Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28136.
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
La parziale riforma della decisione impugnata, da parte della sentenza d’appello, può dar luogo alla modifica del capo relativo alle spese del primo grado di giudizio solo all’esito del rigoroso riscontro di un rapporto di dipendenza tra i due capi, inteso in senso costituzionalmente rispettoso del diritto all’impugnazione, tale cioè da non trasformare la proposizione dell’impugnazione in una reformatio in pejus per chi abbia impugnato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d’appello che, nel compensare per un terzo le spese del giudizio di primo grado, a seguito del parziale accoglimento del gravame, le aveva anche rideterminate in aumento rispetto alla decisione del tribunale, pur in mancanza di appello incidentale della parte interessata nonché di qualsivoglia concreta dipendenza dalla questione principale riformata).
Ordinanza|| n. 28136. La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
Data udienza 11 luglio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Impugnazioni in generale – Effetti della riforma o della cassazione appello – Riforma parziale della pronuncia di primo grado – Modifica del capo relativo alle spese – Ammissibilità – Condizioni – Fattispecie.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Presidente di sez.
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24911/2020 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio e quale erede legittimo di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS), quali eredi legittimi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1149/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 20/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/07/2023 dal Presidente Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
FATTI DI CAUSA
Nel 2007 (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Foggia, ex sezione distaccata di Manfredonia, la (OMISSIS) S.r.l. e, premesso di aver subito danni al loro muro di cinta a causa di un incendio divampato dal fondo confinante di proprieta’ della societa’ convenuta, ne chiesero, previa declaratoria di esclusiva responsabilita’, la condanna al pagamento di tutti i danni subiti, oltre interessi legali e spese.
Si costitui’ in giudizio la societa’ convenuta che, per quanto ancora rileva, chiese il rigetto della domanda con vittoria di spese.
Il Tribunale adito condanno’ la societa’ convenuta al pagamento, in favore degli attori e a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 3.611,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di lite.
Avverso tale decisione la (OMISSIS) S.r.l. propose appello, del quale gli appellati, costituendosi, chiesero il rigetto.
La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1149/2019, pubblicata il 20 maggio 2019, accolse il gravame per quanto di ragione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanno’ (OMISSIS) S.r.l. al pagamento in favore degli appellati della somma complessiva di Euro 1.819,00, oltre rivalutazione dal 2006 al soddisfo e interessi al tasso legale da liquidarsi secondo i criteri di cui alla sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite di questa Corte, nonche’ al pagamento dei due terzi delle spese del doppio grado di giudizio, con attribuzione ai procuratori costituiti, spese che compenso’ quanto al restante terzo, e dispose che la restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso dall’appellante, oltre interessi legali dalla data del pagamento al rimborso.
Avverso la sentenza della Corte di merito (OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da memoria.
Hanno resistito con controricorso (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di erede di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), moglie del primo e madre degli ultimi due.
Il P.M. non ha depositato sue conclusioni scritte.
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 41 del 2021, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge n. 69 del 2013, articoli 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 convertito, con modificazioni, nella L. n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sara’ completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal Decreto Legislativo n. 116 del 2017, articolo 32. Pertanto, ogni istanza proposta con riferimento alla decisione di tale questione all’epoca del ricorso gia’ sollevata dinanzi alla Consulta, e’ ormai superata dalla detta pronuncia.
Infatti, come gia’ affermato da questa Corte, a seguito della richiamata sentenza della Corte Cost., che ha dichiarato l’illegittimita’ di quelle disposizioni, contenute nel Decreto Legge n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella L. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo “status” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverra’ ad una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilita’ costituzionale dell’attuale assetto e’ volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass., ord., n. 32065 del 5/11/2021).
2. Il primo motivo si articola in due censure.
2.1. Con la prima, la ricorrente denuncia “Nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e articolo 111 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c. comma 1, n. 4”, per avere il giudice d’appello reso una motivazione inesistente o quantomeno apparente, per non aver illustrato – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso di fatto disattendere il motivo di gravame sull’an debeatur, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure.
2.2. Con la seconda, (OMISSIS) S.r.l. lamenta “Violazione e falsa applicazione degli articoli 2051 e 2697 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3”, per aver la Corte di appello sostanzialmente affermato che l’attuale ricorrente avrebbe dovuto fornire, in ordine all’incendio, la prova del caso fortuito, senza che i danneggiati abbiano, nel caso di specie, fornito la prova, a loro carico, del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno che essi avrebbero subito, cosi’ violando la regola sull’onere della prova.
3. Entrambe le doglianze, unitariamente illustrate dalla ricorrente sono da disattendere.
3.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, hanno affermato il principio, ripetutamente ribadito in seguito, secondo cui l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” – nella specie all’esame non sussiste.
La motivazione della sentenza impugnata non risulta, infatti, in particolare, meramente apparente, come sostenuto dalla ricorrente. La Corte di merito, richiamato il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 2962 del 7/02/2011 – sicuramente pertinente al caso di specie anche nella parte in cui evidenzia che e’ irrilevante che nel fondo dal quale si propaga un incendio che si diffonda nel fondo limitrofo si sia o meno originato l’incendio, essendo evidentemente decisiva la situazione del primo fondo obiettivamente idonea a determinare il propagarsi delle fiamme – ha ritenuto che correttamente il Tribunale ha reputato sussistente la responsabilita’ dell’attuale ricorrente, essendo emersa, dalle testimonianze rese dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), la presenza di erba alta con sterpaglie sul fondo di proprieta’ della detta societa’, dal quale, nel periodo indicato dagli istanti, era divampato un incendio che aveva arrecato danni al muro di proprieta’ di questi ultimi, e non avendo l’attuale ricorrente offerto la prova liberatoria del caso fortuito.
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3.2. Ne’ cosi’ decidendo la Corte territoriale risulta aver violato le norme di cui agli articoli 2051 e 2697 c.c. (v. da ultimo in relazione alla responsabilita’ ex articolo 2051 c.c., Cass., sez. un., ord., n. 20943 del 30/06/2022 e Cass. n. 11152 del 27/04/2023).
3.3. Inoltre, se e’ pur vero che la perizia stragiudiziale non ha valore di prova, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’, la valutazione della stessa e’ rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, come avvenuto nella specie. Del pari e’ stato pure precisato che il giudice del merito puo’ porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purche’ fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice (Cass., ord., n. 26550 del 12/12/2011); da ultimo si e’ pure specificato che in tema di prove civili, le conclusioni raggiunte in una perizia stragiudiziale, ritualmente depositata dalla parte nel processo, non possono formare oggetto di applicazione del principio di non contestazione, ai sensi dell’articolo 115 c.p.c. (principio cui pure, nell’illustrazione della censura, la ricorrente ha fatto riferimento per sostenerne l’inapplicabilita’ nella specie, v. ricorso p. 22), poiche’ esse non assurgono a fatto giuridico suscettibile di prova, ma costituiscono un mero elemento indiziario soggetto a doverosa valutazione da parte del giudice (Cass., ord., n. 34450 del 23/11/2022), valutazione nella specie operata (v. p. 5 della sentenza impugnata).
3.4. Nel resto le doglianze tendono ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, il che e’ inammissibile in questa sede, evidenziandosi pure che il giudice del merito non e’ tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata.
4. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 112, 324 e 336 c.p.c., nonche’ la violazione dei principi relativi al giudicato interno e al divieto di reformatio in peius per l’appellante in assenza di appello incidentale, il vizio di ultrapetizione e la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello, nel rimodulare le spese di lite del doppio grado di giudizio ex articolo 336 c.p.c., rideterminato in aumento rispetto alla decisione di primo grado le spese e competenze di causa poste a carico dell’appellante.
In sintesi, il giudice di appello di Bari, secondo la ricorrente, in mancanza di appello incidentale della parte appellata, pur potendo procedere alla compensazione di 1/3 delle spese per entrambi i gradi del giudizio, tuttavia non avrebbe potuto assolutamente, ai sensi dell’articolo 336 c.p.c., rideterminare in aumento le somme liquidate dal giudice di primo grado.
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4.1. Il motivo e’ fondato.
4.2. Nel caso all’esame, la Corte di appello, decidendo sull’impugnazione avverso la prima sentenza proposta unicamente dalla societa’ odierna ricorrente, ne ha deciso il parziale accoglimento, riducendo l’importo liquidato a titolo di risarcimento dei danni ad Euro 1.819,00, oltre rivalutazione ed interessi (a fronte di Euro 3.611,00 oltre rivalutazione ed interessi, liquidati per lo stesso titolo dal Tribunale); inoltre, ha espressamente ritenuto di dover, in conseguenza della parziale riforma della sentenza impugnata, provvedere alla modifica del regolamento delle spese liquidate dal primo giudice, tenuto conto dell’esito complessivo della lite, ed ha, quindi, compensato per un terzo le spese di entrambi i gradi del giudizio e poste le stesse, per i restanti due terzi, a carico dell’appellante e, applicando il Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 con riferimento allo scaglione fino ad Euro 5.200,00, valore medio, ha liquidato, per quanto rileva in questa sede, i restanti due terzi delle spese relative al primo grado in Euro 1.620,00, oltre 83,40 per esborsi (dovendosi, sulla base del tenore del dispositivo della sentenza impugnata, ritenersi tale ultimo importo liquidato per ognuno dei due gradi del giudizio di merito), nonche’ rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, con attribuzione ai procuratori costituiti (laddove, con la sentenza di primo grado, senza alcuna compensazione, il Tribunale aveva liquidato in favore degli attori Euro 1.500,00 per onorari difensivi ed Euro 83,40, oltre accessori come per legge).
Va evidenziato che, nella specie, i principi cui occorre far riferimento non sono quelli dell’applicazione delle tariffe vigenti all’epoca della sentenza del Tribunale o di quelle sopravvenute, bensi’ quelli relativi, in radice, ai poteri del giudice d’appello – e in generale del giudice dell’impugnazione – in ordine al capo delle spese nella sentenza impugnata.
Sul punto il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ pone come discrimen la sussistenza o meno della conferma della sentenza di primo grado, ritenendo che nel caso in cui questa sia stata confermata, il giudice d’appello non puo’ modificare la gia’ operata liquidazione delle spese, capo accessorio di quanto si e’ confermato, a meno che non sussista specifica impugnazione di questo; nel caso in cui, invece, sia stata riformata, anche parzialmente – e, quindi, anche in minima misura – vige un principio di unitarieta’, ordinariamente estratto dall’articolo 336 c.p.c., per cui vengono rimesse in discussione anche le spese del primo grado (v. ex multis, tra gli arresti piu’ recenti, v. Cass., ord., n. 14916 del 13/07/2020 e Cass., ord., n. 1775 del 24/01/2017, secondo cui “Il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non puo’, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, e’ tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’articolo 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese”; v. anche Cass., ord., n. 23226 del 14/10/2013; Cass., n. 17523 del 23/08/2011, la quale precisa che “In materia di liquidazione delle spese giudiziali nel giudizio di appello, il criterio di individuazione della soccombenza, sulla base del quale va effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e globale, anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite, condannando poi per il residuo una delle due parti;
in tal caso, l’unitarieta’ e la globalita’ del suddetto criterio comporta che, in relazione all’esito finale della lite, il giudice deve individuare la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del gravame e’ tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato”; Cass. n. 26985 del 22/12/2009 e, proprio per un caso di compensazione parziale come qui sussistente, Cass. n. 15483 dell’11/06/2008, secondo cui “Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese puo’ essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione. Invero, la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale sicche’ viola il principio di cui all’articolo 91 c.p.c. il giudice di merito che ritenga la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado. Peraltro, il criterio di individuazione della soccombenza deve essere unitario e globale anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarieta’ e la globalita’ del suddetto criterio comporta che, in relazione all’esito finale della lite, il giudice deve individuare quale sia la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale deve essere liquidata quella parte delle spese processuali che sia residuata all’esito della disposta compensazione parziale”).
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
Come questa Corte ha gia’ avuto modo di osservare (v. Cass. n. 23985 del 26/09/2019, in motivazione), risulta, comunque, evidente che l’unitarieta’, come principio regolante le spese attraverso il percorso dei gradi di giudizio, non puo’ peraltro non essere incastonata nelle ulteriori regole che governano il processo. Il rischio di intendere tale principio in modo avulso e dunque erroneo si e’ concretizzato talora, sia pur raramente, ed e’ stato ben percepito, tra gli arresti meno risalenti di questa Suprema Corte, da alcune pronunce che hanno focalizzato il problema indicandone pure la via d’uscita corretta, perche’ – al contrario – contestualizzante, ovvero sintonizzante con gli altri principi processuali. Sul punto si veda Cass. n. 58 del 7/01/2004, soprattutto in motivazione, nonche’ Cass. n. 19937 del 6/10/2004 e, in senso conforme, anche Cass. n. 9394 del 18/09/1998, Cass. n. 6440 dell’1/07/1998, Cass. n. 8755 del 7/10/1996 e Cass. n. 5748 del 21/06/1996.
Va pure richiamata Cass. n. 4739 del 30/03/2001, che ha espressamente affermato che l’impugnazione puo’ giovare solo a chi la propone, esercitandone il diritto, il che e’ proprio l’esatto (in quanto coerente al contesto creato dagli altri principi) principio regolatore del rapporto questioni principali/questioni spese. E’ stato, altresi’, precisato (v. Cass. n. 19937 del 6/10/2004) che l’effetto espansivo interno della decisione dell’impugnazione sulla questione principale puo’ si’ incidere sulla questione dipendente modificandola rispetto a come era stata decisa nel precedente grado benche’ non sia stata specificamente censurata, ma altresi’ che tale “modificabilita’” dei capi di sentenza autonomi ma dipendenti da altro capo, costituendo un’eccezione al principio della formazione del giudicato in mancanza di impugnazione, va applicata con estremo rigore, dovendosi percio’ escludere che l’impugnazione della statuizione sulla questione principale rimetta in ogni caso in discussione la decisione sulla questione dipendente (in quella specie riguardante gli accessori del credito), attribuendo percio’ sempre al giudice dell’impugnazione il potere di deciderla nuovamente e autonomamente, posto che cio’ potra’ e dovra’ accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all’impugnazione principale, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto con quella sulla questione dipendente. In tal caso, la direzione e i limiti dell’intervento consentito al giudice dell’impugnazione sulla statuizione dipendente non colpita da impugnazione non potranno che dedursi, con estremo rigore, dalla necessita’ di coerenza imposta dalla decisione sulla questione principale e dai motivi posti a sostegno della medesima.
Questa Corte, nel passare in analitica rassegna la giurisprudenza sopra citata, con la sentenza n. 23985 del 26/09/2019, ha pure condivisibilmente affermato che occorre “rigore” per determinare i confini dell’espansione dell’effetto interno, che devono essere, quindi, inequivocamente plasmati da una ineludibile e appunto rigida coerenza, non solo per ragioni di “economia processuale, intesa pure come ragionevole durata del processo – che si riverbera su un innegabile favor per la formazione di giudicato -, ma anche proprio” di “”coerenza”, che a ben guardare deve sussistere, se l’impugnazione e’ accolta, tra gli effetti dell’esercizio del diritto all’impugnazione in termini di modifica della questione principale e gli effetti dell’esercizio del diritto all’impugnazione in rapporto alla ratio costituzionalmente pregnante che racchiude di per se’ il diritto impugnatorio, ovvero protrarre la tutela processuale della sua posizione sostanziale (ex articolo 24 Cost., comma 1) in un altro grado di giudizio (cfr. articolo 24 Cost., comma 2: “in ogni stato e grado del procedimento”) nelle modalita’, ovviamente, che la tutela configurano anche in rispetto della legge ordinaria…. E allora, la modifica di un capo della decisione impugnata non puo’ comportare automaticamente la modifica di un altro capo come quello delle spese – che, pur se tradizionalmente definito accessorio, resta pur sempre nella struttura decisoria un capo autonomo (cfr. p. es. Cass. sez. 2, 3 maggio 2010 n. 10622) -: occorre la dipendenza dei due capi, intesa in modo costituzionalmente rispettoso del diritto all’impugnazione, ovvero che non comporti l’eterogenesi dei fini dell’istituto trasformando la proposizione dell’impugnazione in una reformatio in pejus per chi ha impugnato, pure nel caso in cui la posizione di questi sia migliorata, quale esito dell’impugnazione, nel thema decidendum principale. Ovvero, gli effetti positivi dell’impugnazione (come gia’ sopra rilevato richiamando l’insegnamento di Cass. sez. 3, 30 marzo 2001 n. 4739) non possono essere condivisi dalla controparte di chi impugna: non si e’ dinanzi a una sorta di paradossale contitolarita’ di un diritto processuale, messo in capo a comunisti che pero’ hanno interessi contrapposti in quel giudizio. Unicuique suum: l’esercizio del diritto di impugnazione non puo’, in riferimento a cio’ che gia’ era stato deciso e che non viene investito dalla impugnazione stessa – ne’ dalle impugnazioni di altre parti -, far regredire la situazione dell’impugnante, capovolgendo la ratio della impugnazione, che la dirige inequivocamente a suo esclusivo vantaggio”.
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
I principi affermati dalla sentenza di questa Corte n. 23985 del 26/09/2019, di cui sono stati riportati alcuni brani della motivazione, risultano essere stato cosi’ ufficialmente massimati: “La decisione dell’impugnazione sulla questione principale puo’ comportare la modificazione, in virtu’ del cosiddetto “effetto espansivo interno” anche della questione dipendente (nella specie, riguardante le spese di lite del primo grado), pur se autonoma e non investita da specifica censura; tale “modificabilita’” dei capi di sentenza autonomi ma dipendenti da altro capo, costituendo un’eccezione al principio della formazione del giudicato in mancanza di impugnazione, va applicata con estremo rigore, dovendosi percio’ escludere che l’impugnazione della statuizione sulla questione principale rimetta in ogni caso in discussione la decisione sulla questione dipendente, attribuendo percio’ sempre al giudice dell’impugnazione il potere di deciderla nuovamente e autonomamente, posto che cio’ potra’ e dovra’ accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all’impugnazione principale, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto con quella sulla questione dipendente. In tal caso, la direzione e i limiti dell’intervento consentito al giudice dell’impugnazione sulla statuizione dipendente non colpita da impugnazione non potranno che dedursi dalle necessita’ di coerenza imposte dalla decisione sulla questione principale e dai motivi posti a sostegno della medesima”.
4.3. Alla luce dei richiamati principi, che vanno riaffermati in questa sede, risulta che la Corte di merito, decidendo come sopra riportato, con riferimento, in particolare, alla liquidazione delle spese del primo grado, rispetto alla posizione dell’unica appellante e ora ricorrente, pur compensando, nell’esercizio del suo potere discrezionale sul punto, per un terzo le spese di primo grado, che ha posto, per il resto, a carico della stessa parte, le ha rideterminate nel resto in aumento rispetto alla decisione del Tribunale, pur in difetto di appello incidentale della parte interessata in punto di liquidazione delle spese, e della conseguente preclusione derivata su detta questione in assenza di alcuna concreta dipendenza, del capo sulle spese (nel senso preteso dal giudice a quo), dalla riforma operata in sede di appello sulla questione principale, in tal modo violando l’articolo 336 c.p.c..
5. Conclusivamente, va disatteso il primo motivo e accolto il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ritiene il Collegio di poter decidere la causa nel merito in senso conforme a quanto disposto nella sentenza d’appello impugnata, ad eccezione del capo concernente la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, secondo quanto indicato in dispositivo e tenuto comunque conto della compensazione per un terzo di tali spese operata dalla Corte di merito.
La cassazione, sia pure parziale, della sentenza di secondo grado comporta che vanno riliquidate le spese di secondo grado e al riguardo si reputa, stante la sua congruita’, di confermare la liquidazione delle spese del giudizio di appello gia’ operata dalla Corte di appello di Bari, come indicato in dispositivo.
Resta ferma la disposta attribuzione delle spese del doppio grado el giudizio di merito in favore dei procuratori costituiti della parte attualmente controricorrente.
6. Alla luce dell’accoglimento sia pure in parte del ricorso all’esame, ben possono essere integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’.
7. Stante l’accoglimento del ricorso, sia pure parziale del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
La parziale riforma della decisione impugnata e la modifica alle spese del primo grado
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ferma l’operata compensazione per un terzo tra le parti delle spese del primo grado di giudizio, condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, dei restanti due terzi, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi ed Euro 55,60 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, con attribuzione ai procuratori costituiti; compensa per un terzo tra le parti le spese del secondo grado di giudizio e condanna l’attuale ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, dei restanti due terzi, che liquida in Euro 1.220,00 per compensi, ed Euro 83,40 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, con attribuzione ai procuratori costituiti; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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