Il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 12 giugno 2018, n. 26925.

Le massime estrapolate:

Integra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la condotta del soggetto acquirente di droga che, in presenza di un vincolo durevole che lo accomuni con il fornitore, riceve in via continuativa la droga da immettere nel mercato del consumo secondo regole predeterminate relative alle modalita’ di fornitura e di pagamento della sostanza stupefacente.
La ratio della configurabilita’ del vincolo associativo tra fornitore e acquirente abituale di sostanze stupefacenti all’interno dell’unico sodalizio criminale nel quale essi operano risiede infatti nella reciproca consapevolezza che la stabilita’ del rapporto instaurato garantisce l’operativita’ dell’associazione in quanto tale, rivelando cosi’ l’affectio societatis dello stesso acquirente o fornitore.
La fattispecie associativa prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, e’ configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita’, predisponendo modalita’ strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita’ e che, in concreto, l’attivita’ associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Ai fini della configurazione del concorso di persone nel reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e’ necessario e sufficiente un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la commissione del reato, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi puo’ contare, o anche solo un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa

Sentenza 12 giugno 2018, n. 26925

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/02/2017 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Filippi Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e la declaratoria di inammissibilita’ degli altri ricorsi;
uditi i difensori, avv. (OMISSIS), sost. proc. dell’avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che si e’ riportato ai motivi di ricorso; avv. (OMISSIS), sost. proc. dell’avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si e’ riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza, in epigrafe indicata, la Corte di appello di Salerno ha parzialmente riformato la sentenza del 7 marzo 2016 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Salerno che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati agli stessi rispettivamente ascritti, condannandoli ciascuno alle pene ritenute di giustizia.
In primo grado, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati ritenuti responsabili della partecipazione ad una associazione criminale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (capo 1), nonche’ della commissione di reati di cui all’articolo 73 dello stesso D.P.R..
In sede di appello, la Corte territoriale, mentre perveniva alla conferma integrale della sentenza di condanna di primo grado nei confronti di (OMISSIS), assolveva alcuni dei suddetti imputati da taluni reati agli stessi ascritti, con conseguente rideterminazione della pena, e segnatamente: (OMISSIS) dal reato associativo di cui al capo 1), nonche’ dai reati di cui ai capi 59), 60) e 62) della rubrica; (OMISSIS) dal reato di cui al capo 57) della rubrica; (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui al capo 45) della rubrica; (OMISSIS) dai reati di cui ai capi 45) e 57) della rubrica. Infine, la Corte di appello diminuiva la pena nei confronti di (OMISSIS).
2. Come si evince dalla sentenze di merito, le indagini erano partite dal sequestro di un consistente quantitativo di hashish ad (OMISSIS) nel (OMISSIS), che risultava essere stato acquistato da (OMISSIS). Quest’ultimo, unitamente assieme ad altri soggetti, individuati come il fornitore ( (OMISSIS)) e gli stretti collaboratori di quest’ultimo ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), erano stati sottoposti ad operazioni di intercettazione, che avevano portato all’emersione di un ampio narcotraffico, con il sequestro di sostanze stupefacenti in possesso sia di coloro che l’avevano ordinata telefonicamente sia di (OMISSIS) (nella specie si trattava di quasi tre chili di hashish e 53 grammi di cocaina).
Gli inquirenti avevano poi raccolto le dichiarazioni rese da numerosi degli indagati, che, ancorche’ spesso con parziali ammissioni (in particolare escludendo la destinazione allo spaccio della droga acquistata e l’esistenza di un sodalizio criminoso), avevano fornito conferma dell’oggetto delle conversazioni captate: (OMISSIS) aveva parlato dei suoi acquisti di sostanza effettuati da (OMISSIS) e del linguaggio utilizzato per indicare la sostanza; (OMISSIS) aveva indicato (OMISSIS) come il suo fornitore di hashish e persona alla quale ne aveva assicurato la custodia per estinguere un debito; (OMISSIS) aveva parimenti dichiarato un rapporto di costante fornitura prima con (OMISSIS) e poi con (OMISSIS); (OMISSIS) aveva ammesso di aver acquistato mezzo chilo per volta di hashish dai suddetti per poi rivenderla; (OMISSIS) aveva dichiarato di aver acquistato, con cadenza di una volta ogni due mesi, marijuana da (OMISSIS); (OMISSIS) aveva fornito chiarimenti sull’oggetto delle conversazioni captate, in ordine al linguaggio convenzionale utilizzato per indicare la sostanza stupefacente; (OMISSIS) aveva ammesso di aver spacciato e ceduto droga ad (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La sentenza di primo grado aveva escluso, quanto al reato associativo, l’esistenza di una struttura cosi’ come contestata dal P.M. (che aveva descritto il sodalizio come composto da due consorterie criminali, facenti capo rispettivamente la prima a (OMISSIS) e la seconda ad (OMISSIS) e (OMISSIS), che operavano in modo coordinato l’una a favore dell’altra ed in particolare la seconda provvedeva a rifornire la prima di grosse partite di hashish e cocaina, che venivano poi smerciate sul territorio di competenza di quest’ultima), ritenendo accertata soltanto la sussistenza della compagine associativa facente capo ai (OMISSIS), all’interno della quale aveva operato, come partecipe, anche (OMISSIS).
(OMISSIS) e (OMISSIS) insieme a (OMISSIS) avevano costituito un gruppo abitualmente dedito ad una frenetica attivita’ di approvvigionamento e distribuzione di cospicui quantitativi (nell’ordine di diversi chili) di hashish, ma anche di cocaina.
La stabilita’ del loro vicolo associativo era emerso dalle captazioni in cui si dava conto dell’allestimento di un vero e proprio sistema, che consentiva il costante e stabile rifornimento di varie piazze di spaccio dislocate sul territorio, secondo un programma delinquenziale sempre uguale (veniva contattato il custode della droga, indicando con linguaggio convenzionale il quantitativo e la qualita’ di droga da preparare per la consegna al cliente di turno), senza la necessita’ di accordi specifici in occasione delle singole operazioni di spaccio (segno dell’adesione preventiva ad un programma illecito gia’ delineato e non limitato a singoli episodi), avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere permanente (comuni strumenti operativi sia per i rifornimenti sia per i contatti trai sodali), quand’anche rudimentale.
La circostanza che il sodalizio trattasse cospicui quantitativi di droga era indice inoltre di considerevoli risorse finanziarie da parte del gruppo, come anche di contatti con fornitori di livello elevato e con una fitta rete di distributori ben individuati, aventi un proprio specifico bacino di utenza.
Quanto ai ruoli, (OMISSIS) e (OMISSIS) erano i capi indiscussi, che si occupavano personalmente delle operazioni di’ approvvigionamento, della tenuta dei contatti con i clienti e del coordinamento delle attivita’ dei complici; (OMISSIS) fungeva da custode della droga ed era addetto alla preparazione di singole partite da smerciare.
Erano stati accertati molteplici episodi di acquisti di droga effettuati da (OMISSIS) e (OMISSIS), che gli stessi destinavano alla successiva cessione a terzi. Secondo il primo giudice, anche in questo stabile vincolo tra fornitori ed acquirenti, dediti alla distribuzione nel mercato della droga, era ravvisabile l’accordo associativo, non essendo di ostacolo la diversita’ di scopo personale o di utile, ovvero il contrasto di interessi economici tra i singoli partecipi.
3. In sede di appello, la Corte distrettuale rigettata i gravami proposti dagli imputati con i quali era stata contestata l’esistenza della struttura associativa: le numerose conversazioni captate davano conto di rapporti continuativi tra gli appartenenti al gruppo, i quali avevano contatti costanti per accordarsi circa i tempi di rifornimento e la quantita’ di sostanza stupefacente da acquistare, scambiandosi tra loro informazioni in ordine alla quantita’ di somme di denaro da corrispondere a fornitori e all’entita’ dei crediti maturati. Era pienamente dimostrata la sussistenza della associazione dalla continuita’ e dalla sistematicita’ dell’attivita’ di spaccio e dalla predisposizione di una struttura operativa stabile. Era stato accertato che il gruppo criminale fosse dedito ad una frenetica attivita’ di approvvigionamento e di distribuzione di cospicui quantitativi sostanza stupefacente, anche nell’ordine di diversi chili, che (OMISSIS) e (OMISSIS) si occupavano dei contatti con i clienti e di coordinare le attivita’ dei compartecipi, mentre il (OMISSIS) aveva il compito di custodire la droga. Elemento sintomatico dell’esistenza del vincolo associativo era ritenuta la circostanza della offerta duratura di droga, spesso data a credito, proprio in considerazione dello stretto rapporto di fiducia che vincolava i singoli partecipi. Anche il linguaggio criptico e convenzionale utilizzato nelle conversazioni trovava spiegazione nella frequenza dei contratti tra i consociati.
Era esclusa dal Giudice dell’appello che questa struttura associativa fosse qualificabile all’interno della fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in quanto la sistematicita’ dei rapporti e la frequenza dei contatti, la quantita’ e qualita’ della sostanza sequestrata erano chiari indici di una duratura offerta di stupefacente e della preordinazione delle condotte a soddisfare un ampio bacino di utenti con notevole offensivita’ della condotta.
La Corte di appello, salvo la riforma delle statuizioni sopra indicate, respingeva per il resto i gravami degli imputati.
4. Gli imputati indicati in epigrafe hanno proposto singoli atti di ricorso con cui chiedono l’annullamento della suddetta sentenza, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
5. Ricorso di (OMISSIS).
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione.
Nella ricostruzione del giudice di primo grado, riportata “per relationem” nella sentenza impugnata, vi e’ stata violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza emessa: il ricorrente, invero, era stato rinviato a giudizio in ordine all’accusa, in ordine alla quale ha formulato richiesta di rito abbreviato, di aver diretto un primo gruppo criminale, all’interno dell’associazione dedita al narcotraffico, per poi venire condannato, previa esclusione dell’esistenza del suddetto gruppo, quale mero partecipe dell’altro gruppo criminale facente capo ai (OMISSIS).
La violazione in cui sono incorsi i giudici del merito e’ stata censurata nel caso Drassich contro Italia del 2007, in ordine al quale la Suprema Corte ha dettato alcuni principi in tema di riqualificazione giuridica del fatto, in tema di giudizio abbreviato incondizionato: la prevedibilita’ della riqualificazione; la fondatezza dei mezzi di difesa a disposizione dell’imputato per far fronte alla nuova accusa; le conseguenze della riqualificazione sulla pena.
Nel caso in esame, la violazione del principio di correlazione riguarda la contestazione di un fatto “nuovo” e quindi con la conseguente nullita’ assoluta della sentenza impugnata.
6. Ricorso di (OMISSIS).
6.1. Vizio di motivazione.
Il ricorrente premette che, per la sussistenza di un ruolo partecipativo all’associazione ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, occorre pur sempre che il sodale abbia assunto un ruolo funzionale alla vita della stessa e alle sue dinamiche operative, non meramente occasionale, con la immanente coscienza e volonta’ di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo.
Se il ricorrente quindi fosse stato inserito nel sodalizio criminale, non avrebbe cessato la attivita’ illecita o sarebbe stato al piu’ indirizzato ad altro compito.
Con metro di giudizio singolare, la Corte di appello avrebbe assolto altro imputato, (OMISSIS), che aveva svolto il medesimo compito di custode della deroga per conto di (OMISSIS), subentrando nell’attivita’ svolta dal ricorrente.
Andava valutato che il ricorrente era soggetto tossicodipendente che custodiva la droga solo per lucrare la dose giornaliera.
Pertanto la sentenza deve essere annullata in relazione alla sussistenza dell’associazione ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 o quantomeno con la derubricazione dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6.
7. Ricorso di (OMISSIS).
7.1. Vizio di motivazione.
In modo contraddittorio, la Corte di appello, dopo aver assolto il ricorrente dal capo 57) della rubrica, in ragione della non significativita’ dei colloqui intercettati, lo avrebbe poi ritenuto responsabile del reato associativo sulla base di conversazioni che non dimostrerebbero obiettivamente l’attivita’ di spaccio di stupefacenti. La mancanza di riscontri avrebbe richiesto al giudice del merito un rigoroso onere motivazionale.
Carente risulterebbe la motivazione anche in ordine all’ipotesi di lieve entita’, per la quale la Corte di appello, nel rigettare la richiesta difensiva, avrebbe invertito l’onere della prova. Nella specie si trattava di sostanza non sequestrata e della quale era incerta la quantita’ e qualita’.
Nessuna prova dimostrerebbe che il ricorrente fosse dedito allo spaccio.
Chiede il ricorrente quindi di annullare la sentenza impugnata per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ritenendo al piu’ la sussistenza dell’ipotesi di cui al comma 6 del medesimo articolo.
8. Ricorso di (OMISSIS).
8.1. Il ricorrente chiede preliminarmente di sospendere il procedimento in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, sollevata, quanto alla legalita’ della pena, dalla Sesta Sezione della corte di cassazione con ordinanza del 2017, in quanto, benche’ il reato piu’ grave sia quello associativo, la pronuncia di accoglimento potrebbe influire sul calcolo della quantita’ di pena per i reati-satellite, a titolo di continuazine.
8.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
La Corte di appello avrebbe soltanto preso in considerazione gli acquisti di stupefacente effettuati dal ricorrente, senza indicare le prove della trasformazione di tale rapporto di fornitura in un vincolo stabile tale da far emergere l’affectio societatis.
Il rapporto con (OMISSIS) era originato da un contesto non criminale (la relazione sentimentale tra il ricorrente e la sorella di (OMISSIS)) e viepiu’ contraddistinto da relazioni conflittuali e comunque limitato al sinallagma contrattuale tra fornitore e acquirente, nell’ottica di perseguire interessi individuali e non di guadagno.
A tal riguardo, si denuncia il vizio di travisamento nella valutazione delle captazioni in cui il ricorrente si era lamentato con (OMISSIS) di aver subito una quasi truffa in ordine al quantitativo ottenuto rispetto a quello pagato, per il quale non percepiva alcun guadagno e perseguiva uno scopo individuale, confliggente con quello di (OMISSIS) che gli aveva venduto la droga.
Nessuna prova sarebbe stata indicata a dimostrazione dell’elemento soggettivo. Nessun altro accolito del sodalizio avrebbe fatto riferimento nelle conversazioni captate al ricorrente come membro dell’associazione con un ruolo specifico, funzionale al perseguimento del programma criminoso.
Sarebbe inoltre contraddittoria la motivazione in ordine alla valutazione della posizione di (OMISSIS), per il quale era stato esclusa la partecipazione al sodalizio, proprio in ragione dell’assenza di contatti tra gli altri sodali oltre alla presenza in occasione di spaccio con il fratello (OMISSIS). Il suddetto imputato era in una situazione non affatto dissimile da quella del ricorrente.
Del pari la Corte di appello avrebbe escluso il ruolo partecipativo di (OMISSIS) in ragione degli esclusivi rapporti avuti con (OMISSIS) e non con gli altri sodali.
In ogni caso, i rapporti di fornitura con (OMISSIS) e talvolta con (OMISSIS), si sarebbero protratti per un breve lasso di tempo (come dimostravano sia le dichiarazioni rese dalla moglie del ricorrente, sia l’assenza di contatti captati tra costoro dopo il 29 agosto 2013) e avevano ad oggetto acquisti finalizzati ad una modesta attivita’ di spaccio di hashish svolta per procurarsi il danaro per la cocaina destinata ad uso personale.
8.3. Violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 e articolo 73, comma 5).
Quanto agli acquisti di cocaina contestati ai capi 44), 53) e 55) della rubrica, si tratterebbe di condotte destinate al consumo personale e pertanto non punibili, anche sulla base dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
Le quantita’ di hashish e marijuana detenute dal ricorrente erano molto limitate e tali quindi da rientrare nell’ipotesi del fatto di live entita’.
In ogni caso, difetterebbe l’accertamento sulla esatta quantita’ e qualita’ della sostanza detenuta, trattandosi di prove basate su conversazioni telefoniche, con conseguente applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, o dell’articolo 75 stesso D.P.R..
8.4. Violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 6 e 7) e vizio di motivazione.
La Corte di appello avrebbe erroneamente non riconosciuto l’attenuante speciale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7, in favore del ricorrente, il quale aveva reso dichiarazioni di “particolare importanza” sia in funzione della decodificazione del linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni captate sia per la indicazione dei quantitativi di droga acquistati, della tipologia di sostanza trattata, dei nominativi dei fornitori, dell’arco temporale dello spaccio. In modo contraddittorio, la Corte di appello avrebbe invece assegnato rilievo alle ammissioni del ricorrente la’ dove le stesse sono state utili per chiarire il linguaggio convenzionale usato dagli imputati.
Parimenti priva di fondamento giuridico risulterebbe l’esclusione della configurabilita’ dell’ipotesi associativa minore prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, avendo il ricorrente evidenziato il modesto quantitativo di sostanza ceduta e detenuta e il modesto profitto derivante da tale attivita’.
9. Ricorso di (OMISSIS).
9.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74; mancanza degli elementi costituivi del reato.
Gli esiti dalle captazioni, sulla base dei quali sarebbe fondata la responsabilita’ del ricorrente, non dimostrerebbero ne’ la partecipazione di quest’ultimo al sodalizio criminale ne’ la stessa sussistenza di quest’ultimo, bensi’ soltanto la commissione di una serie di reati specifici, commessi in concorso di piu’ persone, senza alcun accordo programmato, neppure implicito.
Difetterebbero gli elementi necessari per configurare il contestato reato associativo (i ruoli dei partecipi, la spartizione dei proventi, l’accordo e l’organigramma, ancorche’ rudimentale).
Il ricorrente avrebbe avuto sporadici rapporti con (OMISSIS) (erroneamente ritenuto fratello del ricorrente) limitati a circa una settimana, interrotti a causa del gravissimo incidente occorso al ricorrente. Ne’ erano sussistenti rapporti stabili con altri sodali (dal rapporto con (OMISSIS) non sarebbe desumibile la sussistenza di un gruppo criminale).
La Corte di appello avrebbe automaticamente desunto dalle molteplici cessioni di droga l’esistenza di un’associazione criminosa.
Errata sarebbe la attribuzione al ricorrente del ruolo apicale: i due (OMISSIS) si attivavano autonomamente, senza rivestire alcun ruolo di supremazia su altri, neppure di direzione e organizzazione. La Corte di appello avrebbe travisato i dati processuali, posto che dagli stessi non emergerebbe nel brevissimo di tempo in cui e’ stato sottoposto ad osservazione alcuna posizione apicale di promotore od organizzatore (difettando una struttura piramidale) ne’ tantomeno la esistenza del gruppo criminale.
La Corte di appello avrebbe travisato la prova quando afferma che l’esistenza di vincoli di sangue, nella specie non esistenti con (OMISSIS), veniva a rafforzare l’organizzazione.
Il contenuto delle intercettazioni risulterebbe poi troppo vago per dimostrare il ruolo apicale rivestito dal ricorrente.
9.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione all’aggravante del numero di persone superiore a dieci e della partecipazione ad un’associazione di persone facenti uso di stupefacenti.
L’aggravante del numero delle persone andava esclusa, tenuto conto delle assoluzioni che avevano quindi ridotto la compagine associativa.
Parimenti andava esclusa l’altra aggravante sopra indicata.
La mancata elisione dell’aggravante ha inciso sulla qualificazione giuridica del fatto, anche se non ha determinato alcun effetto sulla pena.
La mancanza di ogni motivazione sul punto renderebbe viziata la sentenza impugnata.
9.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo 14) della rubrica, relativo al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
Difetterebbe per il capo 14) della rubrica la prova della cessione dello stupefacente, in quanto l’unico dato probatorio (un sms) non sarebbe indice dell’effettivo rapporto tra il ricorrente ed il fornitore (OMISSIS).
Ne’ poteva essere utilizzata la condotta di cui al capo 15), relativa alla cessione tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
9.4. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione ai capi 9), 12), 19), 25), 27), 28), 31), 32), 36), 38), 40), 43), 44) e 48) della rubrica, relativi al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
La Corte di appello avrebbe fondato la responsabilita’ del ricorrente in ordine ai suddetti reati su captazioni dal contenuto criptico e vago, arbitrariamente interpretate.
In tal modo risulterebbe inadeguata la motivazione e illogico, in mancanza di ulteriori elementi, il ragionamento seguito.
La Corte di appello, motivando per relationem, si sarebbe sottratta al proprio onere motivazionale rispetto alle critiche mosse nel gravame sul punto. Non sarebbe sufficiente il generico riferimento al linguaggio utilizzato nelle conversazioni captate e alle dichiarazioni rese dai coimputati, in mancanza di riferimenti specifici, finendo per risultare apparente la motivazione. In particolare, sarebbe stata usata la medesima frase per le varie ipotesi di spaccio e argomentazioni stereotipate replicate anche per la posizione di (OMISSIS) per distinte ipotesi di reato, la’ dove richiamano da un lato la sentenza di primo grado e dall’altro i sequestri e dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) (che non avevano concorso con il ricorrente e non avevano avuto con lo stesso alcun rapporto).
La prova in definitiva non avrebbe superato il limite invalicabile del ragionevole dubbio.
9.5. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione al capo 47) della rubrica, relativo al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
La captazione posta alla base della ritenuta responsabilita’ per la contestata cessione non sarebbe sufficiente, in assenza della identita’ dell’acquirente e di ulteriori riscontri oggettivi, non ben potendo il tenore della conversazione essere interpretato in senso univoco.
10. Ricorso di (OMISSIS).
10.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione al capo 59) della rubrica, relativo al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
Risulterebbe assente la motivazione in ordine alla sussistenza del concorso nella cessione di cocaina effettuata da (OMISSIS) e quindi al contributo causale offerto da questi, posto che la sua condotta si e’ limitata alla mera presenza passiva in auto al momento della cessione.
10.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione al capo 60) della rubrica, relativo al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
Le medesime censure valgono per la ritenuta responsabilita’ a titolo di concorso per l’episodio di cessione di stupefacente, che vede quale protagonista il fratello (OMISSIS). Ancora una volta non sarebbe stato evidenziato alcun contributo o partecipazione del ricorrente al fatti criminosi, se non la mera presenza in auto, mentre il fratello fuori dell’auto si intratteneva con il presunto acquirente.
10.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione al capo 62) della rubrica, relativo al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
In relazione a questo episodio, la Corte di appello avrebbe motivato in modo carente e contraddittorio, avendo basato la responsabilita’ del ricorrente sugli stessi elementi per i quali lo ha ritenuto estraneo al sodalizio criminoso.
La partecipazione del ricorrente ad una conversazione tra il fratello (OMISSIS) e (OMISSIS), dal contenuto non pacifico, e’ del tutto residuale, non offrendo alcun contributo all’eventuale accordo, ma solo “per darsi un tono” senza poter incidere in alcun modo.
10.4. Violazione di legge, in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 in relazione ai capi 59), 60) e 62).
Erroneamente la Corte di appello avrebbe escluso la ricorrenza della suddetta fattispecie, pur in presenza di quantitativi minimi (grammi 89 di cocaina, 200 di hashish e 170 di canapa indiana) e di una minima partecipazione del ricorrente (quale mero accompagnatore del fratello) nella commissione dei reati, sganciandosi dal dato soggettivo e valorizzando solo l’ambito in cui la condotta era stata realizzata.
11. Ricorso di (OMISSIS).
11.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento
della prova, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74; mancanza degli elementi costituivi del reato.
Le risultanze emerse dalle captazioni, sulla base delle quali sarebbe fondata la responsabilita’ del ricorrente, non dimostrerebbero ne’ la partecipazione di quest’ultimo ne’ la stessa sussistenza del sodalizio criminale, bensi’ soltanto la commissione di una serie di reati specifici, commessi in concorso di piu’ persone, senza alcun accordo programmato neppure implicito.
Difetterebbero gli elementi necessari per configurare il contestato reato associativo (i ruoli dei partecipi, la spartizione dei proventi, l’accordo, l’organigramma, ancorche’ rudimentale).
Il ricorrente avrebbe avuto sporadici rapporti con (OMISSIS) (erroneamente ritenuto fratello del ricorrente) limitati a circa una settimana, interrotti a causa del gravissimo incidente occorso al ricorrente. Ne’ erano sussistenti rapporti stabili con altri sodali (dai rapporti con (OMISSIS) e (OMISSIS) non sarebbe desumibile la sussistenza di un gruppo criminale).
La Corte di appello avrebbe automaticamente desunto dalle molteplici cessioni di droga l’esistenza di un’associazione criminosa.
Errata sarebbe la attribuzione al ricorrente del ruolo apicale: i due (OMISSIS) si attivavano autonomamente, senza rivestire alcun ruolo di supremazia su altri, neppure di direzione e organizzazione. La Corte di appello avrebbe travisato i dati processuali, posto che dagli stessi non emergerebbe nel brevissimo di tempo in cui e’ stato sottoposto ad osservazione alcuna posizione apicale di promotore od organizzatore (difettando una struttura piramidale) ne’ tantomeno la esistenza del gruppo criminale.
La Corte di appello avrebbe travisato la prova quando afferma che l’esistenza di vincoli di sangue, nella specie non esistenti con (OMISSIS), veniva a rafforzare l’organizzazione.
Il contenuto delle intercettazioni risulterebbe poi troppo vago per dimostrare il ruolo apicale rivestito dal ricorrente.
11.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione all’aggravante del numero di persone superiore a dieci e della partecipazione ad un’associazione di persone facenti uso di stupefacenti.
L’aggravante del numero delle persone andava esclusa, tenuto conto delle assoluzioni che avevano quindi ridotto la compagine associativa.
Parimenti andava esclusa l’altra aggravante sopra indicata.
La mancata elisione dell’aggravante ha inciso sulla qualificazione giuridica del fatto, anche se non ha determinato alcun effetto sulla pena.
La mancanza di ogni motivazione sul punto renderebbe viziata la sentenza impugnata.
11.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione ai capi 34), 35), 37), 38), 39), 40), 43), 44), 45), 50), 51), 52), 53), 54), 56), 58), 59), 60), 61), 62), 63) e 64) della rubrica, relativi al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; inosservanza della legge processuale in relazione gli articoli 192 e 533 c.p.p..
La Corte di appello avrebbe fondato la responsabilita’ del ricorrente in ordine ai suddetti reati su captazioni dal contenuto criptico e vago, arbitrariamente interpretate.
In tal modo risulterebbe inadeguata la motivazione e, in mancanza di ulteriori elementi, il ragionamento seguito illogico.
La Corte di appello, motivando per relationem, si sarebbe sottratta al proprio onere motivazionale rispetto alle critiche mosse nel gravame sul punto. Non sarebbe sufficiente il generico riferimento al linguaggio utilizzato nelle conversazioni captate e alle dichiarazioni rese dai coimputati, in mancanza di riferimenti specifici, finendo per risultare apparente la motivazione. In particolare, sarebbe stata usata la medesima frase per le varie ipotesi di spaccio e argomentazioni stereotipate replicate anche per la posizione di (OMISSIS) per distinte ipotesi di reato, la’ dove richiamano da un lato la sentenza di primo grado e dall’altro i sequestri e dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) (che non avevano concorso con il ricorrente e non avevano avuto con lo stesso alcun rapporto).
In particolare, per il capo 60), le captazioni non offrivano la prova dell’attivita’ illecita, posto che risulta arbitraria la conclusione che “il mazzo di chiavi” sia riferito alla sostanza stupefacente.
La prova in definitiva non avrebbe superato il limite invalicabile del ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Devono ritenersi inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre va rigettato il ricorso di (OMISSIS).
2. Il ricorso di (OMISSIS) propone censure precluse e comunque del tutte prive di fondamento.
Il ricorrente lamenta la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza emessa, con conseguente violazione dei diritti di difesa garantiti dall’articolo 6 CEDU.
Va rilevato che la sentenza di primo grado aveva condiviso la prospettiva gia’ adottata dal Giudice per le indagini preliminari con la applicazione della misura cautelare personale, secondo cui la ipotizzata struttura organizzativa, facente capo al ricorrente, operante all’interno dell’associazione di cui al capo 1) della rubrica, non fosse una vera e propria organizzazione (non essendovi prova di rapporti collaborativi tra i relativi sodali, questi ultimi assolti in primo grado dal reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74). Quindi, il ruolo del (OMISSIS) e’ stato qualificato come quello di mero partecipe della associazione principale, il cui contributo era stato gia’ indicato nell’imputazione (acquisto di partite di droga dalla consorteria per poi distribuirle a “cavalli” di fiducia).
Quindi si e’ verificata in primo grado non la attribuzione al ricorrente di un “fatto nuovo”, bensi’ soltanto la derubricazione in melius del ruolo da apicale a quello di mero partecipe della medesima associazione.
Per “fatto nuovo” si intende infatti, secondo un consolidato orientamento di legittimita’, un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo (tra le tante, Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861).
Il fatto ritenuto in sentenza non poteva neppure ritenersi “diverso”, in quanto per il mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). Invero, come si e’ detto, nell’imputazione era gia’ indicata la condotta illecita attribuita al ricorrente.
Fatte queste premesse, va in ogni caso ribadito che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullita’ a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, puo’ essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo; ne consegue che detta violazione non puo’ essere dedotta per la prima volta in sede di legittimita’ (tra le tante, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 26988601)
Nel caso specifico, in appello, nulla era stato eccepito al riguardo dal ricorrente, che aveva contestato soltanto “la esistenza” dell’associazione illecita di cui al capo 1), ritenuta in sentenza: anzi, attraverso la sua difesa tecnica, aveva apprezzato che “all’esito di un rigoroso controllo” gia’ in sede cautelare fosse stato qualificato il suo ruolo in quello di mero partecipe, nel senso esattamente coincidente con l’addebito come innanzi delineato.
Risulta infine del tutto generica la richiesta avanzata in questa sede di qualificazione del fatto nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6.
3. Il ricorso di (OMISSIS) articola censure aspecifiche e non consentite. Il ricorrente ripropone questioni gia’ affrontate dalla Corte di appello con motivazione adeguata e priva di manifesti vizi logici.
Va rammentato che deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilita’ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita’ delle doglianze che, cosi’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (tra tante, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608).
La sentenza impugnata ha infatti ben delineato il ruolo partecipativo del (OMISSIS): non solo custodiva la droga per conto dei (OMISSIS), ma era addetto alla preparazione e alla consegna di quantitativi su loro richiesta per la successiva commercializzazione.
Le captazioni aveva dimostrato come il ricorrente si muovesse sulla base di uno schema operativo prestabilito, indice dell’esistenza di un accordo programmatico tra i partecipi (in tal senso era significativo il linguaggio convenzionale utilizzato per stabilire i dettagli delle consegne), con contatti frequenti e incontri programmati.
La Corte territoriale ha anche motivatamente escluso la tesi difensiva, riproposta in questa sede (il ricorrente avrebbe soltanto lucrato la dose giornaliera), sulla base della frequenza e continuita’ dei contatti che trascendeva il mero guadagno di una dose giornaliera e comunque sull’attribuzione di un ruolo fiduciario particolarmente delicato, indice non di un occasionale ed estemporaneo coinvolgimento del ricorrente nel traffico illecito.
Ne’ all’evidenza puo’ dirsi contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla diversa conclusione alla quale e’ pervenuta per la posizione di (OMISSIS), posto che per quest’ultimo erano emersi soltanto rapporti illeciti intrattenuti con uno dei sodali, difettando pertanto la prova della consapevole adesione all’associazione.
Risulta infine del tutto generica la richiesta avanzata in questa sede di qualificazione del fatto nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6.
4. Formula censure generiche il ricorso di (OMISSIS).
Il ricorrente infatti si limita ad una critica demolitiva generalizzata, senza articolare specifiche censure al tessuto argomentativo della sentenza impugnata.
Quel che e’ sufficiente rilevare e’ che la Corte di appello ha fornito una adeguata risposta ai motivi di appello, con i quali il ricorrente aveva sostenuto di essere soltanto un tossicodipendente che acquistava droga per farne uso personale al di fuori di un contesto societario, che si trattava di “poca roba” e che il suo stato economico non giustificava la figura dello spacciatore affiliato, e che non era stato mai controllato nel vendere ad altri lo stupefacente.
La intraneita’ del (OMISSIS) viene fondata dalla Corte di appello sulle conversazioni captate che dimostravano uno stabile rapporto con (OMISSIS), prima, e, dopo l’incidente di questi, con (OMISSIS) e il compito svolto di ricevere la droga da costoro e metterla in circolazione, vendendola.
I colloqui intercettati avevano ad oggetto la quantita’ della sostanza da acquistare, le modalita’ di incontro per la cessione, le somme dovute per gli acquisti precedenti gia’ effettuati: si trattava, secondo la Corte di appello, di contatti frequenti, con una veloce comprensione delle espressioni adoperate e con la programmazione di appuntamenti (secondo schemi prestabiliti), contatti che si collocavano all’interno di un rapporto stabile e fiduciario tra i sodali, dimostrato anche dalle modalita’ di pagamento “a credito”.
La stessa Corte territoriale ha motivatamente escluso che si versasse in acquisti per uso personale, sulla base del tenore dei colloqui captati nei quali si era dato atto di consistenti acquisti e di conteggi di somme di danaro, riferiti a precedenti forniture, nonche’ dell’attivita’ di cessione attuata (in tal senso e’ riportata la conversazione tra il ricorrente e (OMISSIS) per programmare un incontro con un cliente).
Risulta parimenti generica la censura in relazione alla “ipotesi di lieve entita’”, non chiarendo il ricorrente neppure a quale capo si riferisca.
Ne’ si riscontra nella sentenza il denunciato “inversione dell’onere della prova”.
Da quanto emerge dalla sentenza impugnata il ricorrente aveva chiesto di applicare il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, e, per tutti gli episodi contestati, il cit. D.P.R., articolo 73, comma 5.
Orbene, quanto alla prima richiesta, la Corte di appello ha escluso che si versasse nella fattispecie autonoma di reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in considerazione del programma criminoso dell’associazione (che nella specie aveva ad oggetto un’attivita’ di narcotraffico del tutto incompatibile con l’ipotesi del “piccolo spaccio”).
Quanto ai singoli episodi ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, la Corte di appello ha rilevato l’inammissibilita’ della censura, priva dell’indicazione delle ragioni sulle quali era fondata.
Va a tal riguardo ribadito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
5. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
5.1. La richiesta di sospensione del procedimento in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, sollevata con ordinanza del 12 gennaio 2017 dalla Corte di cassazione, e’ oramai non piu’ attuale, stante la declaratoria di manifesta inammissibilita’ della suddetta questione (Corte cost. ord. n. 184 del 2017).
5.2. Quanto ai motivi relativi al reato associativo, si deve rilevare che il ricorrente ripropone in questa sede questioni gia’ sollevate in sede di appello, finendo per articolare censure non correlate alla risposta fornita dalla Corte di appello e comunque non consentite ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
La Corte di appello ha infatti ritenuto che il rapporto instaurato dal ricorrente con i (OMISSIS) fosse da iscriversi nell’ambito della attivita’ associativa, in quanto la frequenza dei contatti con costoro e l’acquisto di rilevanti quantitativi da parte del primo dimostravano la sussistenza di uno stabile rapporto, in forza del quale i due (OMISSIS) potevano contare sull’apporto rilevante offerto dall’imputato il quale provvedeva a vendere la droga a clienti nella zona di (OMISSIS).
La ripetitivita’ e la consistenza degli acquisti ravvicinati costituivano per l’associazione infatti un apporto rilevante e attivo, orientato al raggiungimento dei fini di lucro che la stessa perseguiva.
In tal modo, la Corte di appello respingeva le tesi difensive, volte a parcellizzare il significato dei singoli acquisti, in funzione anche della dimostrazione della assenza dell’elemento soggettivo.
Va ribadito al riguardo che integra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la condotta del soggetto acquirente di droga che, in presenza di un vincolo durevole che lo accomuni con il fornitore, riceve in via continuativa la droga da immettere nel mercato del consumo secondo regole predeterminate relative alle modalita’ di fornitura e di pagamento della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 564 del 29/10/2015, dep. 2016, Barretta, Rv. 265763; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265764).
La ratio della configurabilita’ del vincolo associativo tra fornitore e acquirente abituale di sostanze stupefacenti all’interno dell’unico sodalizio criminale nel quale essi operano risiede infatti nella reciproca consapevolezza che la stabilita’ del rapporto instaurato garantisce l’operativita’ dell’associazione in quanto tale, rivelando cosi’ l’affectio societatis dello stesso acquirente o fornitore (Sez. 5, n. 51400 del 26/11/2013, Abbondanza, Rv. 257991).
Quanto alle altre censure riversate nei presenti motivi di ricorso, va evidenziato che la Corte di appello ha affrontato, con motivazione plausibile, tutte le critiche del ricorrente, volte a evidenziare elementi distonici o letture alternative di dati processuali.
Il ricorrente si e’ limitato, come gia’ detto in premessa, a riproporre in questa sede le medesime questioni, non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata, nella prospettiva di avvalorare un’inammissibile rivalutazione delle emergenze processuali, notoriamente preclusa in questa sede (tra le tante, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Va escluso a tal riguardo che possa configurare il vizio di motivazione, anche nella forma del cosiddetto travisamento della prova, un presunto errore nella valutazione del “significato” probatorio della prova medesima (ex multis, Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).
Sono all’evidenza poi prive di consistenza le critiche che riguardano il diverso trattamento riservato ad altri coimputati, risultando del tutto coerenti le ragioni che hanno portato ad escludere la loro partecipazione al sodalizio criminoso.
In particolare, (OMISSIS) era stato coinvolto in tre episodi di spaccio, senza che fosse emersa, al di la’ della partecipazione alle singole cessioni, la prova di un suo coinvolgimento anche nell’associazione illecita; (OMISSIS) aveva mantenuto i suoi rapporti solo con (OMISSIS) (e quindi difettava la prova della consapevole partecipazione all’interno di un sodalizio criminale).
5.3. Egual sorte deve essere assegnata ai motivi riguardanti i restanti capi di imputazione.
Anche in tal caso, il ricorrente reitera questioni gia’ sollevate con l’appello e alle quali la Corte di appello ha fornito adeguata e plausibile risposta, risultando quindi le censure anche aspecifiche.
Quanto alla finalita’ di spaccio della cocaina acquistata, la Corte di appello ha infatti rilevato che gli acquisti era consistenti e ravvicinati e la finalita’ della condotta era altresi’ desumibile da una conversazione captata dalla quale emergeva la finalita’ di lucro perseguita dal ricorrente.
In relazione poi agli acquisti di hashish e marijuana, la Corte di appello ha escluso che le relative condotte potessero essere sussunte nell’ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in considerazione anche della consistenza dei quantitativi destinati alla commercializzazione.
Le diverse conclusioni al riguardo versate nel ricorso, che reiterano la doglianza di appello, si rivelano del tutto assertive e generiche.
Ne’ possono trovare ingresso in questa sede le censure, non sollevate in appello, sull’accertamento della esatta quantita’ e qualita’ della sostanza trattata (tra tante, Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632).
5.4. Non hanno alcun fondamento le critiche relative al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 6 e 7.
In ordine alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, va rammentato che essa costituisce fattispecie autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata del reato di cui al cit. D.P.R., articolo 74, comma 1, (Sez. U, n. 34475 del 23/06/2011, Valastro, Rv. 250352).
Come correttamente ha spiegato la Corte di appello, viene in tal caso in considerazione il programma criminoso dell’associazione (che nella specie aveva ad oggetto un’attivita’ di narcotraffico del tutto incompatibile con l’ipotesi del “piccolo spaccio”) e non la singola posizione dei sodali.
La fattispecie associativa prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, e’ configurabile infatti a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita’, predisponendo modalita’ strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita’ e che, in concreto, l’attivita’ associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (tra le tante, Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, Biondi, Rv. 267267).
Quanto all’attenuante speciale prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7, la motivazione dei giudici dell’appello e’ priva di vizi manifesti.
La Corte di appello ha infatti fatto buon governo dei principi piu’ volte affermati in sede di legittimita’, secondo cui, per il riconoscimento della suddetta attenuante e’ necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensi’ l’attivita’ complessiva del sodalizio, in modo, cioe’, da impedire che il reato associativo si protragga e sia portato ad ulteriori conseguenze (per tutte, tra tante, Sez. 2, n. 32907 del 03/05/2017, Cursale, Rv. 270656).
Nella specie, la Corte territoriale ha plausibilmente ritenuto che il contributo collaborativo di (OMISSIS) non avesse avuto siffatte caratteristiche, essendosi limitato ad ammissioni di circostanze gia’ emerse dagli atti.
Ne’ puo’ ritenersi contraddittorio il ragionamento della Corte territoriale in funzione del rilievo assegnato alle dichiarazioni rese da alcuni imputati per la decodificazione del linguaggio convenzionale utilizzato nelle captazioni, posto che il (OMISSIS) avrebbe solo “confermato” il senso della frase “veniamo in cinque a mangiare” come riferibile alla quantita’ di droga richiesta. Frase, che come ha spiegato la stessa Corte territoriale a pag. 11 della sentenza impugnata, era stata decodificata anche grazie al sequestro effettuato a carico del (OMISSIS) di 444,8 grammi di hashish, preceduto dall’ascolto della richiesta di questi al (OMISSIS) veicolata con il medesimo messaggio convenzionale, indicativo appunto della quantita’ da acquistare.
6. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile per le seguenti ragioni.
6.1. Il primo motivo, relativo alla ritenuta responsabilita’ per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e’ viziato da genericita’.
Il ricorrente ripropone le medesime questioni gia’ affrontate dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi con le argomentazioni del Giudice dell’appello.
La Corte di appello, con ragionamento privo di manifesti vizi, fondato sulle evidenze probatorie ha infatti delineato esaurientemente gli elementi costitutivi della contestata organizzazione criminale, ovvero la rete e la consistenza dei rapporti intessuti dai (OMISSIS) tra loro e con gli altri spacciatori del sodalizio, che trascendevano il mero concorso nel reato, in quanto da un lato stabili e continuativi, e dall’altro organizzati nelle varie fasi del narcotraffico (dall’acquisto di notevoli quantitativi ai contatti con gli spacciatori e alle modalita’ di smercio). Si trattava quindi non di mero concorso nelle singole operazioni di traffico, ma di un programma unitario finalizzato ad ottenere vantaggio economici anche consistenti.
Quanto all’errore nella qualificazione dei rapporti parentali con l’altro sodale (OMISSIS), la critica e’ priva di concreta consistenza, in quanto come emerge a pag. 10 della sentenza impugnata, la Corte di appello ha soltanto inteso genericamente rispondere alle critiche di rapporti parentali nell’ambito del sodalizio. Anche in ordine alla seconda questione attribuito al ricorrente – il motivo e’ generico, in quanto non correlato all’effettivo tessuto argomentativo della sentenza impugnata e contenente una sommaria critica demolitiva, priva dell’indicazione di concreti vizi rilevanti in questa sede.
La Corte territoriale ha infatti fornito una puntuale e incensurabile risposta ai motivi di gravame, in questa sede meramente riproposti, in ordine a tutti gli aspetti sollevati.
La Corte di appello ha in particolare definito il ruolo rivestito nella compagine associativa dal ricorrente come di organizzatore, avendo coordinato l’attivita’ degli associati, assicurando la funzionalita’ della struttura. Ruolo che il ricorrente aveva svolto sinergicamente con (OMISSIS), con il quale si alternava, rafforzandosi reciprocamente, come dimostravano le numerose captazioni riportate nel corpo della motivazione della sentenza impugnata a pag. 28.
6.2. I motivi relativi alle circostanze aggravanti del reato associativo articolano precluse critiche.
Relativamente all’aggravante del numero di persone superiore a dieci, dalla sentenza di primo grado si evince che e’ stata ritenuta configurabile l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, soltanto con riferimento alla fattispecie contestata della partecipazione di associati dediti all’uso di sostanze stupefacenti.
Nell’appello, inoltre, il ricorrente non aveva avanzato alcuna specifica critica sul punto.
Va rammentato che possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perche’ non devolute alla sua cognizione (tra tante, Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632).
Quanto alla dedotta violazione di legge, il motivo di ricorso con cui si chiede l’esclusione della ritenuta aggravante della partecipazione di associati dediti all’uso di sostanze stupefacenti e’ del tutto generico, anche a voler tacere dell’interesse, trattandosi di circostanza, come dedotto dallo stesso ricorrente, sub valente alle circostanze ex articolo 62-bis c.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 20328 del 11/01/2017, B., Rv. 269942).
6.3. Con riferimento al capo 14) della rubrica, il ricorrente formula critiche che si astraggono dalla motivazione della sentenza impugnata e che si pongono in diretto confronto con le evidenze probatorie, nella prospettiva di avvalorarne una diversa interpretazione.
La Corte di appello ha spiegato infatti come sia pervenuta a ritenere provata la cessione da parte del ricorrente del panetto di 500 grammi di hashish a (OMISSIS).
Si tratta di un ragionamento che si rivela persuasivo e manifestamente non illogico (e certamente non limitato, come assume il ricorrente, ad un solo sms). Invero, era stato monitorato dagli inquirenti l’episodio, avvenuto il (OMISSIS), che aveva visto come protagonisti il ricorrente, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest’ultimo come acquirente finale) e che aveva portato al sequestro di un panetto di circa 500 grammi di hashish.
Come ha rilevato la sentenza impugnata, le captazioni e l’attivita’ di p.g. avevano consentito di accertare che al (OMISSIS) era stato ordinato dal (OMISSIS) il quantitativo di stupefacente (poi effettivamente rinvenuto in possesso di quest’ultimo), che a sua volta il primo richiedeva in acquisto al ricorrente, replicando il medesimo messaggio ricevuto dal (OMISSIS), il cui tenore era stato spiegato dal (OMISSIS), come indicativo della sostanza di stupefacente da acquistare, effettivamente corrispondente al quantitativo rinvenuto. Che il panetto sequestrato fosse proveniente dal (OMISSIS) era altresi’ dimostrato dalla scritta “D & G” impressa sull’involucro, utilizzata in via convenzionale dai sodali.
6.4. I motivi relativi ai capi 9), 12), 19), 25), 27), 28), 31), 32), 36), 38), 40), 43), 44) e 48) della rubrica sono ancora una volta generici e non correlati alla motivazione della sentenza impugnata.
In primo luogo, va evidenziato che la Corte di appello aveva definito “generiche e prive di riferimenti specifici” le doglianze avanzate nel gravame dal ricorrente con riferimento ai capi 9), 12), 19), 25), 27), 28), 31), 32), 38), 43) e 44) della rubrica.
Sul punto il ricorrente neppure ha replicato a tale conclusione (tra l’altro del tutto fondata, stante l’effettiva genericita’ del gravame).
La Corte di appello correttamente si e’ limitata a richiamare le articolate e complete argomentazioni del primo giudice, evidenziando, quanto alla interpretazione del linguaggio adoperato, che la lettura delle conversazioni intercettate era stata corroborata da altri elementi di prova, che avevano consentito di confermare il “significato” attribuito dai soggetti monitorati alle espressioni utilizzate, quali i sequestri operati e le dichiarazioni ammissive di alcuni imputati.
Al riguardo, va rilevato che appare del tutto irrilevante la dedotta circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS) non abbiano concorso con il ricorrente e non abbiano avuto con lo stesso alcun rapporto: le loro dichiarazioni sono state infatti richiamate per decriptare il linguaggio convenzionale utilizzato non solo tra i sodali, ma anche con gli acquirenti di questi ultimi (emblematico e’ l’episodio del capo 14 sopra indicato, in cui il messaggio “in codice” proveniente dal (OMISSIS) viene riportato dal (OMISSIS) al ricorrente).
Quanto alle restanti imputazioni, le critiche del ricorrente sono del tutte generiche e non consentono alla Corte di legittimita’ di stabilire neppure a quali contestazioni esse si riferiscano, considerato viepiu’ che la Corte di appello ha fornito una puntuale risposta alle censure versate nel gravame.
6.5. Aspecifica risulta anche la critica relativa al capo 47) della rubrica.
Va rilevato che con l’appello il ricorrente aveva sostenuto che non fosse pacifica dal tenore della captazione la “effettiva consegna” dello stupefacente da parte dei due (OMISSIS) ad un tale Umberto, in assenza addirittura dell’identita’ del presunto acquirente.
Il ricorrente ha reiterato in questa sede la medesima censura di appello, alla quale la Corte di appello ha fornito una risposta corretta e non manifestamente illogica, evidenziando da un lato la chiarezza con cui dalle intercettazioni emergesse l’accordo intervenuto tra le parti sia in ordine alle dosi da cedere sia al luogo della consegna e dall’altro la irrilevanza della effettiva traditio a fondare la responsabilita’ degli imputati (in tal senso, tra tante, Sez. 1, n. 20020 del 04/04/2013, Nettuno, Rv. 256030).
7. Il ricorso di (OMISSIS), che a tratti lambisce l’inammissibilita’, non ha fondamento per le seguenti ragioni.
7.1. Le censure relative ai capi 59) e 60) della rubrica, che si incentrano sulla prova del contributo causale offerto dal ricorrente alle cessioni effettuate dal fratello (OMISSIS), non possono essere accolte.
I Giudici di merito hanno infatti fatto buon governo dei principi che regolano la materia, uniformandosi al costante insegnamento giurisprudenziale di legittimita’, secondo cui, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e’ necessario e sufficiente un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la commissione del reato, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi puo’ contare (ex multis, Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, Porcheddu, Rv. 246649), o anche solo un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (tra le tante, Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, dep. 2014, Paladini, Rv. 258244; in termini generali, cfr., tra tante, Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979).
In tal senso, la Corte di appello ha posto in evidenza come il ricorrente, lungi dallo svolgere un ruolo meramente passivo e inerte di terzo inconsapevole, restando ai margini della vicenda, risulti avervi, di contro, partecipato nei termini sopra indicati, con la sua presenza, non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, agevolando la commissione del reato e fornendo all’autore un maggiore senso di sicurezza.
In particolare, trattando insieme i due episodi delittuosi, avvenuti a distanza di pochissimi giorni, la sentenza impugnata ha posto in evidenza il medesimo modus operandi attuato dai due fratelli (OMISSIS) nel realizzare le cessioni di droga in favore di clienti.
Nel primo episodio, (OMISSIS) aveva ricevuto l’ordine dal cliente, accordandosi per la consegna il giorno dopo; i fratelli erano quindi insieme quando era sopraggiunta la telefonata dell’acquirente per definire con (OMISSIS) l’appuntamento per la consegna della droga, secondo modalita’ convenzionali; i due fratelli quindi sempre insieme si erano reati in auto al posto convenuto, dove (OMISSIS) aveva lasciato l’autovettura con a bordo il fratello per entrare nel veicolo dell’acquirente e portare a termine l’operazione.
Nel secondo episodio, la cessione era stata attuata con le medesime modalita’ che prevedevano che il ricorrente accompagnasse il fratello all’appuntamento convenuto, attendendolo sull’autovettura, mentre quest’ultimo, scendendo dal veicolo, si era recato ad effettuare la consegna.
7.2. I motivi relativi al capo 62) della rubrica articolano censure non consentite e generiche.
Il ricorrente si limita infatti a reiterare le censure di appello, senza correlarsi alla motivazione della sentenza impugnata, nella prospettiva di avvalorare una inammissibile rilettura delle evidenze processuali.
La Corte di appello ha spiegato in modo puntuale ed esauriente i termini della partecipazione del ricorrente all’acquisto canapa indiana da (OMISSIS), affrontando la tesi difensiva – in questa sede meramente riproposta – quanto al significato delle frasi captate.
La sentenza impugnata ha rilevato che i fratelli (OMISSIS) avevano parlano in modo aperto e non criptico (“erba” e “foglie”) dell’operazione illecita che si stavano accingendo a compiere; che il ricorrente, lungi da effettuare vanterie, aveva dimostrato di essere ben a conoscenza delle dinamiche dell’attivita’ di spaccio e dei prezzi praticati, cercando di lucrare sul prezzo, partecipando quindi attivamente alla trattativa, che aveva avuto esito positivo, tanto che lo stesso ricorrente aveva avuto la possibilita’ di assaggiare lo stupefacente, quando (OMISSIS) ne aveva consegnato un campione.
7.3. Non ha fondamento la censura relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Va precisato che il ricorrente aveva chiesto la derubricazione del fatto nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, solo per il capo 62) della rubrica (terzo motivo di appello), evidenziando che si trattava di piccola quantita’ di sostanza, rientrante tra le cosiddette droghe leggere, e che il contributo offerto al fatto dal ricorrente era stato minimo.
La Corte di appello ha ritenuto non fondata la richiesta difensiva in considerazione del dato quantitativo della sostanza oggetto di contrattazione e delle modalita’ di commercializzazione, rivelative di un’attivita’ consistente di smercio.
Si tratta di motivazione del tutto plausibile rispetto alle circostanze del caso in esame, posto che il fatto si iscriveva nell’attivita’ del fratello (OMISSIS), che, attraverso l’associazione criminale, gestiva consistenti quantitativi di stupefacente.
Ne’ e’ censurabile la motivazione per non aver dato risalto al dato soggettivo della minore partecipazione del ricorrente, trattandosi di elemento che non viene in considerazione nella fattispecie, che deve comunque riguardare “un fatto” unitariamente inteso nelle sue componenti oggettive dei mezzi, modalita’ o circostanze dell’azione, qualita’ e quantita’ delle sostanze (Sez. 4, n. 9161 del 29/01/2015, Andreone, non mass. sul punto).
8. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile per le ragioni che seguono.
8.1. Le censure versate nei primi quattro motivi del ricorso replicano quelle avanzate da (OMISSIS) e sono attinte dalle medesime cause di inammissibilita’ gia’ evidenziate ai paragrafi 6.1 e 6.2 del “considerato in diritto”, alle cui considerazioni pertanto si rinvia, onde evitare inutili ripetizioni.
8.2. Quanto ai motivi relativi ai capi 34), 35), 37), 38), 39), 40), 43), 44), 45), 50), 51), 52), 53), 54), 56), 58), 59), 60), 61), 62), 63) e 64) della rubrica, va rilevato che la Corte di appello aveva definito generiche le censure mosse per la maggior parte dei suddetti capi.
In particolare a pag. 38 della sentenza impugnata sono definite “generiche e prive di riferimenti generici” le doglianze relative ai capi 34), 35), 38), 39), 40), 43), 44), 50), 51), 53), 54), 56), 58), 59), 61), 62), 63) e 64).
Sul punto il ricorrente neppure ha replicato a tale conclusione (tra l’altro del tutto fondata, stante l’effettiva genericita’ del gravame).
La Corte di appello correttamente si e’ limitata a richiamare le articolate e complete argomentazioni del primo giudice, evidenziando, quanto alla interpretazione del linguaggio adoperato, che la lettura delle conversazioni intercettate era stata corroborata da altri elementi di prova, che avevano consentito di confermare il “significato” attribuito dai soggetti monitorati alle espressioni utilizzate, quali i sequestri operati e le dichiarazioni ammissive di alcuni imputati.
Vale anche per il ricorrente, quanto gia’ rilevato per il ricorso di (OMISSIS), ovvero che risulta del tutto irrilevante la dedotta circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS) non abbiano concorso con il ricorrente e non abbiano avuto con lo stesso alcun rapporto: le loro dichiarazioni sono state infatti richiamate per decriptare il linguaggio convenzionale utilizzato non solo tra i sodali, ma anche con gli acquirenti di questi ultimi (emblematico e’ l’episodio del capo 14 sopra indicato, in cui il messaggio “in codice” proveniente dal (OMISSIS) viene riportato dal (OMISSIS) al ricorrente).
Quanto al capo 60) della rubrica, il ricorrente propone una critica meramente oppositiva, che non si confronta con argomentata risposta fornita dalla sentenza di appello.
Va al riguardo rilevato che nell’appello il ricorrente si era limitato a contestare il significato attribuito dal primo giudice alla espressione “mazzo di chiavi”.
La Corte di appello ha posto in evidenza come il primo giudice fosse pervenuto ragionevolmente alla identificazione del reale significato dell’espressione usata nei dialoghi captati (nella specie, l’hashish) attraverso la lettura combinata di due episodi che avevano visto come destinatario delle contestate cessioni illecite lo stesso soggetto (capi 58 e 60), e nei quali i protagonisti avevano fatto riferimento in modo allusivo e convenzionale a “mazzi di chiavi” da portare, al colore “marrone” e al numero di chiavi del mazzo.
Si tratta di una conclusione non manifestamente arbitraria o illogica (specie, come nel caso in esame, quando l’espressione usata non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui e’ utilizzata e quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine viene indicato per indicare altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene) e pertanto non censurabile in questa sede (tra le tante, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389).
Relativamente alle restanti imputazioni, le critiche del ricorrente sono del tutte generiche (per il capo 45 e’ stato addirittura assolto) e non consentono alla Corte di legittimita’ di stabilire neppure a quali contestazioni esse si riferiscano, considerata viepiu’ la assoluta genericita’ dei motivi di appello.
9. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente loro condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento alla cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000.
Il ricorso di (OMISSIS) va invece rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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