Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 14 aprile 2016, n. 15646
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Perugia-sezione distaccata di Assisi riformava la sentenza del 9 marzo 2011 del Giudice di pace di Assisi, dichiarando G.F. colpevole dei reato di minaccia in danno di Clemente Lori e, per l’effetto, lo condannava alla pena di € 51 di multa nonché al risarcimento dei danno morale in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, liquidato in € 800,00.
2. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. G.C., ha proposto ricorso per cassazione affidato alle seguenti ragioni di censura.
Con il primo motivo si denuncia vizio di legittimità, in relazione agli artt. 576 ss. per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Si deduce, al riguardo, che, a fronte di assoluzione dell’imputato, era stato proposto appello solo dalla parte civile e non anche del pubblico ministero, di talché il giudice di appello non avrebbe potuto emettere statuizione di condanna.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di legittimità con riferimento agli artt. 612, 533 e 576 cod. proc. pen. per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e per mancanza e/o manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Impregiudicata l’assorbente questione di cui sopra, la pronuncia impugnata era censurabile per erronea valutazione delle risultanze processuali.
Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge in relazione all’art. 576 cod. proc. pen. per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e per mancanza o manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alle statuizioni civili. Ad ogni modo, il giudice di merito non avrebbe potuto emettere condanna al risarcimento dei danno in misura determinata, ma avrebbe potuto, al più, emettere condanna generica.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 163 ss. cod. proc. pen., in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Considerato in diritto
1. Sicuramente assorbente – siccome pregiudiziale – è il rilievo dell’insussistenza del fatto in contestazione, sia pure nella sola prospettiva della responsabilità agli effetti civili.
2. Certo, è indubbio che, a fronte di pronuncia assolutoria, il giudice di appello, investito del gravame della sola parte civile ed in mancanza di appello del Pm., non avrebbe potuto affermare la penale responsabilità dell’imputato, irrogando la relativa sanzione penale, ma avrebbe potuto provvedere, ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., solo agli effetti delle statuizioni civili.
Sennonché, in limine, è dato, ora, rilevare che l’espressione in questione (“ti restano pochi giorni”), correttamente contestualizzata – così come si é fatto da parte del primo giudice – avuto riguardo anche alle qualità personali dei soggetti coinvolti ed all’esistenza tra loro di meri dissapori per ordinarie questioni condominiali, era priva di reale valenza diffamatoria, non potendo neppure escludersi che avesse finalità di mera suggestione, per ovvia possibilità di essere recepita come connotata da capacità iettatoria. Ed invero, un’espressione siffatta (dei tutto equivalente a quella “devi morire’, di cui a Sez. 5, 10.4.2010 De Ceglie, non massimata) se, in astratto, è inidonea a configurare gli estremi della minaccia – alla stregua dei consolidato principio di diritto secondo cui, perché si perfezioni il delitto di minaccia, è necessario che l’agente prospetti un male ingiusto che, quand’anche non proveniente da lui, dipenda dalla sua volontà (tra le tante, Sez. 5, n. 7511 del 17.5.2000, rv. 216536) – può assumere, nel particolare contesto in cui è stata pronunciata od in ragione di peculiari modalità della vicenda o della qualità delle persone coinvolte, il contenuto della minaccia, ove l’evento morte possa, plausibilmente e realisticamente, prospettarsi come riconducibile alla volontà dell’agente.
Il che deve escludersi nel caso di specie, sulla base degli stessi elementi di fatto considerati dalla pronuncia in esame e da quella di primo grado.
2. Per quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata nei termini di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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