in causa beneficino presso di esse delle garanzie fondamentali’ (punti 40, 41).

Nello stesso senso già altre pronunce, secondo cui, sebbene il diritto a ricorrere dinanzi a un giudice non sia assoluto, ma assoggettabile a limitazioni, segnatamente per quanto riguarda le condizioni di ricevibilità di un ricorso, esse non devono tuttavia impedire ai singoli di avvalersi di un rimedio giuridico disponibile (Corte eur. D.U. 6 dicembre 2011, ricorso n. 41959/08, Anastasakis c. Grecia, p.24; così pure citata Corte di giustizia UE 28 febbraio 2013, Arango Jaramillo, punto 43, e ord. 16 novembre 2010, Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione, C-73/10 P, punto 53) e si conciliano con l’art. 6 Cedu solo se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (cfr. Corte eur. DU 9 gennaio 2014, ricorso n. 71658/10, Viard c. Francia, punto 29; 18 gennaio 2011, ric. n. 2555/03, cit., punto 56; 24 aprile 2008, ricorso n. 17140/05, Kemp e altri e. Lussemburgo, punto 47; 24 maggio 2006, ric. n. 20627/04, Liakopoulou c. Grecia, punto 17).

È accaduto, in passato, che sia stata considerata in violazione dell’art. 6 Cedu una decisione di questa Corte, la quale aveva dichiarato inammissibile un’impugnazione a causa del mancato rispetto del termine assegnato al ricorrente per la notificazione dell’atto d’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., senza tener conto delle obiettive difficoltà incontrate dalla parte nell’effettuare tale attività di notificazione, essendo i litisconsorti residenti all’estero (cfr. Cass. 4 giugno 2001, n. 7482 e Corte eur. DU 19 maggio 2005, Kaufmann c. Italia), onde in seguito la Corte si è uniformata al meno restrittivo orientamento (Cass. 12 settembre 2008, n. 23543).

Allo stesso modo, più di recente le Sezioni unite (Cass., sez. un., 12 marzo 2014, n. 5700), proprio invocando l’art. 6 Cedu, hanno innovato sulla questione relativa alla possibilità di concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso per equo indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001.

In conclusione, la sanzione dell’improcedibilità del ricorso per cassazione potrebbe, dunque, costituire una limitazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva non proporzionale allo scopo perseguito dalla regola in esame.

2.4. – Pertanto, appare opportuno rimettere la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, 3 comma, c.p.c., con riguardo alla procedibilità del ricorso per cassazione quando la copia notificata della sentenza impugnata, non prodotta dal ricorrente che pur abbia dichiarato l’esistenza di tale evento, sia stata depositata da un’altra parte nel giudizio di legittimità.

– Come rilevato dal Procuratore generale, che in tal senso ha concluso, la causa presenta, peraltro, un’ulteriore ragione di rimessione, afferente i due motivi articolati nel ricorso.

3.1. – A fronte del conferimento della procura ad un difensore, ma con autenticazione della firma della parte ad opera di altro difensore, il quale sia anche indicato nell’epigrafe dell’atto e che lo abbia sottoscritto, si rinviene una pronuncia che fa salva la procura stessa (Cass. 4 agosto 2005, n. 16372), argomentando sulla base del principio secondo cui il rilascio della procura non richiede formule solenni ed espresse in termini tassativi, essendo sufficiente che sia deducibile la volontà di conferire al difensore i relativi poteri e facoltà, e potendosi qualificare il conferimento della procura a diverso difensore nominatim in essa indicato alla stregua di un mero errore materiale.

3.2. – Si verifica, tuttavia, che altre decisioni (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1235; 1 dicembre 1988, n. 6509) abbiano, all’opposto, ritenuto che il ricorso per cassazione, sottoscritto da un avvocato diverso da quello cui, nella procura a margine del ricorso stesso, era stato conferito il mandato a proporlo in quanto in essa nominalmente identificato, sia inammissibile, per la mancanza della necessaria procura in favore del sottoscrittore, non potendo il conferimento di essa desumersi dalla circostanza che il legale, che ha sottoscritto il ricorso, abbia autenticato la firma della parte in calce alla procura espressamente conferita ad altro professionista.

3.3. – Atteso il contrasto riscontrato negli orientamenti delle sezioni semplici, anche su tale questione appare pertanto opportuna la rimessione al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, 2 comma, c.p.c., per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte rimette la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione del giudizio alle Sezioni unite, in ordine alle questioni in motivazione indicate (pp.2.4 e 3.3).

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